Molecole vitali

Oggi sappiamo dove trovare le vitamine essenziali per la nostra salute

STORIE DI SCIENZA

Dalle ricerche sul beri-beri all’ipotesi che più vitamine assumiamo, meglio stiamo. Ecco che cosa sono esattamente le vitamine, come sono state scoperte e quello che sappiamo sul rapporto tra la loro assunzione e lo stato di salute.

Vincenzo Guarnieri

Fanno sempre bene o possono anche far male? Sappiamo che le vitamine sono sostanze presenti in tracce nelle cellule degli organismi viventi. Sappiamo anche che sono fondamentali per la salute. Però ci sono molte cose che non conosciamo sul loro conto. Una di queste è il legame tra la quantità che assumiamo con la dieta e il rischio di contrarre certe patologie. Una ricerca condotta negli Stati Uniti da Sang Min Park e colleghi dell’Harvard Medical School di Boston e pubblicata ad agosto 2016 sulla rivista PLoS ONE, mostra che l’assunzione di un’elevata quantità di vitamina D è associata a un maggiore rischio di carcinoma basocellulare, la forma più comune di tumore della pelle. Quindi bisogna stare molto attenti a non esagerare con la vitamina D? La situazione è complessa e non è facile rispondere a questa domanda. Così come non è stato facile comprendere il funzionamento delle vitamine. E nemmeno la loro esistenza.

I primi studi in Indonesia sul beri-beri lo hanno associato all’assenza nella dieta di riso integrale

Beri-Beri, polli e riso integrale

Andiamo con ordine. Verso la fine dell’Ottocento, il medico olandese Christiaan Eijkman viene mandato in Indonesia per scoprire le cause del beri-beri, una forma di degenerazione del sistema nervoso.
Questa malattia è molto diffusa nella popolazione locale che si nutre essenzialmente di riso brillato, cioè privato della pula. Il medico nota che anche i polli, se alimentati solo con riso brillato, manifestano i sintomi tipici del beri-beri. Se invece aggiunge alla loro dieta del riso integrale, gli animali stanno bene.
All’epoca si pensava che le malattie fossero sempre causate dalla presenza di un agente patogeno, come un parassita o un batterio. È quindi molto strano osservare che, in questo caso, sia l’assenza di qualcosa a causare la patologia.
Questo qualcosa è presente nel riso integrale e non in quello brillato. Eijkman cerca di far quadrare i conti immaginando che ci debba essere una sorta di tossina alla base del beri-beri e che il riso integrale possa contenere una sostanza in grado di opporsi a tale tossina, una sostanza “protettiva”.

Dalle diete artificiali ai catalizzatori naturali

Un passo avanti per chiarire la questione viene compiuto da Frederick Gowland Hopkins, biochimico inglese che studia le diete artificiali, cioè le diete costituite da sostanze chimicamente controllate, e lo fa utilizzando i topi. Quando gli animali vengono nutriti con proteine, carboidrati, grassi e sali preparati in laboratorio, la loro aspettativa di vita è ridotta a pochi giorni. Se, invece, a questa dieta si aggiunge del latte, i topi vivono normalmente. Anche nell’uomo sono note situazioni simili: il succo di limone viene impiegato per evitare lo scorbuto e l’olio di fegato di merluzzo per combattere il rachitismo. Hopkins mette insieme questi elementi e comprende che gli alimenti naturali, cioè quelli ottenuti da altri esseri viventi (come il latte, il succo di limone ecc.), contengono un enorme numero di sostanze sconosciute utili per la salute. Nel 1912 pubblica un articolo sulla rivista Journal of Physiology in cui scrive che tali sostanze possono essere assunte in quantità estremamente piccole per garantire la crescita regolare di un animale.
A lui basta aggiungere pochissimo latte “naturale” nella dieta “artificiale” dei topi per farli vivere in salute.
Come mai queste sostanze devono essere assunte con la dieta? Secondo Hopkins si tratta di molecole che l’organismo non è in grado di sintetizzare da solo. E come mai basta che siano assunte in piccole quantità? Il biochimico intuisce che la loro presenza consente agli animali di impiegare le molecole e l’energia contenuta nel mangime artificiale. In che modo? Attraverso una funzione catalitica. In sostanza, Hopkins comprende che queste sostanze devono comportarsi come catalizzatori, molecole che hanno la capacità di fare avvenire certe reazioni (in cinetica chimica si dice che abbassano l’energia di attivazione della reazione) rimanendo integre al termine del processo.
Un catalizzatore non si consuma facilmente ed è per questo che ne serve poco all’organismo. Poco, ma ci deve essere, altrimenti qualche via metabolica si blocca e il risultato è che compare qualche malattia.

Ammine vitali…

Cosa sono queste sostanze così preziose? Come Eijkman e Hopkins, anche il chimico polacco Casimir Funk è alle prese con l’inadeguatezza delle diete artificiali e le cause del beri-beri. Nel suo laboratorio cerca di isolare le molecole presenti nella pula del riso ma non nel riso brillato. Si focalizza sugli amminoacidi e sulle proteine, ma non trova nulla. Poi prova a fare degli estratti alcolici, immergendo i diversi campioni di riso nell’alcol in modo da “estrarre” tutte le molecole affini a questo liquido. Riesce così a separare e concentrare una sostanza molto attiva nel proteggere dal beri-beri. Dalle sue analisi risulta che appartiene alla classe delle pirimidine, un particolare tipo di ammina, una sostanza organica che contiene azoto. Per questa ragione Funk la chiama con il termine “vitamina”, cioè ammina vitale. Lo scrive per la prima volta in un articolo sulla rivista Journal of State Medicine nel 1912, lo stesso anno in cui Hopkins presenta i suoi risultati. Funk conia anche il termine “malattie da carenza”, mettendo in chiaro che alcune patologie come il beri-beri o lo scorbuto non sono causate dalla presenza di un agente patogeno ma dall’assenza di vitamine.

… e altre vitamine

L’anno successivo è l’americano Elmer Verner McCollum a fare un ulteriore passo avanti. Si accorge che nel burro è presente una sostanza senza la quale i topi manifestano problemi alla vista. È una sostanza liposolubile che chiama fat soluble A e non si tratta di una ammina. La vitamina che protegge dal beri-beri è invece solubile in acqua e McCollum la chiama water soluble B. Comprende che le vitamine possono essere suddivise in due categorie, quelle idrosolubili e quelle liposolubili. E che non tutte le vitamine in realtà sono delle ammine.

Dalla A alla K

In seguito si parlerà di vitamina A e vitamina B. Quest’ultima, in realtà, viene chiamata B1 e identificata nella molecola della tiamina. Vengono poi scoperte altre vitamine del gruppo B, tutte con la caratteristica comune di svolgere una funzione di coenzima nei processi metabolici. E la vitamina C, anch’essa idrosolubile, che serve per la sintesi del tessuto connettivo ed è un antiossidante. Sul fronte delle vitamine liposolubili, oltre alla vitamina A, che si rivela fondamentale per la sintesi dei pigmenti visivi, vengono individuate la vitamina D, coinvolta nell’assorbimento del calcio e del fosforo, la vitamina E, con un probabile ruolo da antiossidante, e la vitamina K, necessaria per la coagulazione del sangue.

Alimenti ricchi di vitamina D

Eccessi benefici… o dannosi?

Non è stato facile intuire l’esistenza delle vitamine e comprenderne il funzionamento all’interno dell’organismo. Ancora oggi non tutto è chiaro. Si tratta di una classe molto eterogenea di composti che hanno una sola cosa in comune: ne sono necessarie piccole dosi e la loro assenza è dannosa. Questo sembra essere sicuro. Mentre non è affatto chiaro se un’assunzione massiccia faccia bene oppure no. Alcuni dicono di sì. Linus Pauling, due volte premio Nobel (per la chimica e per la pace), è stato uno dei più ferventi sostenitori dell’impiego massiccio degli integratori vitaminici. Altri scienziati, al contrario, evidenziano come troppe vitamine possano risultare dannose. La vitamina C, per esempio, viene smaltita dai reni e un suo eccesso può affaticarli troppo, mentre uno studio pubblicato nel 2013 suggerisce che livelli troppo elevati di vitamina E siano associati addirittura a un rischio più elevato di mortalità generale. A questo si aggiunge la recente ricerca di Sang Min Park sull’effetto negativo della vitamina D sul cancro alla pelle, che sembra confermare ulteriormente l’esistenza di un rischio da sovradosaggio.

Indagini complicate

Va detto che le indagini scientifiche di questo tipo sono particolarmente complesse. Cercare di comprendere come una malattia sia distribuita in una popolazione e quali ne siano le cause e i fattori di rischio è il compito dell’epidemiologia. I ricercatori di questa disciplina impiegano gli strumenti della statistica per produrre stime affidabili. Ma sono consapevoli dei numerosi limiti dei loro risultati. Sulle pagine del loro articolo, Sang Min Park e i suoi colleghi scrivono di aver preso in considerazione un campione di 41 530 uomini e 63 760 donne a cui hanno chiesto di rispondere a questionari per circa 15 anni, raccogliendo così dati su abitudini e stato di salute. È emerso che la porzione di campione che assumeva (con la dieta e/o con gli integratori) più vitamina D era anche quella che aveva riportato più casi di carcinoma basocellulare.
I ricercatori avvertono che quelle persone sono risultate anche le più attente alla loro salute: fumano meno e bevono meno alcol. Per cui non possono escludere che si siano sottoposte a un maggior numero di visite di controllo, con una maggior probabilità di diagnosi del cancro: la maggiore incidenza della malattia potrebbe dipendere solo da un controllo più meticoloso. Se così fosse, la vitamina D sarebbe scagionata. Non solo. I ricercatori precisano che i cibi ricchi di vitamina D potrebbero contenere altre sostanze responsabili della patologia. Per esempio, il pesce e i cereali non sono soltanto fonti di questa vitamina ma anche di arsenico, un possibile fattore di rischio del cancro alla pelle. E se la colpa fosse dell’arsenico? La vitamina D sarebbe di nuovo scagionata.
E infine, il campione di popolazione analizzato è costituito da individui bianchi e con un livello di educazione elevato. Non proprio lo statunitense medio.
Le variabili in gioco sono tante. Gli scienziati spesso non possono dare risposte definitive. Sanno di non sapere. E quando lo scrivono non è poco.

La scienza suggerisce di usare gli integratori solo per le carenze effettive, ma i consumi

Integratori, che passione!

Tuttavia, in questo clima di incertezza, c’è qualcuno che sembra avere le idee molto chiare. Il consumo di integratori alimentari (che contengono anche vitamine) è in continua crescita, soprattutto in Italia. Un’indagine pubblicata a inizio 2016 dal Centro Studi Federsalus stima che il fatturato del 2015 delle aziende italiane del settore è in aumento e vale più di 1 miliardo di euro. Una dieta varia ed equilibrata, preferibilmente di stampo mediterraneo, assicura nella stragrande maggioranza dei casi tutte le vitamine di cui abbiamo bisogno. A meno che non ci siano carenze accertate, il ricorso agli integratori o ai cibi fortificati con vitamine non è necessario. È la scienza che ha troppi dubbi, o sono i consumatori che dovrebbero porsene qualcuno in più?

Linus Pauling premio Nobel per la chimica e per la pace

Due Nobel e una teoria non confermata

Linus Pauling è stato uno dei più importanti chimici e pacifisti della storia. Il suo incessante lavoro di ricerca ha permesso di comprendere più a fondo la natura dei legami chimici e la struttura delle molecole complesse, come gli acidi nucleici e le proteine. Per la prima volta ha dimostrato che una malattia, l’anemia falciforme, può essere causata dalla struttura anomala di una molecola, l’emoglobina. Si è così convinto che anche altre malattie (anche mentali) possono essere curate inserendo nell’organismo le molecole corrette. Si tratta della cosiddetta “cura ortomolecolare” che lo scienziato propone su Science nel 1968: una cura basata su iniezioni di vitamine a malati di cancro, patologie cardiache ecc. Pauling è stato due volte premio Nobel, per la chimica e per la pace. Tuttavia non era infallibile e le sue teorie sulle vitamine non sono mai state confermate dalla comunità scientifica.

PER APPROFONDIRE

  • Green Chemistry. Sito dell’Environment Protection Agency degli Stati Uniti dedicato alla green chemistry. Interessante il link “education”.
  • Cerruti L., Bella e potente. La chimica del novecento tra scienza e società, Editori Riuniti, 2003.
  • Pievani T., Linus Pauling, puntata di WikiRadio su Linus Pauling e la controversia sulla vitamina C.
  • Carpenter K.J., The Nobel Prize and the Discovery of Vitamins, sito uficiale del Premio Nobel.
  • Sito del Linus Pauling Institute, centro di ricerca fondato dallo scienziato nel 1973 e che ancora si occupa del rapporto tra alimentazione e salute.

Scheda didattica

Molecole vitali

di Vincenzo Guarnieri

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Molecole vitali

di Vincenzo Guarnieri

 

Vincenzo Guarnieri: è chimico e ha un dottorato di ricerca in biochimica e biotecnologia cellulare. Si occupa di comunicazione della scienza. Ha pubblicato Maghi e reazioni misteriose (Lapis edizioni, 2007), una storia della chimica per ragazzi.