A spasso verso il bosco

Pineta di pini marittimi

STORIE DI SCIENZA

Una passeggiata dalla città verso la campagna offre varie occasioni per osservare qualche interazione speciale tra le piante e il loro ambiente: il primo passo per nuove scoperte in ambito biomimetico.

Renato Bruni

Marina Abramovic è un tipo strano, una performance artist. Non dipinge, ma crea esibizioni estreme e provocatorie, per molti insensate e per altri geniali, durante le quali obbliga gli spettatori a interagire con lei o con l’esibizione stessa. Per esempio, una volta si è messa nuda sulla soglia di una mostra, costringendo chi volesse accedere a entrare fisicamente in contatto con lei.
Che cosa c’entrano queste bizzarrie con la natura e la scienza? Poco, ma tempo fa ha fornito ai propri allievi una serie di spunti e uno inizia così: «Iniziate a camminare in linea retta attraverso il paesaggio che vi circonda per 4 ore…». Apparentemente priva di senso, questa performance ne acquista solo se protagonista e ambiente interagiscono, scoprendo reciprocamente aspetti nuovi. Non posso chiedervi di stare nudi sulla porta della classe, ma posso proporvi di uscire e camminare per 4 ore mettendovi in relazione con il paesaggio e prestando attenzione a qualche particolare che spiega quanto siano sofisticate le interazioni tra piante e ambiente.

Non tutti i licheni sono ugualmente resistenti, molti non sopravvivono in presenza di smog

Sulla porta, le sentinelle dell’aria

Appena usciti potrebbe sembrarvi di non avere piante da osservare. Qualche performer vegetale però c’è sempre, magari poco vistoso e trascurato: ovunque i licheni punteggiano sassi e muri di giallo ocra o di celeste polveroso. Per 140 anni abbiamo descritto i licheni come simbionti tra un fungo e un’alga (o un cianobatterio), salvo scoprire da poco che la relazione non è di coppia ma triangolare, a conferma di come riscrivere i libri di testo con nuove scoperte sia normale per la scienza.
Negli strati più esterni dei licheni è infatti presente un secondo fungo, meno abbondante, che concorre alla sopravvivenza del lichene stesso producendo sostanze chimiche di difesa.
Il fungo principale assicura invece ancoraggio al suolo, assorbe sali e offre asilo fisico all’alga, che nutre il trio svolgendo la fotosintesi. I licheni passano inosservati non solo per l’aspetto modesto ma anche perché crescono meno di 1 millimetro l’anno, tanto da sembrare più inerti degli stessi muri che li ospitano. Inoltre resistono alla disidratazione, al gelo, alle radiazioni: se durante la passeggiata vi inerpicaste su una montagna i licheni sarebbero gli ultimi organismi a sparire dalla vista. Sembrano indistruttibili, ma hanno un tallone d’Achille che li può rendere utili per monitorare la qualità dell’aria. Molti licheni sono sensibili allo smog e non riescono a crescere se nell’aria vi sono gas inquinanti, in particolare anidride solforosa e ossidi di azoto, immessi nell’aria da varie attività umane.
L’anello debole è l’alga, indifesa contro i gas che, reagendo con la clorofilla, bloccano la fotosintesi, ovvero la vita.

Edera che cresce saldamente adesa a un tronco

In periferia, le nanotecnologie

Uscendo dalla città e cominciando a incontrare qualche albero, in un parco o in un viale, è facile imbattersi in un’edera che abbraccia solidamente un tronco. Staccarla è quasi impossibile: è così tenace da reggere una forza pari a 2 milioni di volte il proprio peso e da poco sappiamo come ci riesce, grazie a indagini condotte a braccetto da botanici, chimici e ingegneri.
Anche nella scienza infatti le performance migliori si ottengono quando tutti gli attori interagiscono. La capacità adesiva dell’edera è dovuta a nanoparticelle secrete dai peli radicali prodotti delle sue radici avventizie e si esplica in più fasi. Anzitutto c’è un primo contatto tra radice e supporto (in questo caso un albero, ma potrebbe essere anche un muro), cioè un’adesione fisica che permette l’appoggio, poi un’adesione chimica che salda il contatto, mediata appunto dalle nanoparticelle, e infine un accorciamento che trascina con sé il fusto. Tutto avviene con una precisa scala dimensionale: la radice è dell’ordine dei millimetri, il pelo radicale dei micrometri e le particelle adesive non sono altro che una versione vegetale delle nanotecnologie. Ogni rametto di edera sviluppa ciuffi di radici dotate di un fitto vello di peli radicali, protesi all’esterno come microscopici tentacoli e divisi in due tipologie: a spatola per le superfici lisce e a cavatappi per intrufolarsi meglio su quelle più irregolari.
È sufficiente il contatto con il supporto per stimolare il rilascio di un gran numero di sferette contenenti proteine legate a zuccheri chiamati arabinogalattani.
Grazie alle piccole dimensioni, le sferette attraggono fisicamente la superficie di contatto con forze deboli di tipo elettrostatico, labili singolarmente ma favorite dalla numerosità e dalla fluidità, che consente di penetrare negli interstizi senza creare sacche d’aria tra radice e sostegno, cosa impossibile per un adesivo classico. In pratica, sebbene i legami prodotti siano deboli, il loro enorme numero genera un effetto cooperativo analogo alle corde lillipuziane che intrappolano Gulliver.
Nelle ore successive i peli così adesi si disidratano, si accorciano e avvicinano per trazione meccanica radice e ramo al supporto. In questa fase le goccioline si fondono tra loro e avviano l’adesione chimica definitiva, che avviene con un meccanismo simile: dapprima una serie di legami deboli tra ioni calcio e zuccheri avvicina le molecole e poi si formano legami covalenti più forti tra radice e superficie, generando un materiale che salda indissolubilmente l’edera al suo tronco.

Ho sentito qualcosa!

Entro le 4 ore di passeggiata la città dovrebbe essere lontana e dovreste essere in campagna o in un bosco. Con case e inquinamento se ne sono andati anche i rumori – e sono comparsi più licheni – rivelando forse nuovi suoni.
Le performance con cui le piante si relazionano all’ambiente possono infatti prevedere emissioni acustiche, rigorosamente sottovoce, perché qualunque suono nel bosco diventa una possibile guida per i nemici. Gli alberi ad alto fusto, per esempio, in condizioni climatiche particolari producono suoni ritmici per effetto della cavitazione che si genera durante il trasporto dell’acqua, un fenomeno fisico legato ai fluidi in pressione e movimento, due condizioni presenti nei vasi xilematici degli alberi, quelli che trasportano acqua e nutrienti dalle radici verso le foglie.
Questi vasi sono rigidi e si comportano come cannucce, rispetto alle quali la traspirazione della chioma opera come un aspiratore. La cavitazione si presenta quando la tensione di vapore al loro interno diventa abbastanza forte da far evaporare parte dei gas disciolti nell’acqua trasportata, formando bolle e producendo una caratteristica serie di schiocchi. Questo concertino va in scena soprattutto durante i periodi di siccità, quando la perdita d’acqua della chioma non è compensata dall’assorbimento radicale. La cavitazione, però, con le sue bolle blocca il transito dell’acqua e se la pianta non riesce a rimediare va incontro a un progressivo indebolimento. Molte cavitazioni producono molti schiocchi e molti schiocchi significano guai in vista: il suono della cavitazione è quasi inudibile dall’uomo ma è captato da alcuni insetti xilofagi sensibili agli ultrasuoni, per i quali è dolce musica poiché segnala una preda in difficoltà.
Le performance acustiche non riguardano però solo il rischio di farsi aggredire, ma anche la possibilità di difendersi meglio, grazie a suoni percepiti dalle piante nel silenzio del bosco. Gli insetti che masticano una foglia emettono per esempio una vibrazione sonora caratteristica, che cavoli e senape riescono a captare usandola come segnale di allarme. Sia in piante masticate sia in piante non aggredite questo suono induce un aumento di alcune sostanze pungenti che le piante usano come deterrente (le stesse che rendono piccanti senape e wasabi).

Sulla via del ritorno

Se siete nel bosco e sono passate quattro ore dalla partenza posso svelarvi in che cosa consiste la parte finale della performance suggerita dalla Abramovic: «Riposatevi e ritornate al punto di partenza seguendo lo stesso percorso». Sta a voi scovare qualche altra manifestazione delle piante durante il tragitto inverso: se mi avete dato retta mancano almeno quattro ore di cammino per tornare davanti alla porta della scuola.

Biomimetica

La biomimetica è una strategia interdisciplinare di sviluppo di nuovi materiali, oggetti o processi a partire dall’osservazione di fenomeni naturali. Il sistema adesivo dell’edera, per esempio, ha ispirato nuovi collanti da usare in chirurgia, mentre le dinamiche con le quali api e termiti coordinano le loro attività sono state studiate e usate per gestire condizionatori e impianti elettrici riducendo gli sprechi. O ancora, osservando il funzionamento delle trappole nelle piante insettivore Nepenthes si sono ottenuti materiali super repellenti da usare in diversi ambiti. Nel 2013 si è stimato che il giro d’affari mondiale della biomimetica potrà superare 1000 miliardi di dollari entro il 2030, contribuendo a una riduzione dei danni e dei consumi ambientali (inquinamento, uso di risorse non rinnovabili) pari a 500 miliardi.

Eempio di lichene fruticoso

I licheni come indicatori ambientali

La diversa vitalità dei licheni in diverse condizioni ambientali permette di verificare la qualità dell’aria in modo capillare ed economico, quasi strada per strada. Dato che quelli resistenti agli inquinanti atmosferici sono pochi, la scarsa diversità è già un indicatore: se sono del tutto assenti o ne compaiono meno di 3 specie differenti significa che la qualità atmosferica è bassa, poiché di norma in condizioni di aria pulita se ne possono trovare oltre 10. I licheni si distinguono in 3 categorie in base all’aspetto crostoso (a placca), fruticoso (ramificato) o foglioso (intermedio tra i due). Mentre i primi sono più resistenti e facili da osservare in città, gli altri richiedono climi più umidi e stentano se l’aria è inquinata. Per esempio, i licheni crostosi color ocra del genere Xanthoria prosperano anche in prossimità di impianti industriali, mentre la barba del frate, che ha aspetto ramificato, muore se l’aria non è cristallina.

PAROLE CHIAVE

Avventizia Struttura vegetale in posizione inusuale, per esempio le radici collocate a livello dei nodi di un fusto.

Cianobatteri Batteri in grado di compiere la fotosintesi grazie a pigmenti blu o rossi. Un tempo erano considerati alghe.

Legame covalente Legame chimico generalmente stabile in cui due atomi condividono coppie di elettroni. Richiede più energia per essere scisso rispetto a un legame ionico.

Nanoparticelle Materiali solidi o liquidi aventi un diametro inferiore a 100 nanometri (1 nm corrisponde a un miliardesimo di metro).

Peli radicali Estroflessioni dell’epidermide vegetale presenti nella parte terminale delle radici, con funzione di assorbimento di acqua e sali.

Simbiosi Condizione di vita associata, più o meno intima e permanente, tra diverse specie animali o vegetali (o anche l’una animale e l’altra vegetale). Non comporta danni reciproci e può anzi comportare mutuo vantaggio.

Xilofagi Insetti, in genere parassiti delle piante arboree, che in uno o più stadi della loro vita si nutrono di legno. Possono infestare anche i mobili.

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A spasso verso il bosco

di Renato Bruni

 

Renato Bruni è professore associato in Biologia Farmaceutica all’Università di Parma. È cofondatore del gruppo di ricerca LS9-Bioactives & Health e autore del blog Erba Volant, di un libro sulla biomimetica vegetale dallo stesso titolo e di un libro di prossima uscita sul rapporto tra scienza e giardini (Le piante son brutte bestie).