Ottobre è il mese in cui si inizia a lavorare pienamente alla didattica, dopo le prime settimane dedicate all’accoglienza. È un tempo di cambiamento, per gli adulti e per i bambini che vivono la scuola: a volte si tratta di un cambio di aula, a volte di un cambio di libri.
Possono esserci anche cambiamenti strutturali e mutamenti imprevisti, o poco auspicati. La scuola è abitata dal precariato, pertanto per noi docenti cambiano spesso i colleghi, si avvicendano metodologie, si devono tessere nuovi rapporti professionali ed educativi. Si cambiano alunni, e gli alunni cambiano insegnanti.
In questo mese veloce, che corre nei colori dell’autunno, ci raggiunge anche l’eco del dibattito mediatico sullo stato di salute della scuola, sulle sue risorse, sui suoi doveri e sulle sue mancanze.
Si mostrano i dati statistici che evidenziano le disparità, il divario sociale, il tasso di abbandono e dispersione (accentuatosi con l’emergenza covid-19), l’inadeguatezza dell’insegnamento delle STEM o delle lingue straniere.
Eppure – lo abbiamo visto tutti nel periodo peggiore, il lockdown del marzo 2020 – la scuola è e rimane il luogo di inclusione e di educazione per eccellenza, il luogo della democrazia attuabile ogni giorno, una straordinaria occasione di possibilità culturali condivise, per tutti.
Per realizzare la scuola come strumento concreto della democrazia è necessario però ricominciare a osare. Bisogna farsi scaltri, come professionisti, non lasciarsi schiacciare dalle consuetudini che, nonostante le eccellenti Indicazioni Nazionali, in vigore dal 2009, poi rinnovate nel 2012, vedono ancora lo spettro dei programmi, con elenchi di contenuti da esaurire, alla guida della progettazione didattica.
Bisogna osare, e pertanto progettare oggi, una scuola connotata da una forte partecipazione da parte di tutti: le famiglie hanno collaborato e partecipato, nel periodo dell’emergenza sanitaria più aspra, nei modi e nelle forme che erano loro possibili, alla didattica a distanza. Nonostante le fatiche organizzative hanno per lo più compreso la complessità del lavoro scolastico. Sono “entrati” nell’aula virtuale e hanno respirato situazioni didattiche. Spesso, sono stati di supporto ai bambini e alla scuola, che muoveva i primi passi nell’educazione a distanza. Facciamo allora delle famiglie definitivamente degli alleati per permettere quella permeabilità tra ambiente scolastico fisicamente detto e ambiente di vita dei bambini e dei ragazzi: l’assenza di muri e cesure rigide consente un’apertura di sguardi sia da parte delle famiglie, che possono comprendere meglio le esigenze della scuola, sia dei docenti, che possono beneficiare di relazioni collaborative nutrienti con chi non viene dal mondo professionale pedagogico-didattico, ma può contribuire non poco alla costruzione di percorsi di apprendimento, se coinvolto e interpellato.
Un’esperienza interessante di cui abbiamo avuto notizia in questo senso è stata, per esempio, la realizzazione di “lezioni” online in cui alcuni genitori volontari si sono resi disponibili per raccontare, con il supporto di immagini e slide, il proprio mestiere o ambito lavorativo. Così i bambini sono venuti a contatto direttamente – e con grande emozione - con un papà elettricista che lavora in aeroporto, nella gestione delle luci delle piste di decollo e atterraggio, con una mamma tecnologa alimentare, che ha raccontato la filiera di alcuni alimenti che troviamo pronti in vaschetta nei supermercati, con un marketing manager, che con la sua squadra di lavoro crea le campagne pubblicitarie ben conosciute dai nostri alunni, e infine con una fisioterapista, che si occupa di aiutare ragazzi con difficoltà motorie e si prende cura di sportivi infortunati. Un’occasione d’oro per capire che non si impara solo dai propri docenti e che ognuno porta con sé, nel proprio vivere, uno straordinario patrimonio di conoscenze e competenze.
Sempre grazie alla pandemia è stato esplicitato, in maniera forse forzata per qualcuno, il valore degli spazi aperti, dal verde delle scuole al quartiere. Una scuola che voglia osare percorsi formativi di qualità, orientati alla scoperta, all’acquisizione di competenze, non può prescindere dall’apertura al territorio nell’elaborazione della proposta didattica. Apprendere in natura, apprendere attraverso i servizi del territorio, apprendere con gli interlocutori del proprio contesto socio-culturale alimenta il senso di cittadinanza dei bambini, li responsabilizza, li rende più consapevoli di ciò che vivono nella loro quotidianità.
Lo scorso anno scolastico per esempio, in un comune della provincia di Monza, è accaduto che, a fronte dell’impossibilità dei ragazzi di andare in visita alla Biblioteca Civica, sia stato il personale della stessa a offrirsi di portare libri e “assaggi di lettura” nei giardini delle scuole, o in luoghi convenuti nei quartieri di pertinenza, realizzando così un servizio diffuso nuovo e mettendo in atto agli occhi dei bambini ciò che davvero fa l’evoluzione del tessuto urbano: la flessibilità dei servizi e la possibilità di andare incontro a nuove esigenze con nuove idee e nuove strategie.
Osare nuove alleanze con gli interlocutori territoriali permette anche ai bambini di coltivare il senso della partecipazione come modo di stare al mondo, cooperando per migliorare l’ambiente di vita, imparando l’importanza di dialogare con le istituzioni, vivendo regolarmente occasioni per scoprire da sé che sviluppare un senso di appartenenza collettivo alla realtà in cui siamo immersi è arricchente e stimola un senso di autostima, da un lato, e di conviviale gioia del fare insieme, dall’altro.
Alcuni esempi di “buone prassi” in questo senso ci sono pervenuti da una scuola primaria in cui la società erogatrice dei pasti si è posta come partner e interlocutore dei ragazzi e dell’istituzione scolastica. In primo luogo, a fronte della richiesta di evitare il più possibile che l’esigenza di proteggere il momento dei pasti si trasformasse in una “colata di monodosi plastificate”, la società incaricata ha proposto che i bambini portassero a tavola le proprie borracce, già in uso durante la giornata, evitando caraffe da condividere e bicchieri da lavare. In cambio è stato garantito il piatto di ceramica, nel quale è stato predisposto il pasto tradizionale, distribuito da inservienti formati e protetti nel rispetto della normativa covid. I bambini, d’altro canto, hanno vissuto come necessaria e comprensibile una turnazione maggiore negli ambienti della mensa, dove potevano accedere meno classi in contemporanea rispetto al passato.
Inoltre, a fronte dell’elevato quantitativo di avanzi di cibo in mensa, la società erogatrice dei pasti ha indetto un questionario, progettato ad hoc per bambini della fascia di età 6-10 anni, dunque illustrato e semplice nel linguaggio, da compilare per una settimana, giorno dopo giorno, dopo i pasti. Sono emerse diverse consapevolezze nei bambini (qualcuno ha detto: “Mangio tanto pane perché arrivo affamata a tavola, poi lascio il secondo perché non ce la faccio più”, oppure “Se sapessi prima che cosa c’è di secondo sceglierei di mangiare un po’ di primo anche se non mi piace molto, perché magari non mi piace nemmeno il secondo, e in fondo il primo non è poi così male…devo sempre leggere il menù!”), e per la società erogatrice del servizio preziosi indicatori, che hanno portato per esempio alla creazione di un cartello ben visibile con il menù del giorno, alla somministrazione delle verdure come primo piatto, all’utilizzo di un’attenzione cromatica nella composizione dei piatti (non più pasta olio e grana seguita da cavolfiore e crescenza, che nell’insieme è percepibile come un pasto “tutto bianco”, scialbo, incolore, ma un’alternanza di alimenti con colori contrastanti che portano maggiore allegria in tavola, pur mantenendo gli stessi apporti nutrizionali). Un esempio di alleanza bambini-servizio mensa che ha generato nuovi apprendimenti e migliorato alcuni comportamenti alimentari negli alunni.
Osare la scuola significa allora, nonostante i vincoli, le impossibilità, i cambiamenti che mortificano o destabilizzano, riscoprire le possibilità della scuola in relazione al mondo, scoprire con i più piccoli che ci sono mille occasioni di imparare nel contesto, che ogni accadimento può generare e accrescere il senso di meraviglia, il motore più potente per ogni percorso di apprendimento, e suscitare domande a cui rispondere insieme, sperimentando alleanze sempre più ampie.
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