Imparare le figure retoriche con le immagini

APPROFONDIMENTI DISCIPLINARI - SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO E SECONDO GRADO

Parole e immagini sono i segni attraverso i quali l’uomo elabora la propria rappresentazione del reale. I meccanismi con cui comunica un’immagine sono simili a quelli linguistici e, allo stesso modo, segni linguistici possono essere interpretati per mezzo di segni non linguistici. Anche in ambito figurativo si possono utilizzare meccanismi e tecniche di manipolazione retorica per ottenere effetti particolari.
In questo articolo ci si propone di fornire un repertorio di opere d’arte che aiutino nella comprensione di alcune figure retoriche.

Serena Colombo

Il linguaggio verbale e quello iconico sono strettamente collegati: nel suo trattato sulla pittura Leon Battista Alberti (1404-1472) suggerisce ai pittori di interessarsi alle opere letterarie, come fonte di idee per le proprie invenzioni.

«[…] Pertanto consiglio ciascuno pittore molto si faccia famigliare ad i poeti, retorici e agli altri simili dotti di lettere, già che costoro doneranno nuove invenzioni, o certo aiuteranno a bello componere sua storia, per quali certo acquisteranno in sua pittura molte lode e nome. Fidias, più che gli altri pittori famoso, confessava avere imparato da Omero poeta dipignere Iove con molta divina maestà. Così noi, studiosi d’imparare più che di guadagno, dai nostri poeti impareremo più e più cose utili alla pittura». (Leon Battista Alberti, De Pictura, libro III, 54)

Parole e immagini sono i segni attraverso i quali l’uomo elabora la propria rappresentazione del reale. I meccanismi con cui comunica un’immagine sono simili a quelli linguistici e, allo stesso modo, segni linguistici possono essere interpretati per mezzo di segni non linguistici. Rispetto alla parola però l’immagine può da sola equivalere a un testo, cioè può proporre un discorso in modo immediato. Ha quindi forza di sintesi e maggiore impatto, tanto da essere ampiamente utilizzata dalla comunicazione persuasiva (ad esempio nella pubblicità, ambito in cui si può riscontrare l’utilizzo di numerose figure retoriche). Anche in ambito figurativo vengono utilizzati meccanismi e tecniche di manipolazione retorica per ottenere effetti particolari.

In questo articolo ci si propone di fornire un repertorio di opere d’arte che aiutino nella comprensione di alcune figure retoriche – che già nella loro denominazione indicano la stretta relazione tra lingua e immagine (figura) –. Le principali funzioni del linguaggio verbale possono essere applicate a quello visivo, con meccanismi simili; non tutte le figure retoriche hanno un corrispettivo visivo, mentre si può verificare il caso in cui in una sola immagine possano essere presenti più di una figura retorica. La classificazione delle figure retoriche si basa su quella operata nel volume di Silvana Ghiazza e Marisa Napoli, Le figure retoriche. Parola e immagine, Bologna 2007.

Figure di ripetizione

Sono caratterizzate dalla ripresa di uno o più elementi del discorso a cui vengono collegati elementi nuovi, stabilendo corrispondenze di varia natura. A livello visivo si verifica la ripresa, all’interno di un’immagine, di un dettaglio, così da determinare un ritmo compositivo.

Allitterazione

Consiste nella ripetizione di una lettera o sillaba o, più in generale, dello stesso suono, vocalico o consonantico, all’inizio o nel corpo di parole vicine. In ambito visivo potrebbe corrispondere al ripetersi regolare di un elemento, così da determinare un ritmo o un movimento. Giacomo Balla (1871-1958), uno degli esponenti del Futurismo, nell’opera intitolata Bambina che corre sul balcone riproduce lo spostamento veloce di una bambina ripetendo più volte (anche se in posizioni leggermente variate) la stessa forma: il tacco e la punta dello stivaletto, gli spigoli di gomito e ginocchio piegati, la testa. Come nell’allitterazione il susseguirsi degli stessi suoni in parole vicine produce una melodia e un ritmo sonoro, allo stesso modo il ripetersi leggermente variato di alcuni dettagli crea un ritmo fisico e un effetto di movimento.

Doriforo Policleto

Chiasmo

Questa figura retorica si verifica con la disposizione in ordine incrociato di elementi di due enunciati paralleli (AB – BA), così da ottenere la lettera dell’alfabeto greco antico χ (chi), da cui deriva la parola “chiasmo”. Anche dal punto di vista visivo si ottiene un chiasmo con la disposizione in ordine incrociato di elementi o immagini. Modello per eccellenza del chiasmo (o contrapposto) in scultura è considerato il Doriforo di Policleto (450 a.C. circa), dove troviamo la corrispondenza incrociata tra arti in tensione e arti in riposo: al braccio sinistro, impegnato a reggere il giavellotto, corrisponde la tensione della gamba destra che sostiene il peso del corpo; al braccio destro rilassato corrisponde la gamba sinistra a riposo, piegata, con la punta del piede a sfiorare appena il suolo.

Onomatopèa


Consiste nella riproduzione in una lingua di suoni non verbali, come rumori o versi di animali, traducendoli in parole che hanno i fonemi e la grafia della lingua stessa. Si tratta di un processo variabile a seconda delle diverse lingue poiché ne segue le norme fonologiche o grafematiche. L’artista statunitense Roy Lichtenstein (1923-97) introduce nel mondo dell’arte immagini quotidiane, riducendo la vita alla dimensione del fumetto. I suoi dipinti, realizzati attraverso una particolare tecnica che riproduce la retinatura della stampa, sembrano ingrandimenti di vignette innalzati alla dignità di quadri d’artista. Whaam! (1963), una delle sue opere più note, è un dittico che nel pannello di destra presenta l’esplosione di un aereo tra le fiamme. Il boato prodotto dall’evento non solo dà il titolo all’opera, ma viene ribadito da una gigantesca scritta onomatopeica. Roy Lichtenstein, Whaam!, 1963, Londra, Tate Modern.

tiziano amore sacro amore profano

Antitesi

Consiste nell’accostamento di due parole o frasi di significato opposto in una relazione che ne sottolinea l’incompatibilità. Il nesso fra i termini antitetici è sempre esplicitato da congiunzioni. 

Amore sacro e amore profano è il titolo che venne dato nel Settecento al capolavoro giovanile di Tiziano Vecellio (1490 ca.-1576), secondo una lettura moralistica del dipinto che contrapponeva due aspetti dell’amore, personificati da una figura femminile vestita e casta e da una figura seminuda in atteggiamento languido e sensuale. Questa interpretazione propone dunque un’antitesi in cui il piccolo putto rappresenterebbe la “congiunzione coordinante”. Il dipinto, commissionato al giovane artista in occasione delle nozze di una coppia veneziana, secondo una lettura più recente presenterebbe nelle due donne di simile perfezione la contrapposizione tra la breve felicità terrena (simboleggiata dalla donna vestita che tiene nella mano un vaso di gioielli) e la felicità eterna e celeste (simboleggiata dalla donna seminuda che reca in mano una lucerna, simbolo della fiamma ardente dell’amore di Dio).

Ossimoro

Consiste nell’accostamento di due termini di significato opposto in un’unica espressione così che si riferiscano a una medesima entità. I due termini opposti non sono semplicemente in contrasto tra loro ma si fondono in un’unica immagine, producendo una realtà nuova. In ambito visivo si verifica con l’accostamento di immagini che presentano realtà contrarie, o di elementi contrari all’interno di una medesima immagine. L’effetto ottenuto è straniante.

L’impero delle luci di René Magritte (1898-1967) è quasi il corrispettivo visivo dell’ossimoro leopardiano «chiara ... notte». L’artista belga ha contrapposto, nelle due metà della tela, un cielo azzurro intenso percorso da nuvole bianche e una casa in un parco immersa nel buio cupo della notte, con solo la luce di un lampione. «Trovo – ha scritto – che questa contemporaneità di giorno e notte abbia la forza di sorprendere. Chiamo questa forza poesia». Le due realtà opposte si compenetrano dando luogo a una nuova realtà: nell’ombra c’è la luce del lampione, nel cielo azzurro spicca l’albero scuro in controluce. René Magritte, L’impero delle luci, 1953-54, Venezia, Peggy Guggenheim Collection.

modigliani

Figure di amplificazione

Sono tutte quelle figure retoriche che seguono un procedimento volto ad accrescere o intensificare un’espressione o un messaggio, a livello sia verbale sia iconico.

Iperbole

L’iperbole consiste nell’ingrandire o rimpicciolire all’eccesso un particolare elemento, per dare maggior forza al messaggio che si vuole comunicare. Nella tela di René Magritte dal titolo La camera d’ascolto, una mela enorme invade una stanza. Le esagerate dimensioni del frutto alterano le proporzioni reali tra gli oggetti, suscitando un effetto di straniamento. Non resta che guardare oltre la mela, fuori dalla finestra, e ascoltare ciò che il quadro vuole che ascoltiamo, l’unico suono puro: il silenzio. René Magritte, La chambre d'écoute (La camera d’ascolto), 1952, Houston, The Menil Collection.

Anche i colli lunghissimi ed esili delle figure femminili di Amedeo Modigliani (1884-1920) – per esempio il Ritratto di Jeanne Hébuterne del 1919 – corrispondono in ambito figurativo all’iperbole; l’estensione esagerata del collo colpisce l’osservatore provocando in lui stupore e suscitando domande sul motivo di tale raffigurazione: Modigliani voleva così sottolineare alcuni caratteri specifici delle sue donne, come la raffinatezza e al contempo la fragilità.

Similitudine

Si tratta della figura retorica che mira a chiarire un concetto, mettendolo a confronto con un altro che abbia con il primo elemento di somiglianza. In ambito figurativo si ottiene una similitudine accostando immagini diverse che si richiamano per qualche elemento di somiglianza o nella forma o nel concetto. Un esempio di similitudine si trova nel dipinto Le tre età dell’uomo di Friedrich: la vita dell’uomo e le sue diverse età sono paragonate alle barche a vela e il percorso dell’esistenza umana è simile a quello delle imbarcazioni nel mare.

friedrich le tre età dell'uomo

Climax

Consiste nel disporre frasi, sostantivi e aggettivi secondo un ordine basato sulla crescente intensità del loro significato (climax ascendente), per creare un effetto di progressione che potenzia l'espressività del discorso. Se l’intensità è decrescente, cioè nel caso in cui si voglia ridurre la carica semantica dell’enunciato, si parla di anticlimax. In ambito figurativo può corrispondere al climax l’accostamento di immagini che amplificano (o riducono) un concetto.

Ad esempio Caspar David Friedrich (1774-1840) rappresenta Le tre età dell’uomo raffigurando due bambini che giocano sulla riva, il padre in piedi al centro e un anziano con il bastone, il nonno, che li sta raggiungendo. Lo stesso concetto è espresso attraverso le barche sull’acqua: le più piccole sono appena salpate, quella al centro ha preso il largo e simboleggia l’età matura, mentre i due velieri in mare aperto, sulla linea dell’orizzonte, pronti a scomparire alla vista, rappresentano l’ultima fase della vita.

Riguardano i casi in cui si interviene su uno o più elementi di un enunciato, prima eliminandoli e poi sostituendoli con altri. Dal punto di vista figurativo si mette al posto di un’immagine, o di una parte di essa, un’altra immagine o altri elementi in apparenza estranei ma in realtà ricollegabili ad essa.

Metafora

Si tratta del processo espressivo e della figura retorica per cui un vocabolo o una locuzione sono usati per indicare non i referenti propri, ma un altro referente a essi legato da un rapporto di similitudine, per es. «l’ondeggiare delle spighe» o «sete di giustizia». (Treccani).

Nel dipinto L’acqua di Giuseppe Arcimboldo (1526-93) uno dei quattro elementi della cosmologia aristotelica è dato attraverso referenti legati all’acqua da un rapporto metaforico. Ad esempio, una conchiglia sta per l’orecchio: le forme sono affini e la conchiglia amplifica il rumore del mare, esattamente come il padiglione auricolare con i suoni.

jacopo torriti

Sineddoche

«Il meccanismo che genera la sineddoche è quello della sostituzione semantica del tutto con la sua parte o, viceversa, di una parte con il tutto. [...]. Fra le due parole implicate – quella che si vuole intendere e quella che la sostituisce nell’enunciato – vi è dunque una relazione quantitativa, un rapporto di inclusione: una è compresa entro l’altra, ne fa parte, e nello stesso tempo è concretamente individuabile, può essere isolata, separata dal tutto» (Ghiazza-Napoli). 

Nella pittura medievale l’intervento di Dio è indicato solitamente attraverso la raffigurazione di una mano che scende dall’alto, uscendo dal cielo o da una nuvola. Quindi una parte, la mano, indica il tutto. In uno degli episodi dell’Antico Testamento dipinto sulla parete settentrionale della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi (La costruzione dell’arca, di Jacopo Torriti) troviamo la scena di Noè e l’arca: il suggerimento di costruire un’arca per sopravvivere al diluvio è dato dalla mano divina che uscendo da una nuvola ispira il patriarca. La mano rappresenta Dio attraverso una sineddoche.

munch l'urlo

Sinestesia

La sinestesia è una figura retorica che «consiste nell’associare in un’unica immagine due parole o due segmenti discorsivi riferiti a sfere sensoriali diverse» (Treccani).

«Una sera passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la città e sotto di me il fiordo... Mi fermai e guardai al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando» Così Edward Munch (1863-1944) descrive la genesi della sua opera più celebre, L’urlo. La figura terrorizzata in primo piano, con il viso deformato dalla paura, sembra emettere un grido che diventa universale perché coinvolge la natura circostante. Sono i colori stessi e gli accostamenti violenti a provocare la sensazione angosciosa di un grido che riecheggia: si tratta dunque di una sinestesia poiché sono coinvolte due sfere sensoriali diverse, quella visiva e quella uditiva.

Allegoria

Si tratta di una figura retorica, per la quale «si affida a una scrittura (o in genere a un contesto, anche orale) un senso riposto e allusivo, diverso da quello che è il contenuto logico delle parole. Diversamente dalla metafora, la quale consiste in una parola, o tutt’al più in una frase, trasferita dal concetto a cui solitamente e propriamente si applica ad altro che abbia qualche somiglianza col primo, l’allegoria è il racconto di una azione che dev’essere interpretata diversamente dal suo significato apparente» (Treccani).

Nel linguaggio iconico l’allegoria è molto usata in quanto materializza in forme concrete concetti astratti. La sostituzione di concreto/astratto si applica a ciascun elemento dell’immagine, in un contesto semanticamente coerente. Il soggetto del quadro intitolato La calunnia dell’artista fiorentino Sandro Botticelli (1445-1510) deriva dalla fedele imitazione di un perduto dipinto allegorico del pittore greco Apelle di Kos (IV secolo a.C.), descritto, nell’epoca della Seconda Sofistica (II secolo d.C.), nel trattatello Come difendersi dalla calunnia di Luciano di Samosata e ripreso nel De Pictura di Leon Battista Alberti.

La tela di Botticelli propone in maniera fedele l’episodio allegorico originale, un racconto il cui significato si ritrova nella lettura globale dei singoli elementi che compongono la scena. In una grandiosa aula, riccamente decorata di marmi e rilievi dorati e affollata di personaggi, re Mida in trono, nelle vesti del cattivo giudice con orecchie d’asino, viene consigliato da due figure femminili, personificazioni (vedi sotto) di Ignoranza e Sospetto. Davanti a lui l’uomo con il cappuccio nero e coperto di stracci è Livore, che tiene per il braccio la Calunnia, una donna molto bella, che si fa acconciare i capelli da Insidia e Frode; Calunnia trascina a terra il calunniato e con l’altra mano impugna una fiaccola che non fa luce, simbolo della falsa conoscenza. La vecchia sulla sinistra è il Rimorso, che si gira verso la Nuda Verità; quest’ultima a sua volta alza lo sguardo verso il cielo, da dove viene l’unica vera fonte di giustizia. Alla base del dipinto si legge un’iscrizione «clavdite qvi regitis populos his vocibus aures sic manibus lapsus nostris pinxit apelles» che riassume il contenuto allegorico del dipinto stesso, invitando i reggitori dei popoli a diffidare dalla calunnia. Secondo gli studiosi con quest’opera forse Botticelli intendeva rivendicare la propria innocenza di fronte a una falsa accusa, oppure difendere il banchiere Antonio Segni, calunniato ingiustamente o, ancora, riferirsi al Savonarola, considerato iniquamente perseguitato dal potere politico ed ecclesiastico.

giotto giustizia

Personificazione

La personificazione consiste nell’attribuire a cose o ad animali, ma anche a forze o fenomeni naturali e idee astratte, azioni o sentimenti umani. In ambito iconico necessariamente concetti astratti devono essere traslati in immagini concrete. Tra le personificazioni più diffuse, soprattutto in epoca medievale, sono quelle dei Vizi e delle Virtù.

Nel registro inferiore della Cappella degli Scrovegni, a Padova, Giotto ha affrescato a monocromo entro nicchie, come se fossero statue, personificazioni di Vizi e Virtù che si fronteggiano a coppie di opposti, per simboleggiare il percorso verso la beatitudine, da effettuarsi superando con la cura delle virtù gli ostacoli posti dai vizi corrispondenti. Nel caso della Giustizia, il concetto astratto si concretizza in una figura femminile assisa su un elegante trono mentre regge una bilancia. Sui due piatti di svolgono una scena di pagamento e un’esecuzione capitale. La base del trono è istoriata con scene di buon governo. Le si contrappone l’Ingiustizia, una figura maschile inserita entro un’architettura merlata. Ai suoi piedi lo stravolgimento della norma è rappresentato da scene di ruberia e di violenza consumate ai danni di viandanti.

 

Serena Colombo è storica dell’arte, insegna Storia dell’arte medievale e moderna presso l’Università dell’Insubria di Como. Si occupa anche di didattica e di divulgazione, operando nel settore dell’editoria specializzata (scolastica, guidistica) sia come autore sia come editor.