Da tempo chi segue con attenzione le vicende dei sistemi scolastici e il loro rapporto con le realtà sociali e produttive guarda con preoccupazione al fenomeno della dispersione scolastica e al crescente disallineamento di competenze acquisite nel percorso di istruzione e quelle richieste nella complessa dimensione del lavoro.
L’inquietudine deriva soprattutto dalla constatazione che spesso si pongono in atto azioni compensative, più che preventive e funzionali a una corretta ricomposizione di sistemi che, nella Knowledge Society, non possono non dialogare. Le statistiche, le indagini, le grida d’allarme sono continue. Tuttavia si ha l’impressione che, al di là di particolari situazioni di ricerca avanzata e di progettualità innovativa, manchi un’azione sistematica e sistemica per promuovere quella che è la vera chiave strategica per cambiare radicalmente: un’azione continua, pervasiva e organica di orientamento.
Orientare con le discipline…
Spesso gli istituti di istruzione secondaria, le università e i vari enti formativi tendono a sovrapporre l’azione orientativa con il marketing e forse è anche inevitabile che non sia facile distinguere nettamente le due dimensioni. È dunque ormai evidente e urgente la necessità di un orientamento che parta dalle aule, dalla vita scolastica ordinaria, quella che si fa in classe tutti i giorni e si attui quella pratica che da qualche decennio molti di noi vanno sostenendo, ma che è assai difficile attuare, di valorizzare le caratteristiche di ogni allievo mediante lo studio delle discipline. Orientare grazie alle discipline di studio: questa è la sfida che la complessità di oggi ci chiede e alla quale non possiamo sottrarci.
Probabilmente dovremo rivedere molto sia dei contenuti sia degli assetti epistemologici, ma se non penseremo a suscitare passioni mediante il sapere, continueremo a distinguere il mondo fra bravi e svogliati. Continueremo ad applicare alla scuola del XXI secolo criteri e modi del XX, se non persino del XIX, e dovremo continuare a fingere che tutto vada bene di fronte a sistematiche forme di inadeguatezza, illudendoci che, una volta fuori dal nostro sistema (scola-stico di primo o secondo grado, e universitario) quello successivo, e forse la vita, risolveranno i problemi.
… e tenendo conto del contesto esterno
Ridefinire l’orientamento significa cominciare a pensare quali percorsi potrà affrontare in futuro uno studente o una studentessa. E questo esame richiede un confronto con la realtà esterna e con i contesti sociali e produttivi, a partire dal territorio di riferimento, ma naturalmente non solo. Le scuole devono diventare centrali strategiche capaci di costruire un fascio di relazioni articolate tra scuola, studenti e famiglia. Non ci si orienta da soli. Non si può scegliere da soli. I ragazzi e le ragazze hanno le loro aspirazioni, le famiglie le loro attese, la società civile le sue esigenze, il mondo del lavoro i suoi bisogni. Non vedo all’orizzonte strutture complesse dotate di adeguato potenziale d’esperienza, situate negli snodi della vita e capaci di porsi come hub di riferimento per i sistemi sociali complessi, che non siano le istituzioni scolastiche.
Ogni tanto si sente ripetere, come un mantra difensivo, quasi un tabù, che la scuola ha la sua specificità e non la può perdere. Si tratta di una visione da XX secolo. La specificità della scuola oggi è di essere nel cuore del sistema e di interpretarne le esigenze, conciliando passione e concretezza, necessità e autonomia, libertà e opportunità. Non sarà facile trovare le soluzioni. Non lo è mai nelle situazioni complesse, ma se non si alzano gli occhi, non si aprono le persiane e non si guarda fuori dalle proprie finestre, ci si continuerà a lamentare dell’aria stantia. Una rinnovata visione dell’orientamento come valore strategico per la società civile non è più rinviabile.
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