L’apprendimento e la conoscenza a scuola devono tenere conto delle competenze sociali, emotive e relazionali? In altre parole: che rilevanza hanno le competenze socioemotive nello sviluppo e nella formazione di una persona? In che modo influenzano la sua vita futura? E quali sono le ripercussioni in un contesto sociale più ampio che non si limita a considerare solo la sfera individuale e privata?
Queste domande sono oggetto della riflessione di Viaggio nelle character skills, un libro che raccoglie i contributi di esperti di diversa formazione che focalizzano l’attenzione su quale può e deve essere il ruolo della scuola oggi. Un presente caratterizzato da grande incertezza – il libro è stato pubblicato da Il Mulino nel 2021 durante la pandemia – e in cui la scuola non appare più come l’unica ed esclusiva agenzia educativa: è un dato di fatto che le nuove generazioni, immerse nella realtà virtuale, hanno a disposizione una pluralità di fonti e informazioni che facilitano un apprendimento informale di cui non si può non tenere conto e tantomeno contrastare.
La funzione della scuola oggi
La questione di quale sia la funzione della scuola nella società e quali competenze debba formare nei futuri cittadini non nasce certo oggi ma indubbiamente hanno contribuito al dibattito attuale report e ricerche europee, tra cui il Rapporto New Vision Education, pubblicato nel 2015 dal World Economic Forum. Si tratta di un’analisi dettagliata della letteratura disponibile in più di 100 Paesi allo scopo di definire le competenze del XXI secolo. E gli autori sostengono che una formazione completa non può prescindere dalle qualità umane come la comunicazione, la creatività, la persistenza, e la collaborazione.
Anche la Raccomandazione europea relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente del 2018 ribadisce che «abilità quali la risoluzione dei problemi, il pensiero critico, la capacità di operare, la creatività, il pensiero computazionale, l’autoregolamentazione sono più importanti che mai nella nostra società in rapida evoluzione».
Di che competenze parliamo?
Ma quali sono precisamente le character skills? Le sentiamo nominare anche soft skills, life skills o competenze trasversali ed effettivamente non abbiamo un’unica tassonomia di riferimento, ma esistono più framework a livello internazionale. Nel libro ne vengono citati diversi: come le “quattro C” (secondo la Partnership for 21st century): pensiero critico, comunicazione, collaborazione e creatività. O le cinque competenze del cosiddetto CASEL (Collaborative for Academic Social and Emotional Learning, fondato a Chicago): autoconsapevolezza, gestione di sé, consapevolezza sociale, competenze relazionali e capacità di prendere decisioni. O ancora Il Global Achievement Gap, testo di Tony Wagner, ne elenca sette: problem solving, collaborazione con reti diverse, flessibilità, imprenditorialità, efficacia comunicativa, capacità di analisi e curiosità.
Le più recenti riflessioni all’interno dell’Ocse hanno portato alla elaborazione del modello chiamato Big Five che individua appunto cinque dimensioni principali: collaborazione, esecuzione di un compito, regolazione delle emozioni, ingaggio con gli altri e apertura mentale.
Gli effetti positivi delle character skills
Pur con alcune differenze, di fatto i diversi modelli concordano sulla rilevanza delle competenze non cognitive per lo sviluppo equilibrato e armonico di una persona. Ma perché? Su quali basi?
Sono diversi i report e le indagini riportati a livello internazionale ma di fatto i riferimenti più volte citati e che hanno fatto da apripista a questi studi sono quelli del premio Nobel per l’economia James Heckman e della scuola di Chicago che hanno appunto analizzato gli effetti positivi delle character skills in diversi ambiti: dai risultati nelle attività scolastiche e nell’ambito lavorativo a un più ampio scenario che riguarda l’atteggiamento verso la vita (maggior ottimismo, speranza, minori depressioni ecc.).
Che le fonti siano di natura pedagogica/psicologica o di tipo economico è indubbio che i diversi studi concordano sull’utilità di queste competenze per il bene individuale e per quello del sistema Paese.
Probabilmente questa constatazione ha investito prima il mondo del lavoro e dell’economia che non quello dell’educazione. Se fino al secolo scorso le agenzie di intermediazione nel mercato del lavoro affermavano che si veniva assunti grazie a competenze specifiche e si era licenziati per mancanza di competenze socioemotive, oggi quelle stesse agenzie sostengono che le aziende per le assunzioni cercano in prima battuta le competenze soft mentre quelle hard occupano il secondo posto e di fatto costituiscono una precondizione di accesso.
La rilevanza delle soft skills è tanto più evidente considerato il panorama attuale e quello futuro: incertezza e imprevedibilità governano oggi il mondo del lavoro e si reputa che le persone dotate di maggior flessibilità, adattamento, resilienza e disposte a imparare siano più adeguate ad affrontare la variabiità del sistema.
E il mondo della scuola?
La parola "competenza" è ormai entrata nel lessico scolastico: si parla da diversi anni di competenze, di competenze chiave di cittadinanza, di didattica per competenze.
Eppure una formazione specifica sulle character skills non c’è e il passaggio dal mondo della scuola a quello del lavoro sembra ancora un salto complicato per studenti e studentesse. Come sottolineato da Ludovico Albert nel contributo Competenze socioemotive e il lavoro non esiste attualmente una politica di orientamento forte e/o percorsi di imprenditorialità che aiutino la transizione dal mondo della scuola a quella del lavoro. Dunque è ancora lontana la concezione dell’orientamento come un processo educativo continuo che parta dalla scuola dell’infanzia e arrivi fino alla scuola superiore.
Nel 2015 l’alternanza scuola lavoro introdotta dalla legge della buona scuola è stato un tentativo di andare in questa direzione ma è stato interrotto nel 2019 quando la legge di Bilancio ha introdotto i Percorsi per l’orientamento trasversale per il lavoro (PCTO). Pur limitando il numero di ore da trascorrere in azienda, questa nuova legge ha fatto entrare le “competenze trasversali” in maniera più ufficiale nel mondo della scuola.
Anche la reintroduzione dell’Educazione civica è correlata alla volontà di ridare importanza a un’educazione della persona in senso più ampio. Ma di fatto una formazione specifica e puntuale che favorisca lo sviluppo di queste competenze ancora manca.
Quale prospettiva futura?
Forse però le cose stanno cambiando: in particolare sembra significativo il disegno di legge (già approvato dalla Camera a gennaio di quest’anno e ora in esame presso il Senato) che propone una sperimentazione triennale sull’introduzione a scuola delle non cognitive skills. La sperimentazione dovrebbe partire dal 2022-2023 nelle scuole di ogni ordine e grado con una contemporanea formazione per la classe docente. Nella proposta di legge si prevede anche l’istituzione di un Comitato scientifico che si occuperà del suo monitoraggio e della sua valutazione.
Vedremo nei prossimi mesi l’esito della legge e soprattutto la sua applicazione a livello scolastico ma al momento sembra proprio che le istanze richiamate nel libro siano state recepite e accolte a livello politico, superando l’idea un po’ antica di una scuola intesa “solo” come luogo di trasmissione di conoscenze e saperi.