Scommettere anche su altri canti della Commedia
Mi sono soffermato su un canto sempre presente quale che sia l’attraversamento della Commedia compiuto in classe, con l’idea di proporne una lettura non corriva, attenta alle implicazioni del testo. Ma mi piacerebbe che il docente toccasse anche altri momenti del poema, non necessariamente quelli più spesso commentati a scuola (e, in questo caso, senza preoccuparsi di leggere per intero il canto). Pensiamo alla vivacità delle Malebolge (Inf., XXII) e all’astuzia col quale un dannato, il Navarrese, riesce a ingannare i diavoli Alichino e Calcabrina, che finiscono nella pece bollente al suo posto (è l’unico esempio, nell’Inferno, di un dannato che sfugge, sia pure per un momento, alla sua pena) o al canto IX del Paradiso e al cielo di Venere in cui si trovano un personaggio biblico, la meretrice Raab, e Cunizza da Romano, l’unico beato di cui si ricordino i peccati commessi in terra: ancora una volta un significativo tributo all’amore da parte di Dante. Ad ogni buon conto, si tratta di un passato che non incide sulla perfetta felicità di cui godono le anime del Paradiso: «Cunizza fui chiamata, e qui refulgo / perché mi vinse il lume d’esta stella; / ma lietamente a me medesma indulgo / la cagion di mia sorte, e non mi noia» (Par., IX, vv. 32-35).
Spunti motivanti
Il problema, come in tanti altri casi, è: dove trovare il tempo? Ci sono alcune soluzioni drastiche: il dipartimento di lettere potrebbe decidere di concentrare la lettura di Dante nel terzo anno, sacrificando al massimo il resto (per esempio, limitando la lettura di altri testi a una poesia di Guinizzelli, una di Cavalcanti e al Cantico di Francesco), ma col vantaggio di poter fare un discorso organico sul poema, riuscendo a trovare un po’ di spazio anche per Vita nuova (parlando dunque per questo tramite anche di Stilnovo) e Convivio. Altre soluzioni ricadono nella scelta del singolo docente. E qui vorrei insistere su un punto.
Si parla sempre della motivazione degli studenti, com’è giusto. Ma è importante che anche i docenti siano motivati: e credo che la riproposizione, ogni anno, sempre e solo degli stessi episodi (oltre a Francesca da Rimini: Farinata, Ugolino, i sesti canti, Cacciaguida, la finale preghiera alla Vergine) – tutte tappe che vanno necessariamente attraversate, sia chiaro – abbia qualche controindicazione. Scommettere anche su altri momenti della Commedia può essere stimolante in primo luogo per chi ha il delicato compito di proporre la poesia di Dante a un pubblico di adolescenti. Al paio di esempi già citati, si può aggiungere, tra i tanti:
– Inferno XXXII, con la drammatica aggressione da parte di Dante a Bocca degli Abati, il traditore di Montaperti;
– Purgatorio XIV, con la rappresentazione della corruzione dei Toscani che, nelle parole di Guido del Duca, si incarna in altrettanti animali che abitano la valle dell’Arno;
– Paradiso XX, col problema dell’imprevedibilità della salvezza attraverso la celebrazione di Traiano (la cui salvezza era affermata in una leggenda preesistente a Dante) e di Rifeo, un oscuro personaggio dell’Eneide, che Dante fa simbolo dell’imperscrutabilità del giudizio divino: come dice san Bernardo in Par. XIII, vv. 139-142, «Non creda donna Berta e ser Martino, / per vedere un furare, altro offerere, / vederli dentro al consiglio divino: / ché quel può surgere, e quel può cadere».
Riflessioni sulla lingua di Dante
Un’ultima considerazione. Nel leggere Dante a scuola si possono tralasciare questioni che, ad altri livelli di esegesi, sarebbero importanti: chi «fece per viltade il gran rifiuto» (Inf., III, v. 60)? Probabilmente sarà Celestino V, e tanto basti dire a scuola, anche se altre candidature proposte, come Pilato, non sono irragionevoli. Meglio, invece, soffermarsi sui tanti aspetti della lettera, partendo dalla doverosa attenzione alla lingua, in parte ancora trasparente per noi, in parte opaca (che vorrà dire la ramogna di Purg., XI, v. 25?), in parte equivoca, perché la parola sembra la stessa, ma il significato è diverso.
Quest’ultimo aspetto offre l’occasione per alcuni confronti istruttivi:
– i parenti di Virgilio, Inf., I, v. 68, sono, latinamente, i “genitori” (e questa accezione si è continuata nel francese parents e, di lì, nell’inglese parents);
– la noia di Inf., I, v. 76 non è “assenza di sensazioni positive o negative”, come oggi (nell’Inferno non ci si annoia di certo!), ma “angoscia, pena”; e il valore sopravvive anche oggi, attenuato in espressioni come ha avuto noie con la giustizia, noie al fegato.
La poesia è fatta di parole e nella grande poesia le parole hanno una speciale importanza. Cercare di capire qual è il significato di base e collegare quel significato alle nostre personali competenze linguistiche è il primo passo (insufficiente, d’accordo, ma non eludibile) da compiere per accostarsi a Dante.