Anche una canzone ne parla…
La dibattuta questione sulla decadenza del congiuntivo è stata rivitalizzata da un divertente brano musicale, che ha subito fatto il giro della rete ed è approdato anche nelle aule scolastiche. Lorenzo Baglioni ha dedicato al mondo della scuola una canzone sul congiuntivo, il modo più sbagliato, che è diventato il titolo del brano con cui questo cantante è riuscito a superare le selezioni e parteciperà alla prossima edizione del Festival di Sanremo nella categoria Nuove Proposte.
«Ogni secondo in Italia vengono sbagliati 79 congiuntivi. È ora di dire basta! Tutti insieme possiamo cambiare le cose: condividi il video e aiutaci a portare il congiuntivo a Sanremo»: con queste frasi Lorenzo Baglioni ha lanciato, sulla propria pagina Facebook, il video del brano che su YouTube ha superato il milione e trecentomila visualizzazioni e su Facebook 4 milioni e quattrocentomila.
Il testo e il video sono molto divertenti: ci si immagina una situazione amorosa in cui il corteggiatore fa una figura meschina con la propria fidanzata, sbagliando proprio i verbi. La canzone inizia coniugando il verbo essere al congiuntivo e prosegue “Oggigiorno chi corteggia / incontra sempre più difficoltà / coi verbi al congiuntivo. / Quindi è tempo di riaprire / il manuale di grammatica / che è molto educativo”. Aggiunge spiegazioni anche di merito (“Il congiuntivo ha un ruolo distintivo / e si usa per eventi / che non sono reali. / È relativo a ciò che è soggettivo…”) e sancisce, riferendosi a uno degli usi più problematici e riportando al tema del video: “Nel caso che il periodo sia della tipologia dell'irrealtà (si sa) / ci vuole il congiuntivo. / Tipo se tu avessi usato / il congiuntivo trapassato / con lei non sarebbe andata poi male…”. Si conclude con un ripasso di “un po' di verbi al congiuntivo”.
Potrà sembrare incredibile, ma nel 2014 un altro cantautore italiano, non noto ai più e con sfumature jazz, Davide Zilli, aveva dedicato al medesimo modo verbale un brano, intitolato profeticamente Il congiuntivo se ne va: il testo, sempre in un contesto amoroso, è meno didascalico di quello di Baglioni, e dice che senza il congiuntivo “il mondo perde sfumature importanti”, sdrammatizza la questione “non sarà così drammatico… mentre cambia la grammatica, le nostre mail le leggeranno al liceo” e ritorna sul periodo ipotetico, in modo più vicino al parlato che non alla regola: “se ora eri qui, ci divertivamo”.
Una questione sempre attuale…
Del resto gli strafalcioni di politici, personaggi della TV, dello spettacolo e dello sport contribuiscono quasi quotidianamente a tenere viva la questione e a fornire infinite occasioni, al contempo, di disperazione per i maltrattamenti subiti dalla grammatica e di spensierato divertimento: una veloce summa si trova nel video andato in onda a Striscia la Notizia il 2 gennaio scorso.
Tutti, poi, avranno avuto modo di riflettere sulla disavventura verbale della ministra della Pubblica Istruzione Valeria Fedeli, che in una lettera al "Corriere della Sera" sull'importanza dello studio della storia è incappata in un errore di consecutio: “Sarebbe opportuno che lo studio della Storia non si fermasse tra le pareti delle aule scolastiche ma prosegua anche lungo i percorsi professionali.” Errore presto giustificato dal portavoce della ministra, che lo attribuisce a sé stesso e al momento, si immagina precipitoso, in cui ha dovuto tagliare il testo della ministra “per renderlo compatibile con gli spazi previsti ai fini della pubblicazione” (tra i numerosi articoli pubblicati può bastare «Fedeli sbaglia un congiuntivo, il portavoce fa mea culpa: "Un mio errore, non suo"» ).
O come dimenticare la versatilità grammaticale dell’onorevole Luigi Di Maio che nel gennaio scorso si esibì in una drammatica variatio di congiuntivi sempre errati: sul tema del cyberspionaggio l’onorevole dapprima pubblica il tweet: «Se c'è rischio che soggetti spiano massime istituzioni dello Stato...»; a seguito della prime prese in giro in Twitter, Di Maio (o chi per lui, ma i sospetti si addensano proprio su di lui) riscrive il tweet: «Se c'è rischio che massime istituzioni dello Stato venissero spiate qual è il livello di sicurezza che si garantisce alle imprese e ai cittadini?». A completare il quadro sul proprio profilo Facebook pubblica un altro post, ancora errato: «Se c'è il rischio che due soggetti spiassero le massime istituzioni dello Stato qual è il livello di sicurezza...». A onore dell’onorevole e a titolo di ultimo esempio, per concludere sempre con un’irrealtà purtroppo reale, corre l’obbligo di ricordare l’immortale periodo ipotetico costruito durante un comizio del settembre 2016: «Come se domani presentassi venti esposti contro Renzi, lo iscrivessi nel registro degli indagati e verrei in questa piazza e urlerei Renzi è indagato». ["Di Maio, tre congiuntivi (tutti sbagliati)"]
Psicodramma del parlante italiano
Nel suo ultimo libro Francesco Sabatini (Lezione di italiano. Grammatica, storia, buon uso, Mondadori) annovera la questione del congiuntivo tra i “quattro psicodrammi del parlante italiano”: «Casi che infiammano gli animi e che a molti tolgono il sonno». Sabatini invita a una «minore schizzinosità». Per esempio, notando come nelle frasi cosiddette «completive» il congiuntivo tenda a essere sostituito dall’indicativo («credevo che stesse» diventa «credevo che stava»), ricorda che è “un’alternanza presente sin dalle origini della lingua italiana (risale a Dante e anche più indietro)”; lo stesso discorso vale per altre subordinate, come il già citato periodo ipotetico («Se mi chiamavi, venivo ad aiutarti»). È una tendenza del parlato: «In inglese, in spagnolo e in francese il congiuntivo non c’è più, diciamo che l’alternanza segna una differenza di stile non di correttezza, come per prima disse, sessant’anni fa, una filologa rigorosissima, Franca Ageno». (si veda Paolo Di Stefano, “Congiuntivo in calo, nessun dramma. La Crusca: la lingua è natura, si evolve”, nel "Corriere della Sera" del 16 dicembre 2017).
Su tutta la questione è utile l’intervento di Mara Marzullo (della Redazione Consulenza Linguistica dell’Accademia della Crusca), pubblicato nel giugno 2003: “Nonostante le frequenti dichiarazioni sulla presunta morte del congiuntivo nelle frasi dipendenti nell'italiano contemporaneo, esso è ancora vitale; in alcuni casi, però, per i parlanti è poco economico (nel senso linguistico del termine, ovvero difficile da gestire) e quindi viene sostituito con l'indicativo.” L’articolo è dettagliato, affronta il problema in modo scientifico e presenta una bibliografia breve ma significativa sul tema dibattuto (vedi sotto).
Nell’articolo opportunamente si ricorda l’intervento che Maria Luisa Altieri Biagi aveva dedicato all’argomento su La Crusca per Voi nell’ottobre 1990: «Per quanto riguarda questo “modo” verbale, credo che sia giusto spiegare ai ragazzi le ragioni storiche della sua attuale crisi (se possiamo chiamare così l'allentamento delle norme che, in certi registri linguistici, regolano la sua alternanza con l'indicativo); ma poiché il congiuntivo è ben vivo nell'uso scritto e caratterizza il parlato di livello medio-alto nei confronti del parlato informale, è pure doveroso mettere i ragazzi in grado di usarlo in tutte quelle situazioni comunicative che richiedono il suo impiego o che lo consigliano come pragmatismo efficace. Se poi il ragazzo, diventato adulto, vorrà “scegliere” (ma la “scelta” implica la conoscenza delle alternative disponibili) l'indicativo sul congiuntivo, sarà libero di farlo, pagando quel che c'è da pagare nel rapporto con i vari interlocutori. Se per esempio vorrà continuare a dire “Speriamo che me la cavo”, invece di “Speriamo che me la cavi” (o, più correttamente, speriamo di cavarcela), la decisione e le conseguenze della decisione saranno tutte sue. La scuola avrà fatto il suo dovere abilitandolo all'uso del congiuntivo, visto che - oggi - il sistema dell'italiano contemporaneo e la norma sociale lo prevedono. (…) Non collaboro alla liquidazione del congiuntivo perché lo considero un utile filtro del pensiero ipotetico. Ovviamente, il giorno in cui il congiuntivo fosse definitivamente "morto" nella nostra lingua, non mi ostinerei a tenerlo artificialmente in vita. Ma siamo molto lontani da quel giorno.»