Sono trascorsi otto anni dalla pubblicazione delle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione e dieci dalla pubblicazione di quelle relative ai licei e delle Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento degli istituti tecnici. Chi ne confronti i contenuti è obbligato a constatare che gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alla lingua italiana non vi differiscono di molto; colpisce, in particolare, la contiguità fra ciò che è richiesto al termine della scuola secondaria di primo grado e ciò che è richiesto al termine del biennio degli istituti tecnici.
Stessi contenuti, stesso tipo di riflessione
Per quel che riguarda la produzione scritta, l’obiettivo indicato per la fine della terza classe è quello di «Scrivere testi di tipo diverso (narrativo, descrittivo, espositivo, regolativo, argomentativo) corretti dal punto di vista morfosintattico, lessicale, ortografico, coerenti e coesi, adeguati allo scopo e al destinatario» (p. 35 del primo documento), mentre l’obiettivo indicato per la fine del biennio è quello di «ideare e strutturare testi di varia tipologia, utilizzando correttamente il lessico, le regole sintattiche e grammaticali, per esempio, per riassumere, titolare, parafrasare, relazionare, argomentare, strutturare ipertesti, ecc.» (p. 40 del terzo documento).
Per quel che riguarda la riflessione sulla lingua, i molti obiettivi indicati per la fine della terza classe («Riconoscere le principali relazioni fra significati delle parole […]; conoscere l’organizzazione del lessico in campi semantici e famiglie lessicali. Conoscere i principali meccanismi di formazione delle parole: derivazione, composizione. Riconoscere l’organizzazione logico-sintattica della frase semplice. Riconoscere la struttura e la gerarchia logico-sintattica della frase complessa almeno a un primo grado di subordinazione. Riconoscere in un testo le parti del discorso, o categorie lessicali, e i loro tratti grammaticali» (pp. 35-36 del primo documento) si condensano, alla fine del biennio, nell’obiettivo generale di «Riflettere sulla lingua dal punto di vista lessicale, morfologico, sintattico» (p. 40 del terzo documento).
Alcune domande
Dove sono le differenze? Qual è l'utilità di riproporre due volte (o addirittura tre: nelle ultime classi della primaria, nella secondaria di primo grado e nel biennio della secondaria) gli stessi contenuti e lo stesso tipo di riflessione sui materiali che compongono la lingua?
A queste due domande – intenzionalmente retoriche: personalmente non vedo differenze né colgo utilità di sorta – ne aggiungo una terza, che nelle mie convinzioni e intenzioni è tutt’altro che retorica: c’è un’alternativa a questa non buona pratica?
Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue
Personalmente, credo di sì: consiste nel rifarsi, anche per la didattica dell’italiano come lingua materna, ai criteri a cui si ispira uno strumento fondamentale per la didattica dell’italiano come lingua non materna: il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue, che d’ora in poi indicherò con la sigla QCER.
I colleghi che insegnano lingue straniere moderne e/o italiano come lingua non materna conoscono bene il Quadro. Esso indica, attraverso vari “descrittori”, che cosa sa e che cosa sa fare chi sta apprendendo una lingua non materna, secondo una scala articolata su sei livelli di competenza e conoscenza: di contatto (A1), di sopravvivenza (A2), soglia (B1), progresso (B2), dell'efficacia (C1) e della padronanza (C2).
Il QCER introduce e applica, in modo molto evidente, il principio della progressione, da cui non si può prescindere non solo nell’insegnamento/apprendimento della lingua seconda o di una lingua straniera, ma anche nell’insegnamento/apprendimento della lingua materna.
Qualche anno fa Edoardo Lugarini ha osservato che «il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue è un documento che riguarda in particolare l’insegnamento/apprendimento delle lingue comunitarie come lingue non materne, ma le indicazioni che contiene possono costituire un utile riferimento anche per la definizione di obiettivi, contenuti, strategie di insegnamento/apprendimento, della lingua madre».
Queste considerazioni mi trovano del tutto d’accordo. Le indicazioni e scansioni del Quadro, opportunamente rivedute, corrette, ampliate nei punti in cui sia opportuno ampliarle e ridotte in quelli in cui sia opportuno ridurle (e naturalmente opportunamente sperimentate e validate) sarebbero un ottimo punto da cui partire per definire una possibile progressione nell’acquisizione delle competenze e delle conoscenze relative all’italiano come lingua materna, dall’inizio della scuola secondaria di primo grado alla fine della scuola secondaria di secondo grado.
Darò corpo a questa mia affermazione con due esempi, uno particolare e uno generale, relativi alla didattica del verbo.
Primo esempio
Nell’insegnamento delle forme verbali, normalmente noi insegnanti seguiamo la progressione offerta dal libro di grammatica, che a sua volta si rifà a un modello consolidato nel corso dei secoli: presentiamo prima la diatesi attiva, poi la diatesi passiva e infine quella riflessiva, illustrando e, per così dire, somministrando i vari tempi verbali secondo la consueta scansione dei modi: indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo, infinito, participio e gerundio.
In un contesto didattico siffatto, è normale che la flessione delle forme del verbo riflessivo chiamarsi venga presentata dopo la flessione delle forme degli ausiliari essere e avere e delle forme dei verbi delle tre coniugazioni regolari attive e passive.
Invece, in un corso di lingua italiana destinato a stranieri le forme del presente indicativo di chiamarsi (o quanto meno delle sue prime tre persone) vengono illustrate e somministrate prima delle forme del presente indicativo degli altri verbi, in armonia, come suggerisce il QCER, con la successione dei bisogni da soddisfare: prima ancora di saper riconoscere che nell’enunciato «Il gatto è sul tavolo» la parola è è la terza persona del presente indicativo del verbo ausiliare essere, è importante che io sia in grado di dire a qualcuno «come mi chiamo».
Secondo esempio
Alcune ricerche di linguistica acquisizionale (il filone della linguistica che si occupa di studiare i modi e le tappe attraverso cui procede l’acquisizione spontanea di una lingua, in particolare di una lingua non materna) hanno appurato che l’itinerario acquisizionale delle forme che compongono il sistema verbale dell’italiano è, negli stranieri adulti, il seguente:
Presente (e Infinito) > (Ausiliare) Participio passato > Imperfetto > Futuro > Condizionale > Congiuntivo.
Personalmente non vedo controindicazioni a un percorso scolastico di riflessione sulle strutture del sistema verbale dell’italiano (si legga: grammatica dei verbi) elaborato in armonia con questa progressione, alla fine della quale si colloca, neanche a farlo apposta, il “terribile” congiuntivo, preceduto soltanto dal condizionale.
Qualche strumento utile
Esiste qualche strumento che, prendendo spunto dalle indicazioni del QCER, potrebbe aiutarci a percorrere, nel nostro piccolo e in via sperimentale, la strada che mi sono permesso di indicare? La risposta è sì.
Alcune delle agenzie formative che rilasciano un diploma di conoscenza e competenza dell’italiano come L2 o LS (l’Università per Stranieri di Siena, l’Università per Stranieri di Perugia, la Società Dante Alighieri) hanno elaborato dei sillabi che, prendendo le mosse dal QCER, declinano in dettaglio e in progressione le competenze pragmatiche e talvolta anche le conoscenze grammaticali che connotano i vari livelli del percorso di apprendimento dell’italiano come lingua non materna. Questi sillabi potrebbero essere una buona base di confronto per definire una progressione nel raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento relativi all’italiano L1 ai vari gradi scolastici (terza classe della secondaria di primo grado, conclusione dell’obbligo, conclusione del triennio). Non si tratterebbe, ovviamente, d’insegnare ai madrelingua, dei contenuti linguistici indicizzati nei sillabi, quelli che già conoscono e praticano fin dai primi anni di vita; si tratterebbe, piuttosto, di farli riflettere su alcuni di quei contenuti a partire da una data progressione. Se l’acquisizione di una competenza linguistico-comunicativa ascrivibile al livello più alto (il C2) può considerarsi un eccellente obiettivo di apprendimento per chi conclude la scuola secondaria di secondo grado, le competenze e conoscenze da attendersi alla fine del ciclo dell’obbligo e alla fine della terza classe della scuola secondaria di primo grado dovrebbero essere ascritte a livelli più bassi.
L’abbattimento del confine fra insegnamento dell’italiano L1 e insegnamento dell’italiano L2 avrebbe diverse ricadute: obbligherebbe gli insegnanti a rivedere i percorsi didattici, gli esperti ministeriali a graduare diversamente gli obiettivi di apprendimento proposti nelle fasi conclusive del primo e secondo ciclo e in quella intermedia del secondo, gli editori e gli autori di testi scolastici a rinnovare contenuti e organizzazione dei loro prodotti.
Si tratta di obiettivi ambiziosi, certamente: ma perché non puntare in alto, come gli arcieri di machiavelliana memoria?