Procedere senza ripetere

Riflessioni sul curriculum verticale di grammatica

IDEE PER INSEGNARE

Gli interventi di riforma dei decenni scorsi non sono riusciti ad applicare una progettazione verticale nell’insegnamento della grammatica nei diversi gradi di istruzione. In questo articolo proponiamo alcuni suggerimenti per andare in questa direzione e un’ipotesi di lavoro verticale sul sistema verbale.

di Laura Azzoni e Benedetta Nanni

Con l’ironica acutezza che lo ha contraddistinto per tutta la vita, il compianto Adriano Colombo ha stigmatizzato in questo modo l’iter dell’insegnamento grammaticale della scuola italiana: «Ogni ciclo scolastico ricomincia da capo, perché nel ciclo precedente i ragazzi non hanno imparato niente, ma dato che si ripeteranno le stesse cose più o meno con lo stesso approccio, non impareranno niente nemmeno nel nuovo ciclo» (Per un curricolo verticale di riflessione sulla lingua, 2010).

Oltre a costituire una potenziale fonte di noia per gli studenti, tale prassi può compromettere in modo decisivo il processo di apprendimento: va evitata, da un lato, la tendenza ad anticipare argomenti complessi, che, citando ancora Colombo, «banalizzati per adattarsi a una mente puerile, si fissano per il resto della vita e bloccano la possibilità di un ripensamento critico»; dall’altro, quella a trascurarne altri, che non si conformano alla ricorsività rassicurante che esime gli insegnanti dall’aggiornarsi e ampliare gli orizzonti della ricerca didattica.
Gli interventi di riforma dei decenni scorsi non sono riusciti a rompere questo schema, anche perché hanno investito via via segmenti singoli del percorso formativo, senza predisporre azioni di sistema volte a creare esperienze di progettazione verticale. Ma quando queste vengono avviate, i risultati sono estremamente incoraggianti, e dimostrano che la scuola ha le potenzialità per riformarsi dal basso, attraverso la sinergia degli addetti ai lavori.

Possibili linee guida di una progettazione verticale

  • Usare e manipolare prima di fissare le etichette. Se non ci si abitua a riconoscere i fenomeni linguistici in situazioni diversificate, sarà difficile attribuire a essi i “nomi” giusti in situazioni diverse dagli esempi canonici; per fare un esempio, per la maggioranza degli studenti di prima superiore il complemento predicativo del soggetto è “Giovanni è stato eletto presidente”, o, in alternativa, “capoclasse”. E poco altro.
  • Non rinunciare a un focus specifico per ogni ciclo. Condividiamo la proposta di Colombo, che individuava come obiettivo principale per la primaria la morfologia, per il primo ciclo la sintassi e per il biennio la testualità. Ci sembra utile, sia per gli studenti che per gli insegnanti, avere un orizzonte ben individuabile, e sensato che tale orizzonte vada via via allargandosi, dal riconoscimento delle forme singole a strutture più articolate. Tale approccio non va inteso rigidamente, come risulterà immediatamente.
  • Osservare i fenomeni linguistici in situazioni vive, cioè non isolatamente ma in frasi e testi. Fin dalla primaria, per esempio, sarà a partire dall’osservazione di frasi che si attiveranno strategie di riconoscimento delle forme; è ovvio che per distinguere se la parola “inizio” è un nome o un verbo è indispensabile verificare in quale frase sia collocata.
  • Anticipare gli sviluppi successivi del percorso. Se solo al primo biennio della scuola superiore si lavorerà in modo esplicito sulle catene anaforiche, fin dalla primaria si osserverà che un pronome è necessariamente in accordo con un referente.
  • Rinviare, senza sensi di colpa, gli argomenti troppo complessi a fasi successive. Pensiamo per esempio alla nozione di “pronome indefinito”, quasi impossibile da metabolizzare alla primaria, o al pantano dei predicativi, che si può tranquillamente trattare al primo biennio della scuola secondaria di secondo grado.
  • Richiamare, a ogni nuovo argomento, le conoscenze pregresse da attivare, in una sorta di spirale virtuosa degli apprendimenti, in cui il passo successivo consolida e invera quello precedente.

Un’ipotesi di lavoro in verticale sul sistema verbale

Crediamo che nella Scuola primaria sia possibile, e anche motivante e divertente, lavorare sulle forme in una prospettiva scientifica di sperimentazione, coinvolgendo «gli stessi allievi nella costruzione delle conoscenze, mettendo in moto quelle capacità di base che sono l’osservazione, la classificazione, il confronto, l’ordinamento, l’inclusione, la categorizzazione ecc., trasversali alle varie discipline, e la cui valenza formativa è fuori discussione» (Maria G. Lo Duca, Esperimenti grammaticali, Carocci 2004). Fare riconoscere ai bambini, scomponendo e ricomponendo le forme verbali, le categorie di persona, numero, genere (nelle forme che coinvolgono il participio), tempo, modo e diatesi in maniera attiva, arrivando solo alla fine alla costruzione del sistema, produce una conoscenza stabile, senza dubbio più stabile della ripetizione mnemonica di schemi.

Fino a che punto del sistema è opportuno lavorare nel primo ciclo?

Pensiamo che nella primaria sarebbe sufficiente fermarsi alla costruzione del sistema dei modi finiti, partendo ovviamente dall’indicativo, e permanendovi lungamente. E senza semplificazioni scorrette, del tipo “il passato prossimo è un passato vicino, il passato remoto è lontano”. Basterebbe, sperimentalmente, confrontare le frasi “Dio ha creato il mondo in sette giorni” e “Cappuccetto Rosso passò per il bosco” per confutare questa invalsa aberrazione didattica. Il risultato di queste semplificazioni (è ovvio che non si può far riflettere un bambino di otto anni sull’aspetto verbale) sarà una cristallizzazione dell’errore difficile da rimuovere: meglio non dire che dire cose sbagliate. Potrebbe essere utile, in un primo momento, trovare dei nomi chiari e meno confusivi per gli oggetti grammaticali trattati, nomi escogitati dagli alunni stessi (la nomenclatura tradizionale è poco trasparente per un bambino), per poi dare le definizioni ufficiali alla fine del percorso.
Un altro elemento fondamentale su cui lavorare, attraverso la manipolazione di frasi, è la struttura argomentale del verbo. Porre il focus sulla morfologia non vuol dire escludere qualsiasi tipo di riflessione sintattica, e l’analisi del verbo offre la possibilità di strutturare in maniera ragionevole, comprensibile e sensata, una gerarchia dei pezzi della frase, partendo da quelli legati al significato del verbo (gli argomenti) fino a quelli più svincolati, mobili e autonomi (i circostanziali).

La sintassi focus della Scuola secondaria di primo grado

Nella Scuola secondaria di primo grado, in cui ci si focalizzerà sulla sintassi, lo studio del verbo può essere ripreso con la messa a fuoco delle forme implicite del verbo e della loro sorprendente duttilità sintattica.
In primo luogo, invece di relegare queste forme a margine della trattazione delle subordinate esplicite, riducendole a corollario della formulazione implicita (“la causale si può fare anche col participio, col gerundio e con l’infinito”), le si renderebbero oggetto autonomo di studio per comprenderne i meccanismi d’uso e il potenziale sintattico di sintesi. Si chiarirà finalmente bene la differenza fra implicito e impersonale (confusione con la quale molti studenti arrivano al primo biennio delle scuole superiori – d’altra parte, potevano forse capire alle elementari la nozione di “implicito”?), e forse finalmente gli studenti capiranno, e quindi stabilmente apprenderanno, che la subordinata implicita deve avere lo stesso soggetto della sua sovraordinata.
La riflessione sul participio riprenderà le categorie morfologiche di verbo, nome e aggettivo, movimentandole e lavorando sulle fondamentali categorie di accordo, di attribuzione, di sostantivazione.
Dell’infinito potrà essere in primo luogo individuata la natura di sostantivo verbale, confermata, tra l’altro, dal fatto che si può unire a preposizioni (che tipicamente precedono forme nominali); affronteremo poi lo studio della nominalizzazione deverbale, riprendendo quindi un tratto morfologico del nome, legato tuttavia alla struttura argomentale del verbo, per rendere gli studenti capaci di comprenderne e sfruttarne le potenti risorse: ancora una volta riflessione morfologica, semantica, sintattica camminerebbero insieme per potenziare le competenze di lettoscrittura, scopo principe della riflessione linguistica.
Il gerundio – che varrebbe forse la pena chiamare contemporaneo e anteriore, anziché presente e passato – è il relitto di una forma nominale di ablativo latino, e da questo caso sincretico e polifunzionale deriva alla forma italiana il vasto spettro degli usi sintattici (modale, temporale, causale, concessivo, ipotetico ecc.).
Invertire i termini della questione sintattica – invece di dire che “la causale in forma implicita si può fare col gerundio o col participio”, lavorare sul valore logico assunto da gerundio, infinito e participio in una determinata frase – coinvolge gli studenti in una ricerca attiva liberandoli da un inutile aggravio mnemonico. E li porta a usare gerundio, infinito e participio come risorsa nelle loro spesso arruffate scritture. Portiamo, o meglio facciamo inventare agli studenti, qualche semplicissima frase, del tipo “Giovanni fa la doccia cantando”, “Lucia, uscita in ritardo, perse l’ultimo autobus”, “ponendo x=2, allora 2x è 4”, “Fatti in fretta i bagagli, Marta corse in stazione”, “Giovanna cadde nel fosso, inzaccherandosi le scarpe nuove”, “Faccio sport per divertirmi”, “Devo fare fisioterapia per aver fatto una brutta caduta”: ne usciranno almeno dieci ore di grammatica ragionata e condivisa, dialogata e procedente per ipotesi, conferme, verificazioni e falsificazioni, sensate esperienze e necessarie dimostrazioni.

Alle superiori gli elementi più complessi

Nello specifico del primo biennio della Scuola secondaria di secondo grado, poi, la riflessione dovrebbe centrarsi sugli elementi più complessi, inattingibili nei cicli precedenti:

  • la distinzione tra tempo grammaticale e tempo fisico e il conseguente utilizzo di passati per il futuro (“Ha detto che sarebbe venuto”), presenti per il futuro (“Domani vado a Roma”), passati per il presente (“Volevo due etti di ricotta”), presenti per il passato (“E Achille risponde...”) ecc.;
  • la categoria di modo, e in particolare gli usi indipendenti del congiuntivo e del condizionale (“Vadano tutti a quel paese”, “Vorrei ma non posso”), con un focus specifico sul periodo ipotetico (unico caso in cui è la subordinata a dettare le regole alla sovraordinata);
  • la categoria di aspetto verbale, attraverso cui chiarire per esempio la differenza fra passato prossimo e remoto, e il valore dell’imperfetto;
  • la consecutio dell’italiano, con l’esplorazione delle categorie di anteriorità, contemporaneità e posteriorità, facendo riemergere dal buio, per esempio, l’importantissimo trapassato prossimo e il moribondo futuro anteriore.

Per gli studenti solo dentro un percorso di senso le cose imparate a scuola non scompaiono immediatamente dopo che hanno ottenuto un voto dal professore: «Probabilmente una delle ragioni per cui tanti studenti arrivano all’università in condizioni di grave ignoranza grammaticale è che sono stati esposti a ripetuti insegnamenti grammaticali, ma non se ne sono mai fatti niente» (Colombo).

 

Laura Azzoni e Benedetta Nanni, bolognesi, insegnano rispettivamente ai Licei “Marco Minghetti” e “Luigi Galvani” della loro città. Hanno studiato all’Alma mater, dove hanno conseguito la laurea in Lettere classiche. Collaborano da molti anni, e sono autrici di manuali scolastici e articoli su riviste di didattica. Socie del Giscel Emilia Romagna, si occupano dell’organizzazione di corsi di formazione sulla grammatica valenziale (in italiano e in latino) e sulle connessioni fra le competenze grammaticali e quelle di lettoscrittura.

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