Di raccontare non si può fare a meno. Vale per tutti. Si racconta in famiglia, a scuola, in ufficio, per la strada, in un bar, su un treno, e non importa se quel che si racconta è vero o inventato, l’importante è esprimere.
Il bisogno di narrare viene da molto lontano, nasce con l’uomo stesso: la parola è infatti il modo che egli possiede per comunicare ai propri simili un evento accaduto, per esprimere un pensiero o un sentimento, per convincere di una verità, per costruire significati, per condividere la propria storia.
Sin da piccoli viviamo immersi nelle storie e, inconsapevolmente, impariamo a comunicare attraverso le storie: basti pensare alle favole e alle fiabe raccontate da genitori, nonni, maestri durante le quali il bambino dialoga “narrativamente” con l’adulto, cominciando a organizzare il suo pensiero in forma narrativa e scoprendo quei meccanismi che poi utilizzerà egli stesso per raccontare in modo autonomo.
Raccontare e raccontarsi a scuola
Per gli adolescenti, l'esigenza di raccontare e raccontarsi è forte, ancora più che nell’adulto.
Nel ragazzo, il "caos" (anche delle storie) dell’origine è molto presente e vivo. La sua identità è ancora incerta, le strade sono insicure, il mondo gli appare spesso ostile e i compagni, a volte, maldisposti. Come trovare un po’ di coraggio? Richiudersi in sé stesso e parlare poco diventano le prime forme di difesa, ma il bravo insegnante non potrebbe invece leggervi proprio una richiesta dissimulata d’aiuto?
Ciò che percepiamo da ogni ragazzo - la sua ingenuità, le sue aspettative e speranze, la sua energia… - è materia che cerca una forma in cui esprimersi.
Il nostro compito di educatori è quello di guidare gli adolescenti a canalizzare la loro energia nella creazione e in questo senso la narrazione di sé, lo scambio di esperienze e l’attenzione reciproca che ne consegue sono molto importanti.
Raccontare un evento personale, un’avventura o un sentimento dona a chi racconta un po’ di leggerezza, il piacere di condividere una gioia o, a volte, una tregua dal dolore, dall’amarezza, dalla paura; e regala a chi ascolta una nuova esperienza del mondo, una parte di vita che forse non avrebbe incontrato, parole che non avrebbe concepito.
Le storie generano emozioni, narrano di personaggi in cui identificarsi, trasmettono valori, insegnano a risolvere problemi. Ecco perché anche l’adolescente più timido e introverso ne è contagiato. Se non le racconta le ascolta, se non le scrive le legge, comunque sia le vive.
Se il raccontare diviene un raccontarsi nei molteplici modi che l’espressione umana ha inventato – attraverso scrittura, poesia, arti visive, musica, teatro – allora la motivazione dell’adolescente chiamato in prima persona si fa più forte, più interessata: l’impegno si moltiplica, la creatività aumenta.
Ma raccontare favorisce anche un'espressione articolata e vivace grazie all'arricchimento del vocabolario. Dare nome alle cose è un atto divino e, per quello che ci compete, poetico e ancor di più educativo. Sentimenti di rabbia, frustrazione, umiliazione, inefficacia, non compresi e inespressi, lasciano ampio spazio a forze che non articolano, non interpretano, non spiegano, e ancor meno conoscono, apprendono, costruiscono e creano.
Non sono rari i casi di scrittori che affermano di sapere ciò che pensano solo dopo averlo scritto. Frasi un po’ a effetto, certamente, ma che indicano senz'altro una capacità della narrazione di estrarre qualcosa dal nostro magma primordiale, di ordinarlo per farcelo cogliere.
Oggi si è molto rivalutato il pregio di cogliere e di descrivere il mondo attraverso la narrazione. Al racconto autobiografico è stato riconosciuto un forte valore pedagogico, di conseguenza esso è entrato nella scuola come prassi educativo-didattica.
La scuola è il luogo per eccellenza dove l’individuo deve imparare a sviluppare le competenze necessarie per affrontare la vita, a esercitare il pensiero riflessivo, a costruire il pensiero critico, a potenziare il pensiero creativo; ma è soprattutto un luogo di esperienze dove imparare ad ascoltare, a raccontare e a raccontarsi.
Costruire racconti, per raccontarsi
Come afferma Andrea Fontana, docente all’università di Pavia e sociologo della comunicazione «Storytelling non significa semplicemente raccontare storie, ma costruire racconti».
Nel raccontarsi, lo studente deve inevitabilmente confrontarsi con gli elementi base della narratologia: deve imparare cioè a costruire storie. Saper narrare, infatti, significa padroneggiare le strutture di una storia per poter dare forma alla narrazione.
Rispetto a una narrazione generica, nella pratica autobiografica il ragazzo è sorretto da una forte motivazione: essere autore e nello stesso tempo protagonista della narrazione. Apprendere i meccanismi di costruzione di una storia, quindi, non è più sentito come un processo fine a sé stesso, ma diventa uno strumento fondamentale per raggiungere un obiettivo ben preciso: imparare a narrarsi.
Nel rielaborare in forma narrativa i propri vissuti, i propri ricordi, il ragazzo costruisce un proprio percorso di conoscenza di sé e della realtà che lo circonda, di “memoria” e impara a raccontare e a raccontarsi. Grazie alla struttura sociale della classe, raccontarsi, per lui, vuol dire soprattutto acquisire identità nel gruppo, lasciare testimonianza di sé, sentirsi riconosciuto, rinsaldare i rapporti interpersonali. Il raccontarsi è espressione della propria identità, ma anche esperienza di comunicazione che consente il raggiungimento della competenza narrativa. Per quanto importante e unica possa essere la storia che raccontiamo, se non ha né capo né coda, se non rispetta determinate regole, non viene percepita dal lettore o dall’ascoltatore come una storia e rischia di non essere compresa: ecco perché è importante saper costruire storie.
Raccontarsi vuol dire descrivere, tradurre le proprie immagini in pagine di scrittura, cioè costruire castelli di carta la cui “verità” sarà sempre un po’ particolare e incerta. È il fascino dei tanti pensieri dell’uomo e del suo narrare: un lento cadere verso il proprio oggetto, mentre l’universo si espande...
Come valutare?
Il racconto autobiografico non può essere considerato un esercizio scolastico sottoposto a valutazione quantitativa.
L’insegnante non dovrà correggere, nel senso tradizionale del termine, gli elaborati scritti o dare voti ai racconti orali come se fossero delle interrogazioni, ma dovrà orientare gli studenti a riconoscere le loro abilità e i loro limiti, attraverso un dialogo costruttivo che conduca i ragazzi all’autovalutazione.
Durante il laboratorio potrà essere condotta una analisi e una valutazione qualitativa del percorso, attraverso alcuni strumenti strutturati come: le griglie o schede di osservazione, le registrazioni video o audio degli incontri, le checklists. Attraverso l’osservazione diretta o rivedendo le registrazioni, l’insegnante potrà raccogliere in modo sistematico e continuativo informazioni sulle modalità con cui ciascun ragazzo ha affrontato il proprio itinerario formativo e potrà rendersi conto degli ostacoli che gli impediscono di attuare il suo progetto, al fine di renderlo consapevole e aiutarlo a superare le sue difficoltà. Si potrà valutare come e quanto uno studente è disponibile a mettersi in gioco, a collaborare, ad ascoltare, a progettare il suo percorso, quali competenze attiva e la sua capacità di autovalutazione finale.
Il laboratorio
Quello che proponiamo come risposta al bisogno degli adolescenti di raccontare e raccontarsi è un laboratorio di storytelling autobiografico.
Il laboratorio assume lo storytelling, l’arte di costruire racconti, come tema centrale e individua nel metodo autobiografico una modalità privilegiata di narrazione, in grado di aiutare l’adolescente a costruire la propria identità. Il percorso che proponiamo mira a creare uno spazio di dialogo e di inclusività, in cui tutti possono raccontarsi.
Alcune "istruzioni d'uso"
Il progetto si articola in 4 incontri di tre ore ciascuno, ma può essere facilmente condensato o dilatato, a seconda delle esigenze della classe. Ciascuno degli incontri sarà oggetto di un articolo della rivista (nei prossimi numeri della newsletter), per consentire al docente che lo desidera di sperimentare il percorso, in modo autonomo, senza l’aiuto di un esperto, contando sulla guida di chi ha già vissuto questa esperienza in prima persona, come docente e come esperto.
Il laboratorio è stato sperimentato in una classe seconda della scuola secondaria di primo grado, durante le ore curriculari di italiano, in contemporanea con lo svolgimento dell’unità sull’autobiografia, tuttavia la modalità narrativo-autobiografica come prassi educativo-didattica può essere utilizzata all’interno di ogni ordine e grado di scuola. La metodologia e gli esercizi proposti negli articoli, infatti, fanno sì che il percorso sia facilmente esportabile anche nella scuola secondaria di secondo grado, naturalmente con una differente scelta di testi.
Durante gli incontri si sono alternati momenti di oralità a momenti di scrittura. Inoltre, si è fatto uso di immagini per cui il percorso ha coinvolto altre discipline come arte e immagine, musica e tecnologie.
Il laboratorio si conclude spostando l’attenzione dall’autobiografia alla biografia, anch’essa scrittura dell’io. Il presupposto teorico da cui nasce questo cambio di prospettiva è che ai ragazzi piace leggere le biografie, soprattutto quando chi le scrive non rinuncia al gusto del racconto in nome della ricerca storica; e secondo gli psicologi questo interesse nasce proprio dal desiderio dell’adolescente di narrare il proprio io. Esistono persone che raccontano la propria vita e persone che amano raccontare la vita degli altri, a volte salvandole dall’oblio: due ruoli che nella prassi educativa possono intrecciarsi, per dare vita a una scuola più attiva e più inclusiva.
Gli articoli sono rivolti esclusivamente al docente, in quanto illustrano la metodologia con cui condurre il laboratorio, declinano i presupposti teorici e li traducono in pratiche educative e didattiche da proporre ai ragazzi; gli allegati sono invece rivolti ai ragazzi e sono direttamente utilizzabili in classe. Il laboratorio prevede che una parte del lavoro sia svolta a casa.
In sintesi, il laboratorio segue il seguente percorso:
- Primo incontro: Come mi racconto? l’aula cambia volto, i banchi vengono addossati ai muri e i ragazzi si dispongono, seduti in cerchio, al centro dell’aula. L’insegnante presenta il progetto, sonda le conoscenze dei ragazzi in fatto di storytelling, autobiografia, struttura di una storia, oralità e scrittura; ascolta le loro aspettative, le loro proposte, cercando di creare un clima sereno e collaborativo (durata: circa un’ora).
Vengono prese in esame le diverse possibilità con cui ciascun ragazzo potrà e vorrà raccontarsi agli altri, in aggiunta alle modalità di base: scrittura e racconto orale. L’insegnante propone dei primi esercizi da svolgere, individualmente o in gruppo (durata: circa due ore).
- Secondo incontro: Qual è la tua storia? Raccontamela! Si parte con lo storytelling circle: tutti raccontano, tutti ascoltano (durata: tre ore).
- Terzo incontro: Io mi scrivo. I ragazzi, divisi in piccoli gruppi di due o tre persone, scrivono le loro storie, quindi le condividono con i compagni (durata: tre ore).
- Quarto incontro: Io ti guardo, tu mi racconti: dall’autobiografia alla biografia.
Divisi in piccoli gruppi, i ragazzi si trasformano in biografi e si “scambiano” le vite: ciascuno scriverà la storia dell’altro, vera o immaginata (durata: circa tre ore).
Digital storytelling e Cooperative learning per creare contesti di apprendimento inclusivo
Costruire contesti di apprendimento cooperativo è fondamentale per rispondere ai bisogni educativi di tutti gli alunni, DSA, alunni con BES o con disabilità.
La narrazione autobiografica e l’uso delle tecnologie digitali consentono di creare nella classe condivisione e motivazione, di stabilire processi di reciprocità realmente inclusivi in cui anche gli alunni più fragili e problematici possono trovare un loro ruolo attivo in cui esprimersi, mettendo in gioco tutte le loro abilità.
Nei contesti cooperativi basati sulla narrazione di sé è più facile rimuovere quegli ostacoli che generano nell’alunno senso di inadeguatezza, frustrazione e rabbia e così ostacolano l’apprendimento. Inoltre, l’utilizzo delle tecnologie digitali consente una maggiore possibilità di motivare gli alunni, di sviluppare relazioni interpersonali davvero inclusive e di far lavorare tutti con ottimi risultati.
Se il docente lo desidera e se le risorse della scuola lo permettono, il laboratorio può essere ampliato con un lavoro di digital storytelling. Sin dall’inizio, infatti, si possono raccogliere i materiali per realizzare con i ragazzi e con l’aiuto di altri docenti un video da condividere, per esempio, sul sito della scuola, previo permesso delle famiglie. Naturalmente, vanno calcolati per il laboratorio tempi diversi. Negli articoli forniremo indicazioni e spunti anche in questa direzione.