Laboratorio di storytelling autobiografico. Primo incontro

Come mi racconto?

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SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO

Nello scorso numero di Folio.net abbiamo annunciato un laboratorio di storytelling autobiografico articolato in quattro incontri. In questo primo incontro, di carattere introduttivo, gli insegnanti condurranno il laboratorio ripartendo le ore a disposizione in tre momenti. Vediamo nel dettaglio la proposta.

di Valeria Bruni e Renato Pegoraro

Il primo incontro del laboratorio, a carattere introduttivo, si articola in tre momenti:

  • presentazione del progetto alla classe: l’insegnante spiega in che cosa consiste il progetto, le sue finalità educative, gli obiettivi che vuole raggiungere;
  • progettazione: insieme ai ragazzi si progetta il laboratorio, stabilendo un titolo, un calendario orario e il prodotto finale che si vuole realizzare;
  • presentazione delle modalità di autonarrazione: l’insegnante illustra ai ragazzi le varie modalità con cui potranno raccontarsi, in forma orale, scritta o visiva. Ognuna di queste modalità sarà sperimentata nei vari incontri.

Come organizzare il laboratorio

Lo spazio
È importante che i ragazzi vivano l’esperienza del laboratorio di storytelling in modo attivo, in un clima sereno e di condivisione. Lo spazio fisico in cui lavorare richiede attenzione, poiché diventa luogo di esperienze personali.
È preferibile evitare ambienti troppo grandi, dispersivi e dall’acustica sfavorevole, come, per esempio, la palestra: i ragazzi non si sentirebbero sufficientemente accolti, rassicurati, protetti. Sicuramente, il luogo più adatto è la loro aula scolastica, purché utilizzata come spazio dinamico e trasformabile. La disposizione usuale, con i banchi disposti in file e la cattedra davanti, risponde alle esigenze della lezione frontale, ma il laboratorio non è mai una lezione: ci si mette in gioco tutti, insegnante compresa, quindi consigliamo di modificare l’assetto dei banchi, non solo per adattarlo alle esigenze pratiche della nuova attività, ma anche per comunicare ai ragazzi che ci prepariamo per qualcosa di “diverso”.

La posizione dei banchi
Nei momenti di brainstorming, oppure quando i ragazzi dovranno conversare e raccontare oralmente, è bene chiedere loro di addossare i banchi ai muri e di sedersi al centro dell’aula, in cerchio. In attività come questa, l’utilizzo del cerchio è fondamentale in quanto costituisce l’invito a condividere le esperienze: nel cerchio l’inizio e la fine coincidono e tutti sono allo stesso livello, tutti possono guardarsi in volto e la comunicazione si fa più efficace. L’insegnante, che solitamente è seduta alla cattedra, nel cerchio diventa davvero parte integrante del gruppo classe.
Nei momenti in cui bisogna lavorare individualmente o utilizzare la LIM, la disposizione a ferro di cavallo risulta essere la migliore: si mantiene una semicircolarità, i ragazzi hanno una visione frontale della LIM, solitamente posizionata accanto alla cattedra e l’insegnante che svolge una funzione di tutoring ha la possibilità di avvicinarsi a tutti con facilità.
Quando invece si lavora in piccoli gruppi si possono disporre i banchi a gruppi, affiancandone tre o quattro a rettangolo o a quadrifoglio.

Il clima della classe
Per clima della classe intendiamo la percezione che alunni e insegnanti hanno del loro stare insieme in classe. In generale, esistono molte variabili in grado di influenzare il clima di una classe, nel caso del laboratorio queste si riducono fondamentalmente a tre:

  • la creazione di uno spazio confortevole
  • la mancanza di interruzioni e di “disturbo”
  • il mantenimento della disciplina

Prima di iniziare il laboratorio quindi è bene modificare l’assetto dei banchi in funzione delle attività, assicurarsi che tutti (insegnante compreso) dispongano dei materiali necessari, far sì che nessuno venga a interrompere il laboratorio (è sufficiente un cartello posto sulla porta dell’aula con su scritto: per favore non disturbare), condividere con i ragazzi le regole di comportamento.

Presentazione del progetto

Prima di iniziare a lavorare, con i banchi ancora disposti in file, presentiamo ai ragazzi il nostro progetto avendo cura di coinvolgerli attivamente anche nella progettazione. Spieghiamo loro, a grandi linee, in che cosa consiste il percorso, ma decidiamo (anche non nell’immediato) con loro alcuni aspetti come:

  1. Il titolo del progetto (che potrebbe essere anche il titolo del video finale, nel caso decidessimo di fare storytelling digitale);
  2. Il calendario orario: se non ci sono particolari vincoli dell’istituto, cerchiamo di stabilire con loro il momento migliore in cui svolgere questa attività. Per esempio, dopo l’ora di educazione motoria risulterà più difficile compattare velocemente il gruppo e riportare i ragazzi a una condizione di ascolto, mentre a metà mattina, dopo un paio d’ore di lezione, il laboratorio verrà vissuto come uno spazio “aperto” in cui rilassarsi. È importante che i ragazzi sappiano sin da subito quando sarà il prossimo incontro, perché dovrà essere un momento atteso e non un tempo casuale ricavato tra le varie attività didattiche.
  3. Il prodotto finale: che cosa realizzare per condividere l’esperienza con le altre classi e le famiglie?

Terminata questa fase di presentazione, chiediamo ai ragazzi di spostare i banchi a ferro di cavallo. Ciascuno di loro dovrà avere sul banco un foglio bianco e una penna. Sondiamo le loro conoscenze in fatto di storytelling e autobiografia e le loro aspettative su questo lavoro, utilizzando sulla LIM o in fotocopia le schede 1 e 2 allegate.
La scheda 1 propone cinque semplici domande a cui i ragazzi dovranno rispondere; la scheda 2 alcuni concetti teorici di supporto al laboratorio che i ragazzi potranno leggere e approfondire a casa.

Dopo aver raccolto le risposte dei ragazzi (anonime), illustriamo, sempre a grandi linee, le modalità che potranno usare per narrarsi: oralmente, tramite scrittura, tramite immagini. Può succedere che i ragazzi più vivaci e creativi propongano di raccontarsi in altri modi, per esempio attraverso la musica (una canzone o un brano eseguito da loro), o un video dello sport che amano (o di una loro partita). In tal caso, cerchiamo sempre di non respingere a priori la proposta ma di valutarla bene per cercare di inserirla nel lavoro.


Presentazione delle modalità di autonarrazione

Narrazione orale

Nel presentare la modalità orale, facciamo riflettere i ragazzi su obiettivi e valenza educativa di questa attività: favorire la conoscenza reciproca, valorizzare l’identità del singolo, creare un clima positivo all’interno della classe... Cos’è il narrare se non un creare connessioni, legami tra chi parla e chi ascolta? 

Certo, “narrare” è una pratica che si apprende, ma nel nostro cerchio narrativo ciò che conta non è la tecnica con cui si narra, quanto il contenuto e le relazioni che si vengono a creare. Narrando inevitabilmente si imparerà a narrare, ed è questo il bello: il raggiungimento di una competenza (quella narrativa) attraverso un’attività non prettamente scolastica, in cui l’alunno è motivato a dare il meglio di sé. Spieghiamo anche che la metodologia autobiografica non è un modo per entrare nelle vite degli altri o psicoanalizzare gli alunni: è invece un’occasione speciale in cui rilassarsi e divertirsi.

Esercizi per avviare l’attività
Un primo esercizio per scaldare l’ambiente può essere questo: l’insegnante pronuncerà un colore (“Rosso come…”) e ciascun ragazzo (seguendo l’ordine con cui sono seduti nel ferro di cavallo) dovrà dire due oggetti di quel colore facenti parte della propria esperienza. Per esempio: rosso come il divano di casa mia e le scarpe di mia sorella.
L’esercizio può essere ripetuto una seconda volta cambiando colore.
Un secondo esercizio è quello in cui ciascun ragazzo si presenta con una breve frase che enuncia una sua passione: “Io sono Matteo e mi piace il basket”.


Narrazione scritta

Per i ragazzi scrivere non è facile. Scrivere di sé lo è ancora meno.
Spieghiamo loro che la scrittura autobiografica non è una scrittura scolastica quindi non è un “compito” e non è sottoposto a valutazione. È, invece, una scrittura in cui poter esprimere sé stessi, recuperare frammenti della propria esistenza, valorizzare la propria esperienza e comunicarla agli altri. E scrivendo… si impara a scrivere!
Partiamo con semplici consegne che si possano ridurre quasi solo a un incipit: in questo modo anche il ragazzo in difficoltà potrà provare a raccontarsi. Per questi primi esercizi diamo regole semplici: scrivere stando nei tempi stabiliti, senza pensare troppo, senza rileggere per correggere il breve testo. Gli scritti sono anonimi e al termine di ciascun esercizio i ragazzi inseriscono in una scatola di cartone, precedentemente posta in un angolo dell’aula, i loro fogli.
Durante questi esercizi possiamo usare una musica di sottofondo, avendo cura di scegliere pezzi strumentali non conosciuti dai ragazzi. La musica aiuta a rilassarsi e crea un’atmosfera serena. Forse le musiche strumentali non incontreranno immediatamente il loro gusto, ma poi diventeranno parte del rito. Prepararsi ad abitare l’aula in modo diverso e sentire la musica di sottofondo servono infatti a far percepire la differenza rispetto alle normali ore di lezione e a creare la ritualità dell’incontro.

Esercizi per avviare l’attività
Ecco un primo esercizio per rompere il ghiaccio: su foglio bianco i ragazzi devono scrivere la parola per loro più importante, quante volte vogliono, dove vogliono sul foglio, con la grandezza del carattere e con il colore preferiti (tempo due minuti).
Un secondo esercizio consiste nello scrivere sul foglio bianco l’aspetto del carattere che più si ama, la qualità interiore ritenuta migliore; come nell’esercizio precedente, lo si fa sul foglio, nel punto in cui si vuole e con la grandezza del carattere e con il colore preferiti (tempo due minuti).
Al termine dei due esercizi l’insegnante prenderà la scatola e leggerà tutti gli elaborati mostrandoli ai ragazzi. Per l’esercizio 1, ci sono state parole ricorrenti? Per l’esercizio 2, ci sono persone che ritengono di avere una stessa qualità?


Narrazione tramite immagini

Anche il “visivo” può offrire ai ragazzi la possibilità di narrarsi, con una forza e un’evidenza che spesso solo le immagini riescono ad avere. Chiedere ai ragazzi di comporre una propria “apparenza” può essere l’inizio di un approfondimento che potrà diventare dialogo e scrittura.
Faremo riflettere i ragazzi sull’idea che il ritratto/autoritratto può essere qualcosa di diverso dal semplice volto con due occhi e un naso, in modo da slegarli da quella che spesso è solo una costrizione (la somiglianza!) e portarli così verso il mare di un’arte che, come diceva Paul Klee, dovrebbe rendere visibile quello che non lo è. Ma non è questo quello che anche le parole fanno? Una buona tecnica da usare può essere quella del ritaglio e del collage, sia per trovare in altre immagini qualcosa che possa appartenere anche a loro, sia per escludere il giudizio puramente estetico sul “fatto a mano”.
Aiutati dall’insegnate di arte e immagine, possiamo appoggiarci alla lunga catena di espressioni personali che la pittura ci regala.
Ci sono artisti la cui intera opera può essere vista come un racconto autobiografico. In genere questo è vero sempre, perché l’opera nasce dalla vita dell’artista. Per alcuni pittori però, il proprio lavoro narra esplicitamente della propria vita: quadro per quadro, emozione per emozione. 

Esercizi per avviare l’attività
Un primo esercizio per incoraggiare i ragazzi: comporre e sovrapporre a un loro selfie stampato su un foglio di carta formato A4 informazioni, ricordi, speranze in forma di immagini ritagliate da giornali e riviste: gli amici a cui siamo affezionati, la perdita di un nonno, un viaggio particolare, una ingiustizia subita. Il lavoro può essere svolto in classe eventualmente con l’aiuto dell’insegnante di arte e immagine, oppure assegnato come lavoro a casa. Avremo cura nell’incontro successivo di mostrare a tutta la classe i lavori svolti e magari di appenderli alle pareti dell’aula che diventeranno una grande “galleria delle facce”.

 

Valeria Bruni: insegnante di Lettere nella scuola secondaria di primo grado, è autrice di testi scolastici e conduce laboratori creativi nelle scuole.

Renato Pegoraro: illustratore, è autore di testi scolastici e collabora con Valeria Bruni nei laboratori creativi.