Intervista a Franco Cardini. «Per l’uomo medievale, viaggiare vuol dire vivere»

Pellegrini in viaggio

CULTURA STORICA

Lo storico Franco Cardini, esperto medievista, affronta il tema del viaggio in un’epoca dove tutto sembra fermo e statico: così non è, il viaggio è anzi una dimensione essenziale nella vita dell’uomo medievale.

Roberto Roveda

Nell’immaginario collettivo il Medioevo compare come un’epoca “statica”, in cui viene meno quel movimento di persone, merci e idee che aveva caratterizzato l’epoca antica, in generale, e la civiltà romana, in particolare. Il paesaggio dell’Europa occidentale durante l’epoca romana era stato, infatti, dominato dalle città, dalle arterie stradali, dai campi coltivati e dai lunghi filari delle viti. Le vie di comunicazione venivano mantenute in ottimo stato e le strade permettevano di raggiungere i più remoti angoli dell’Impero. Mercanti, soldati, ricchi signori e anche semplici viandanti erano sempre in movimento. Era un’Europa che assomigliava, fatte le debite differenze, a quella dei nostri giorni, caratterizzata da città, campagne, vie di comunicazione, uomini in movimento. Viceversa il Medioevo – l’età delle selve e delle economie chiuse – viene spesso rappresentato come un’epoca opposta alla nostra, soprattutto dal punto di vista della mobilità delle persone, dei commerci e della cultura.
Nonostante gli studi innovativi sulla società medievale apparsi nel corso del Novecento, permane l’immagine dei “secoli bui”. Certamente le invasioni dei barbari e la fine del mondo romano influirono negativamente sul movimento di uomini e cose e le vie di comunicazione divennero sempre più insicure. I ponti, senza più manutenzione, caddero in rovina e lo stesso accadde alle strade, che si ridussero spesso a sentieri sconnessi, dove i carri facevano molta fatica a passare. Divenne chiaramente più complicato muoversi e molti centri abitati piccoli rimasero isolati e decaddero totalmente.

Tutti per strada

Queste considerazioni preliminari fanno del Medioevo un’epoca in cui si viaggiava poco o, peggio, un’epoca in cui le persone consideravano il viaggio come a loro estraneo? Franco Cardini, uno dei massimi medievisti italiani, ha opinioni precise in merito.
«È esattamente il contrario. Nel Medioevo, per tanti motivi, si viaggiava di continuo. Viaggiavano tutti, anche le persone più umili, e spesso per necessità. Viaggiavano prima di tutto gli agricoltori: il sistema di coltivazione delle terre, infatti, prevedeva una rotazione periodica dei terreni con una messa a riposo dei vari appezzamenti di terra, praticata alternativamente. Era un sistema necessario perché esistevano solo concimi naturali, che avevano poca resa e costringevano gli agricoltori a far riposare a lungo i campi. Per questo motivo nel Medioevo contadini di interi villaggi la mattina si svegliavano e facevano chilometri per andare a lavorare in campi lontani. Non sempre questi agricoltori tornavano a casa la sera, ma dormivano in capanne improvvisate. Spesso, poi, i contadini dovevano fare giornate di lavoro presso i signori e anche qui si mettevano in viaggio perché non sempre le terre signorili erano dietro l’angolo.»

Chi altro viaggiava abitualmente oltre ai contadini?
«Viaggiavano i mercanti per i loro affari, anche nei tempi più difficili dell’Alto Medioevo, e viaggiavano i nobili per la guerra oppure per andare a caccia. L’aristocrazia guerriera, in particolare, era sempre in moto perché andare in guerra voleva dire fare il servizio feudale e quindi seguire il proprio signore nelle sue imprese o guadagnarsi la vita come mercenari o partecipare alle Crociate. Nell’Alto Medioevo erano in costante movimento anche i sovrani perché le corti erano itineranti e i re con i loro seguiti si muovevano costantemente all’interno dei possedimenti reali per raccogliere nelle diverse curtes regie gli approvvigionamenti necessari.
Spesso verso le stesse mete delle Crociate si muovevano anche i pellegrini: uomini e donne in abito da penitente e armati di bordone (il bastone per il cammino) che percorrevano lunghe distanze a piedi, affrontando pericoli e privazioni dirigendosi verso Gerusalemme, Roma, Santiago de Compostela. Tanti erano dunque i motivi per cui nel Medioevo ci si metteva in cammino. Gli unici che non avrebbero dovuto viaggiare erano i monaci benedettini, che erano tenuti alla stabilitas loci,1 cioè avrebbero dovuto, secondo la Regola di san Benedetto, stare tutta la vita in un monastero specifico, ma anche questo spesso non succedeva. I monaci si muovevano come chiunque altro; infine, non bisogna dimenticare il grande movimento dei chierici, studenti che si muovevano di città in città, di università in università, per cercare insegnamenti migliori o più a buon mercato. Nel Medioevo si muovono tutti di continuo: la vera protagonista dell’epoca medievale è la strada.»

In movimento via terra e sull’acqua

Ecco, proprio le strade e in generale le vie di comunicazioni vengono spesso considerate elementi che di fatto impedirono ai medievali di muoversi come i loro predecessori di epoca romana. Fu proprio così?
«Ci si muoveva più lentamente e magari su distanze più brevi, ma comunque ci si muoveva, come dimostra la nascita in epoca medievale di tanti hospitia e tabernae. Sia la cultura romana sia quella germanica consideravano l’ospite sacro. La società cristiana medievale concretizzò questi ideali in una rete di strutture ecclesiastiche che assicuravano alloggio e ristoro ai viaggiatori, come previsto dalle regole monastiche che prescrivevano la realizzazione all’interno dei monasteri di uno xenodochium, cioè di locali per l’ospitalità gratuita dei forestieri. Certo, in epoca medievale le strade non erano quelle lastricate di epoca romana, erano sentieri polverosi e magari solo accennati sui quali ci si muoveva a piedi oppure a dorso di mulo o a cavallo, se si era più ricchi. Spesso le strade non erano carrabili e comunque i carri del Medioevo non erano molto efficienti. Solo nel Rinascimento si comincerà a muoversi più di frequente a bordo di carri. Importanti erano anche le vie d’acqua interne: fiumi e torrenti erano percorsi da imbarcazioni di varie dimensioni: scialuppe, barche, traghetti, lance e gabarre (antenate delle moderne chiatte) rappresentavano una rapida scorciatoia, soprattutto per le merci più pesanti. La navigazione via mare risultava invece difficoltosa. Il mondo medievale non amava granché il mare perché i trasporti nautici non erano molto sicuri, finché nel corso del XIV secolo venne introdotta la grande innovazione delle vele mobili. Queste permettevano di viaggiare anche controvento: allora il viaggio per mare divenne maggiormente fattibile e si aprirono nuovi orizzonti. Ripeto però, che pur con tutti i limiti accennati, nel Medioevo siamo comunque di fronte a una società estremamente dinamica.»

A confermare come i medievali fossero spesso in movimento e amassero anche raccontare i loro viaggi ci sono poi i tanti resoconti di viaggiatori e le opere letterarie dedicate al viaggiare giunte fino a noi…
«Esatto, anche nel Medioevo il piacere di muoversi, di scoprire cose nuove e di descrivere ci è stato trasmesso attraverso una ricca letteratura di viaggio. Sono tutti elementi fissati, per esempio, nelle pagine dei devoti che hanno descritto i loro pellegrinaggi fin dal IV secolo. Il racconto del pellegrinaggio a Gerusalemme è un genere letterario molto fiorente nel Medioevo, così come sono giunti fino a noi molti resoconti scritti dai partecipanti alle varie Crociate. Poi vi sono le cronache di viaggio dei primi missionari, soprattutto domenicani, che si sono spinti verso Oriente. Anche questa è letteratura di viaggio. Così come esiste una letteratura descrittiva di tipo trattatistico-geografico per far conoscere le meraviglie del mondo (poco o molto che fosse) conosciuto. Una cosa però va detta trattando il tema della letteratura di viaggio del Medioevo: è difficile dire con certezza fino a che punto certe esperienze siano state frutto di veri viaggi e da che punto in poi siano copie più o meno elaborate, intelligenti e astute di lavori precedenti. In molti resoconti, infatti, si fa finta di viaggiare, mentre in realtà si viaggia intorno alla propria stanza. Tra i più famosi viaggiatori che ci hanno lasciato resoconti fantasiosi spicca l’anglo-francese Jean de Mandeville2 che nel Trecento ha realizzato una descrizione dell’Asia che per certi aspetti ricorda quella di Marco Polo. Una descrizione scritta, però, sottolineando gli aspetti fiabeschi dell’Asia: i fiumi di spezie, le montagne di pietre preziose, gli animali mitici e i mostri. I contemporanei che leggevano i suoi resoconti gli prestavano fede perché parlava di cose che erano parte dell’immaginario diffuso all’epoca. Paradossalmente, quando, invece, Marco Polo descrive un’Asia più realistica e, per esempio, davanti all’unicorno (ossia al rinoceronte) dice: “sì, l’ho visto anch’io, è una brutta bestia, piuttosto irascibile, non è affatto il bellissimo animale di cui ci parlano gli araldisti” la sua spiegazione non convince nessuno. Oggi crediamo sia facile comprendere questa letteratura, distinguendo il falso dal vero sulla base del verosimile. Quindi siamo portati a ritenere falsa la letteratura assolutamente fantastica, vera quella più realistica. Le cose non sono, però, così semplici quando si tratta di resoconti di un’epoca, come il Medioevo, in cui si credeva profondamente nel fantastico e nell’immaginario. Negli scritti di Marco Polo ci sono sicuramente degli elementi di realismo molto forti, ma ciò non ci assicura che nel suo racconto non siano stati inseriti elementi fantastici o fantasiosi. Anche questo però ci fa comprendere quanto il viaggio occupasse la fantasia dell’uomo medievale.»

La concezione medievale del viaggio

Da dove nasce allora questa sorta di “leggenda nera” su un Medioevo ripiegato in se stesso e poco incline al viaggio?
«Dopo l’anno Mille si ebbe una generale rinascita delle città. Le civiltà urbane sono sempre dominate dai sedentari. E i sedentari sono solitamente pieni di pregiudizi nei confronti di chi viaggia, vedono di cattivo occhio gli erranti. Probabilmente, per queste ragioni nacquero tutte le leggende sul pellegrino ladro, che insidia le donne, che è preda del demonio e via dicendo. Sono leggende che mostrano come, nei confronti dei viandanti, ci sia un pregiudizio che nasce e si alimenta proprio perché è il contro-altare della sedentarietà, che è invece il fenomeno nuovo, il fenomeno che si sta affermando e che vuole prendere il centro della scena. Inoltre c’era la retorica anti-itinerante della Chiesa che per ragioni mistico-disciplinari insisteva molto sul tema della stabilitas loci per i monaci e i religiosi in genere. Infine, tante testimonianze contrarie al viaggio che sono giunte fino a noi sono puri esercizi retorici fondati sul recupero dell’antica avversione dei greci e dei romani per il viaggio, soprattutto per mare. Petrarca, per esempio, critica i viaggi e chi viaggia, dice di desiderare un’esistenza sedentaria, quasi una monastica stabilitas loci, salvo però essere lui per primo sempre in cammino, come dimostra la sua biografia. Il suo avversare i viaggi, quindi, era puro esercizio retorico.»

Possiamo allora concludere che il viaggio era, viceversa, profondamente radicato nell’animo medievale?
«Assolutamente. Il viaggio è, come detto, alla base della fantasia dell’uomo medievale. Anzi, è la base della concezione del mondo nel Medioevo. Anche da questo punto di vista chi dice che nel Medioevo la gente non viaggia dice una cosa non vera. Per il mondo medievale, il viaggio è fondamentale come esperienza simbolico-metaforica perché è la metafora della vita: la vita è un viaggio, dalla nascita fino alla morte, dopo la quale vi è il passaggio alla vita eterna. Quindi, tutte le volte che si viaggia si ripercorre spiritualmente il viaggio dell’esistenza. Un viaggio anche piccolo è l’occasione per meditare sul grande viaggio dell’esistenza. Così come, quando si parla della Chiesa, ci si immagina la sua storia come la navigazione della navicella di Pietro dalle acque del peccato fino al porto sicuro del paradiso di Cristo. C’è continuamente, nella mentalità medievale e nella cultura del tempo, questo riferimento ai viaggi, alla strada, all’arrivo ma anche alla partenza. Per i medievali, viaggiare vuol dire vivere.»

Note

1. Il principio della stabilitas loci (letteralmente “permanenza in un luogo”) è uno dei cardini del monachesimo occidentale e venne introdotto dalla Regola di san Benedetto nel VI secolo. Prima di Benedetto i monasteri erano tenuti ad accogliere quei monaci che erano soliti “errare” da un luogo all’altro. Tale pratica era guardata con sospetto da san Benedetto, che nel primo capitolo della Regola parlò di “monaci girovaghi”, ovvero viandanti che vivono andando da un monastero all’altro portando discredito alla professione monastica. Benedetto quindi escluse questa forma di monachesimo da quella cenobitica (cioè sottoposta alla Regola), legando ciascun monaco al primo monastero dove entrava e dove doveva trascorrere tutta la vita.
2. Autore del volume Voyage d’outre mer, pubblicato fra il 1357 e il 1371, testo solo in piccola parte (Terrasanta, Egitto, Medio Oriente) fondato sulla diretta osservazione da parte dell’autore dei luoghi descritti. La maggior parte del libro, cioè la descrizione dei lontanissimi viaggi da Trebisonda all’India, dall’Arcipelago Malese alla Cina, deriva da altre trattazioni precedenti. Il Voyage, comunque, nonostante sia in gran parte solo una compilazione, ebbe un’immensa fortuna e fu tradotto già nel Quattrocento nelle maggiori lingue europee e in latino.

Franco Cardini

Nato a Firenze nel 1940, è uno dei massimi medievalisti italiani. Ha insegnato storia medievale nelle università di Middlebury, Barcellona, Bari e Firenze e si è occupato nel corso degli anni soprattutto della cavalleria medievale, delle crociate, di pellegrinaggi e di rapporti tra la cristianità e l’islam. Collabora con i quotidiani “Il Giorno” e “Avvenire” ed è stato fondatore della rivista “Percorsi”. Tra i suoi numerosi libri si ricordano: Le crociate tra il mito e la storia (1971), Il movimento crociato (1972), Alle radici della cavalleria medievale (1982), Quell’antica festa crudele. Guerra e cultura della guerra dall’età feudale alla grande rivoluzione (1982), Gerusalemme, la Terrasanta e l’Europa (1987), Francesco d’Assisi (1989), Nel nome di Dio facemmo vela. Viaggio in Oriente di un pellegrino medievale (1991), Noi e l’Islam (1994), L’avventura dell’Islam (1995), Il Medioevo in Europa (1999), L’invenzione dell’Occidente (2004) e Gerusalemme. Una storia (2012).

Bibliografia

H. C. Peyer, Viaggiare nel Medioevo. Dall’ospitalità alla locanda, Laterza, Roma-Bari 2009.
J. Verdon, Il viaggio nel Medioevo, Dalai, Milano 2001.
AA.VV., Viaggi e viaggiatori nel Medioevo, Jaca Book, Milano 2008.
C.M. Cipolla, Storia economica dell’Europa pre-industriale, Il Mulino, Bologna 2009.
F. Cardini, La società medievale, Jaca Book, Milano 2012.

 

Roberto Roveda è studioso di storia medievale. Per Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori ha scritto, con Franco Amerini ed Emilio Zanette, il secondo volume del corso di storia per il biennio delle superiori Sulle tracce di Erodoto. Per la Scuola secondaria di primo grado è autore del corso Noi dentro la storia.