Dalla Cina al mondo: il viaggio del COVID-19
La diffusione nel mondo del coronavirus, responsabile della pandemia di COVID-19, è stata rapidissima: dal 30 dicembre 2019, quando un medico della città cinese di Wuhan ha individuato un primo focolaio di polmonite anomala tra i lavoratori di un mercato e ha lanciato un inascoltato allarme, al 23 gennaio 2020, quando le autorità cinesi, di fronte al dilagare del contagio, hanno imposto un rigidissimo lockdown ai circa 60 milioni di abitanti della provincia di Hubei. Nel frattempo, in poco meno di un mese il virus dall’Asia ha raggiunto gli altri continenti. La dichiarazione di stato di pandemia da parte dell’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) è avvenuta l’11 marzo 2020. A quella data si registravano focolai praticamente in tutto il pianeta.
Un’emergenza annunciata?
• FILOSOFIA • SCIENZE UMANE • SCIENZE • STORIA
La pandemia di COVID-19 ha colto tutti di sorpresa, tanto da essere interpretata alla luce della teoria del “cigno nero”, elaborata in un saggio del 2007 dal filosofo e matematico di origine libanese Nassim Nicholas Taleb. Questa metafora, che evidenzia l’eccezionalità del colore nero rispetto a quello normalmente bianco dei cigni, indica l’imprevedibilità di un evento e i suoi effetti destabilizzanti, in contrasto con ogni esperienza precedente. Ma questa emergenza era davvero così imprevedibile?
In realtà, la comunità scientifica non ha mancato di lanciare l’allarme per la frequenza sempre maggiore con cui, già dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, si stanno manifestando nel mondo le cosiddette malattie emergenti, causate da agenti patogeni nuovi o sconosciuti e caratterizzate da una velocità di diffusione più elevata di quanto sia prevedibile in base ai dati epidemiologici. L’allarme era stato dato anche dall’OMS e dal Center for Disease Control and Prevention di Atlanta (il principale organismo di controllo sulla sanità pubblica negli USA), consapevoli del rapporto tra la globalizzazione e la possibilità del manifestarsi e del diffondersi di pandemie.
Nel mondo globalizzato in cui viviamo, infatti, tutto è interconnesso: insieme con le persone e le merci si spostano costantemente da un angolo all’altro del pianeta anche le malattie. Ciò accadeva già in passato: si pensi, ad esempio, alla pandemia di peste del 1348-1352 o alle “migrazioni” di malattie in conseguenza delle grandi scoperte geografiche del XV-XVI secolo. Al giorno d’oggi, però, tutto è straordinariamente accelerato.
Spillover, zoonosi e disequilibrio ambientale
• SCIENZE • SCIENZE UMANE
Gli scienziati hanno da subito cominciato a studiare le cause e le manifestazioni del COVID-19 - abbreviazione di CoronaVirus Disease-2019 - ma non è stata ancora accertata la fonte di questo coronavirus1: si presume sia il pipistrello Rhinolophus, che vive in grotte nelle foreste pluviali e, come tutti gli altri pipistrelli, ospita in genere molti virus tra i quali probabilmente il SARS-COV-2. Tuttavia si ritiene che, prima di arrivare all’uomo, il virus sia approdato in un altro animale ospite, forse il pangolino, un piccolo formichiere di cui alcune specie sono diffuse in Cina, dove la sua carne è considerata una ghiottoneria. Pertanto, il coronavirus che ha innescato l’attuale pandemia di COVID-19 potrebbe essere giunto in un mercato di Wuhan insieme con un pangolino.
Il salto di specie, cioè il passaggio di un agente patogeno – non soltanto virus, ma anche batteri, microorganismi ecc. – da una specie ospite a un’altra, è indicato in microbiologia con il termine inglese spillover (letteralmente “traboccamento”). E zoonosi sono definite le malattie infettive trasmesse dagli animali all’uomo (la parola, di origine greca, è composta di zóon, “animale”, + nósis, “malattia”). Entrambi sono fenomeni “normali”, che fanno parte della storia del mondo, nel quale l’uomo è una specie fra tante, ma oggi assumono caratteri anomali, poiché si inseriscono in una situazione di disequilibrio ambientale. Infatti, le trasformazioni provocate dall’intervento sistematico e rapidissimo dell’uomo negli habitat naturali e nei confronti delle specie animali sembrerebbero all’origine dell’accresciuta frequenza di spillover e dell’aumento di zoonosi negli ultimi decenni2.
Il salto di specie all’origine dell’attuale pandemia di COVID-19 rappresenta dunque non soltanto un problema sanitario, ma si colloca in un epocale fenomeno di insicurezza ambientale.
Animali e uomini: una sola salute
• SCIENZE • SCIENZE UMANE
La consapevolezza della stretta interrelazione tra la salute degli animali e quella degli esseri umani è alla base del paradigma “One Health”, secondo cui i sistemi biologici interagiscono in modo tale che le modifiche apportate agli uni alterano necessariamente anche gli altri, spostando gli equilibri e provocando talvolta conseguenze disastrose. A tale paradigma fanno riferimento gruppi di lavoro e centri di ricerca attivi in varie parti del mondo: ad esempio il One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, diretto dalla virologa italiana Ilaria Capua, che si pone l’obiettivo del “co-avanzamento” della salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente, attraverso l’utilizzo dei big data3.
I gesti “salvavita” e il lockdown
• SCIENZE • SCIENZE UMANE • EDUCAZIONE CIVICA • STORIA
Mentre i sistemi sanitari nazionali e la medicina sono al lavoro per curare e prevenire il COVID-19, i cittadini sono chiamati a collaborare adottando misure di contenimento del contagio che consistono principalmente nel distanziamento fisico e in una serie di pratiche igieniche: indossare le mascherine su naso e bocca, per non contagiare e per non essere contagiati con starnuti o colpi di tosse; evitare contatti ravvicinati e curare l’igiene personale, lavandosi ripetutamente le mani e igienizzandole. Si tratta di azioni che incidono profondamente sulle nostre abitudini e sulle relazioni interpersonali: semplici gesti che però possono rappresentare dei “salvavita”, per sé e per gli altri. Raccomandato o anche prescritto dalle autorità sanitarie e di governo, il rispetto di queste misure è comunque affidato alla responsabilità e al senso civico degli individui.
Tali misure di prevenzione non sono però sufficienti nei momenti di massima emergenza della pandemia; infatti, alcuni Paesi hanno imposto con modalità diverse il lockdown. Con questo anglicismo si indica la chiusura pressoché totale delle attività che comportano la vicinanza fisica (lavoro, scuola, attività commerciali, viaggi ecc.), a esclusione dei servizi essenziali (ospedali, farmacie, distribuzione alimentare ecc.), e il confinamento delle persone nelle proprie case. Questa esperienza non rappresenta una novità, ma rimanda a un’altra situazione d’emergenza rimasta nella memoria collettiva: la quarantena. Intesa come periodo di segregazione di persone (ma anche di animali o cose) già contagiate o sospette di trasmettere il contagio, la quarantena ha cominciato a essere praticata in Europa in epoca medievale, soprattutto nei confronti delle navi provenienti dalle regioni colpite dalla “peste nera” nel 1348.
Il termine “quarantena” (dal latino quadraginta) fece la sua comparsa tra il XV e il XVI secolo a Venezia, dove le pestilenze provenienti dall’Oriente erano ricorrenti, e indicava in quaranta giorni il periodo di profilassi. Si tratta di un intervallo che deve essere stato scelto soprattutto sulla base dell’esperienza dei medici del tempo che avranno notato come quei giorni fossero sufficienti per riprendere in sicurezza i contatti: una sorta di primo empirico trattamento di evidence-based medicine, cioè di medicina basata sulle evidenze, sulle prove. Oggi siamo in grado di valutare con maggiore precisione il periodo di incubazione delle malattie – che nel caso del COVID-19 è fino a 14 giorni – ma l’isolamento anche per tempi più lunghi continua a essere una misura precauzionale efficace.
Le trasformazioni della vita quotidiana: lavorare e studiare a distanza
• SCIENZE UMANE • ECONOMIA • DIRITTO
L’esperienza del lockdown ha profondamente segnato la vita quotidiana delle persone. Pensiamo ad esempio ai grandi cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro e della formazione.
La proibizione di ogni assembramento è il criterio base del lockdown che può quindi comportare la chiusura delle scuole e dei luoghi di lavoro, oltre che di quelli di culto, cultura e intrattenimento. Durante i primi mesi del 2020 in Italia, insieme con lo stop industriale quasi generalizzato (a esclusione delle produzioni ritenute strategiche, come le industrie alimentari e quelle chimico-farmaceutiche), si sono svuotati tutti gli uffici. Impiegati, tecnici, dirigenti, liberi professionisti hanno però continuato a lavorare da casa secondo le modalità del cosiddetto smartworking (in italiano “lavoro agile”), grazie all’utilizzo della strumentazione digitale, che consente di eseguire in qualsiasi luogo le medesime operazioni prima svolte sul posto di lavoro.
Questa pratica lavorativa, che era già in atto in diverse aziende per porzioni limitate dell’orario settimanale, diffusasi durante la pandemia, tende a mantenersi, poiché comporta vantaggi per i datori di lavoro e per i lavoratori, sia pure insieme ad alcuni effetti negativi. Tra i benefici si possono citare per le aziende il contenimento di alcune spese, ad esempio quelle per la mensa o per l’energia elettrica; per i lavoratori sono azzerati i costi e i tempi degli spostamenti (soprattutto per i pendolari), poiché anche le riunioni in presenza vengono sostituite da conference call.
Tuttavia ai possibili effetti positivi sui rapporti familiari, sulla salute, sulle condizioni di autonomia dei lavoratori, si accompagnano problemi gravi, quali il crollo economico degli esercizi commerciali (come i bar), la scomparsa di posti di lavoro (ad esempio, nelle mense o nelle imprese di pulizia), il rischio di un appesantimento delle incombenze domestiche per le donne lavoratrici. A ciò vanno aggiunti il disagio da parte degli utenti con scarse competenze digitali e i rischi dell’isolamento individualistico, cioè della perdita di socialità tra i lavoratori, e dell’estensione dell’orario di lavoro oltre i limiti contrattuali.
Ancora più complessa è la situazione della scuola e dell’università. In Italia si è verificata la chiusura per lunghi periodi di tutte le strutture scolastiche e universitarie, e il trasferimento delle attività di insegnamento, apprendimento e verifica sulla modalità digitale. La didattica a distanza ha mostrato in tali situazioni pregi e difetti. Da una parte, si sperimentano metodologie innovative, che potranno essere perfezionate in futuro (utilizzo ragionato del web come fonte di informazione; produzione e fruizione di contenuti multimediali; nuovi strumenti di verifica; maggiore familiarità con i mezzi digitali); dall’altra ci si scontra con il digital divide (“divario digitale”) di larghe fasce di popolazione, in termini sia di disponibilità degli strumenti, sia di competenza d’uso, sia di presenza di infrastrutture sul territorio, con il conseguente rischio di un aumento delle diseguaglianze sociali e culturali. Soprattutto la didattica a distanza finisce con l’indebolire la dimensione relazionale tra docenti e discenti, che è fondamentale nel rapporto educativo, e con il ridurre la socialità tra gli stessi studenti, che costituisce un aspetto fondamentale della crescita.
La democrazia alla prova della pandemia
• EDUCAZIONE CIVICA • DIRITTO • ECONOMIA • SCIENZE UMANE
Le misure di emergenza adottate per fronteggiare la pandemia hanno sollevato problemi di compatibilità con alcuni fondamentali diritti democratici.
Se poniamo a confronto le restrizioni imposte dal Governo e da alcune Regioni nel corso del 2020 con i diritti garantiti dalla Costituzione, notiamo la possibilità di conflitti tra:
- l’obbligo di quarantena e l’articolo 13, che sancisce l’inviolabilità della libertà personale;
- il divieto di circolazione sul territorio nazionale e l’articolo 16, che afferma la libertà di movimento su tutto il territorio nazionale;
- la chiusura delle scuole e il diritto all’istruzione garantito dall’articolo 34;
- la limitazione o sospensione dei servizi del trasporto di merci e di persone e l’articolo 41, sulla libertà di iniziativa economica privata, oltre al già citato articolo 16;
- tra il divieto di assembramenti, con la sospensione di manifestazioni ed eventi culturali, ludici e sportivi, e l’articolo 17, che garantisce ai cittadini il diritto di riunirsi pacificamente;
- la sospensione dei riti religiosi e l’articolo 19, che afferma la libertà di culto.
Nelle fasi di emergenza alle istituzioni spetta dunque il compito di trovare il giusto equilibrio tra le libertà personali tutelate dalla Costituzione e il diritto alla salute, anch’esso costituzionalmente garantito (art. 32), insieme a un bilanciamento reciproco dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) a fondamento delle moderne democrazie.
Particolarmente a rischio di restrizioni, in questa fase di emergenza sanitaria, è il diritto alla privacy, intesa come protezione dei dati personali. Lo sviluppo delle tecnologie digitali, alla base del cosiddetto “capitalismo della sorveglianza”4, consente infatti il controllo dei dati personali degli utenti delle grandi piattaforme globali. Se da una parte l’uso di questi dati può essere utile per la mappatura del virus (individuazione dei soggetti risultati positivi, controllo degli spostamenti ecc.) e quindi per il contenimento del contagio, dall’altra occorre tutelare la privacy delle persone. È ciò che si prefigge di garantire il Regolamento generale dell’Unione Europea sulla protezione dei dati (Reg. UE n. 2016/679).
Anche il Decreto Legge 14/2020, emanato in Italia il 9 marzo 2020 (“Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza COVID-19”), vincola in maniera molto stringente la condivisione dei dati. L’obiettivo di fondo di tale normativa è quello di un utilizzo dei dati personali, anche sanitari, ai fini di tutelare la salute collettiva e coadiuvare la ricerca epidemiologica, scongiurando, attraverso opportune misure tecniche e organizzative, un trattamento lesivo dei diritti costituzionali.
Infodemia, il contagio delle informazioni
• SCIENZE UMANE
“Infodemia” (in inglese infodemic, crasi di information + epidemic) è un neologismo coniato dal politologo David J. Rothkopf nel 2003, all’epoca della SARS: oggi è utilizzato per evidenziare il rischio di un’informazione sovrabbondante sulla pandemia, proveniente da fonti diverse e spesso non verificabili, che, come i virus, si propaga rapidamente provocando danni. Per proseguire nella metafora, questo “contagio informativo” condiziona la percezione dei fenomeni da parte di larghi strati di popolazione, pregiudicandone una conoscenza corretta e comportamenti omogenei ed efficaci.
La questione riguarda anche l’affidabilità delle fonti giornalistiche, che talvolta diffondono notizie “virali”, spesso suggestionando i destinatari con un linguaggio immaginifico (in cui ricorrono echi bellici o religiosi), e dei mezzi di comunicazione “social”, da cui provengono talora allarmanti fake news. Riguarda anche l’autorevolezza delle fonti sanitarie, rivelatesi in qualche occasione ambigue o contraddittorie (come alcuni comunicati dell’OMS), oppure troppo esposte a livello mass-mediatico (ad esempio nel caso dei numerosi virologi interpellati durante la pandemia).
L’infodemia è dunque anch’essa un aspetto della gestione democratica della pandemia, di cui devono farsi carico consapevolmente le autorità politiche e sanitarie, e il mondo dell’informazione.
NOTE
1 COVID-19 è l’abbreviazione di CoronaVirus Disease-2019, che indica una malattia respiratoria, manifestatasi nel 2019, causata da un virus appartenente alla famiglia dei coronavirus, denominato SARS-COV-2, in quanto analogo a quello della pandemia di SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) diffusasi nel 2002. I coronavirus sono parte di una vasta famiglia di virus RNA (RiboNucleic Acid) con aspetto, al microscopio elettronico, simile a una corona. Tutti i virus si distinguono in sottofamiglie, generi e sottogeneri, e quello responsabile dell’attuale pandemia appartiene alla sottofamiglia Orthocoronavirinae, al genere del Betacoronaviruse al sottogenere Sarbecovirus.
2 L’elenco di zoonosi virali riconosciute dagli anni Ottanta-Novanta del Novecento a oggi è lungo. Tra le più importanti, ricordiamo l’AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome), diagnosticato nel 1981, causato dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV, Human Immunodeficiency Virus) trasmesso all’uomo dalle scimmie; e l’Ebola, diffuso nell’Africa subsahariana fin dagli anni Settanta del Novecento, poi ricomparso nel 1996 e nel 2013. Il virus proviene dalle scimmie, oltre che dai pipistrelli della frutta (detti anche “volpi volanti”).
3 Termine inglese che indica una enorme banca dati di informazioni digitali ed eterogenee, analizzate e messe in relazione tra loro per scoprire i legami tra fenomeni diversi.
4 L’espressione indica il sistema che sfrutta i dati sensibili degli utenti della rete per fini commerciali e di controllo politico.
Referenze iconografiche: Natalia Deriabina/Shutterstock