Riduco, riutilizzo, riciclo. Verso un nuovo sviluppo sostenibile

Riduco, riutilizzo, riciclo

EDUCAZIONE CIVICA E TEMI DI ATTUALITÀ

Ridurre le risorse impiegate, riutilizzare gli oggetti, riciclare le materie prime: sono questi i principi di un modello economico “circolare” assunto anche dall’Unione europea nel progetto Green Deal al fine di diventare il primo continente a impatto climatico zero. Ma in che modo possono contribuire i cittadini al raggiungimento di uno sviluppo rispettoso dell’ambiente?

Maria Cristina Zaccone e Matteo Pedrini

È possibile oggi adottare modelli di sviluppo economico più rispettosi dell’ambiente naturale? Un’economia che sia prospera e riguardosa della natura è un’utopia o una possibile realtà? La risposta a queste domande è centrale per il futuro delle attuali e prossime generazioni e comporta una ridefinizione del concetto di economia verso modelli di “sviluppo sostenibile”. Per capire quali sono ad oggi le concrete opportunità per ripensare l’economia è necessario ripartire dalle sue basi.

Il concetto di sostenibilità

Parlare di economia significa confrontarsi con tutti quei fenomeni generati dall’esistenza di infiniti bisogni umani e di limitate risorse per la loro soddisfazione. Dalla scarsità delle risorse discende la necessità di utilizzarne la minor quantità possibile per soddisfare il maggior numero di bisogni, principio alla base di tutto lo sviluppo dell’attività economica moderna. L’essenza stessa dell’attività economica è infatti pensare e implementare modelli di produzione (e consumo) efficienti, ossia che permettano di produrre una sempre maggior quantità di prodotti e di soddisfare così il maggior numero di bisogni. Lo sviluppo economico consiste, quindi, nell’individuare continuamente nuove soluzioni produttive con la conseguenza però di un altissimo consumo di risorse. Se al termine “sviluppo” viene associato l’aggettivo “sostenibile” la prospettiva cambia significativamente.
Il concetto di sostenibilità si identifica con la capacità di un sistema o di un processo di poter essere ripetuto con continuità nel tempo. In tal senso quindi non è sostenibile un’economia che risponda ai bisogni con sistemi di produzione che non possono essere ripetuti con continuità nel tempo, ad esempio perché portano a una progressiva riduzione delle risorse complessivamente a disposizione. A riguardo, la Commissione delle Nazioni Unite, già nel lontano 1987, ha definito lo sviluppo sostenibile come capace di “rispondere ai bisogni della generazione presente senza compromettere quelli delle generazioni future”. Secondo questa idea, quindi, tutte le attività economiche svolte dall’uomo dovrebbero essere condotte secondo modalità che permettano di garantire la stessa qualità della vita e dell’ambiente naturale nel tempo.

Sostenibilità ambientale ed economia nell’Agenda 2030

Come è facile intuire, la logica dello sviluppo sostenibile non è oggi quella dominante e il cambiamento verso di essa è un passo radicale che chiede un contributo da parte dei soggetti economici. Partendo da tale considerazione, per incentivare l’impegno di tutti gli attori sociali verso lo sviluppo sostenibile, nel settembre del 2015 l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha dato vita ai Sustainable Development Goals (comunemente conosciuti come SDGs o Agenda 2030). Si tratta di 17 obiettivi da conseguire entro il 2030 attorno ai quali dovrebbero convergere gli sforzi di tutte le istituzioni economiche1.
L’Agenda 2030 consiste in un piano volto a raggiungere una molteplicità di obiettivi, i quali possono essere riassunti in tre macro-ambiti dello sviluppo sostenibile: la sostenibilità ambientale, la sostenibilità sociale e la sostenibilità economica. Fra i diciassette obiettivi sei sono maggiormente attinenti alla relazione tra economia e tutela dell’ambiente naturale: Energia pulita e accessibile (n. 7), Imprese, innovazione e infrastrutture (n. 9), Consumo e produzione responsabili (n. 12), Lotta contro il cambiamento climatico (n. 13), La vita sott’acqua (n. 14), La vita sulla terra (n. 15). I processi produttivi implicano, infatti, una serie di attività – come la produzione di energia da combustibili fossili, il disboscamento e l’agricoltura – in grado di produrre i gas a effetto serra. Questi ultimi provocano il cosiddetto “riscaldamento globale”, ossia l’innalzamento della temperatura media della superficie della terra dovuto all’attività umana. Se non adeguatamente preso in considerazione, il riscaldamento globale è in grado di creare fenomeni metereologici dannosi per l’uomo e il pianeta stesso, quali ad esempio incendi, l’innalzamento del livello del mare, inondazioni, l’estinzione di specie animali e vegetali. Allo stesso modo, l’attività umana implica una serie di azioni – come il trasporto delle materie prime e degli individui – in grado di inquinare l’aria, i mari e le acque dei fiumi. Per evitare gli effetti più disastrosi, tutti i paesi del mondo dovrebbero implementare politiche e strategie volte a ridurre il più possibile le emissioni di gas serra, l’inquinamento e l’utilizzo di materiali monouso.

Attenzione al “Greenwashing”. Di cosa si tratta?

Sempre più aziende si stanno rendendo conto che i consumatori di oggi sono attenti alle caratteristiche dei prodotti che acquistano. In particolare, le nuove generazioni risultano essere sensibili non più soltanto al prezzo di un prodotto o servizio, ma anche alla possibilità che quest’ultimo generi un impatto positivo oppure il meno possibile negativo sull’ambiente naturale. Di conseguenza, per acquisire la fiducia di un sempre maggior numero di consumatori, alcune aziende stanno mettendo in atto delle strategie chiamate di “greenwashing”, letteralmente “tingersi di verde”. Si fa riferimento a questo termine quando un’impresa utilizza campagne di comunicazione in grado di creare un’immagine ingannevolmente positiva del proprio operato dal punto di vista della sostenibilità ambientale. Nello specifico, tali messaggi hanno lo scopo di distogliere l'attenzione dagli effetti negativi per l'ambiente derivanti dalle attività e dai processi produttivi che essa mette in atto.

L’insostenibilità dell’economia “lineare”

Sino ad oggi i sistemi economici hanno visto l’affermazione del modello della cosiddetta economia “lineare”, basato su un processo a fasi sequenziali: “acquisto, produco, consumo e smaltisco”. Secondo tale modello le aziende acquisiscono risorse (acquisto), le trasformano in beni adatti a soddisfare i bisogni (produco) e li rendono disponibili agli individui (consumo). Una volta soddisfatte le esigenze dei consumatori i beni vengono raccolti e distrutti (smaltisco). Nell’economia lineare la soddisfazione dei bisogni umani implica quindi la distruzione delle risorse acquistate dalle aziende e la distruzione di quanto prodotto. È il caso ad esempio di un’impresa di produzione di oggettistica per la casa, che acquisisce della plastica, la modella con stampi per trasformarla in oggetti che vengono utilizzati e, una volta vecchi, vengono raccolti per essere conferiti in discariche. Sebbene abbia permesso di soddisfare un significativo numero di bisogni, il modello lineare si è dimostrato non sostenibile, poiché incapace di assicurare il soddisfacimento dei bisogni delle attuali generazioni senza compromettere quelli delle generazioni future. Infatti, l’economia lineare arreca irreparabili danni all’ambiente naturale, compromettendo il patrimonio di risorse disponibili in tempi relativamente brevi, specie laddove la produzione raggiunge volumi che comportano un utilizzo delle risorse a tassi superiori a quello della loro rigenerazione. Con il passare del tempo il modello lineare si è quindi dimostrato inadeguato poiché permette un utilizzo delle risorse solo apparentemente ottimale, portando a un loro progressivo esaurimento.

Economia lineare e circolare

Economia “circolare”, un’alternativa possibile

Una possibile soluzione alla non sostenibilità dello sviluppo economico “lineare” consiste nell’adottare un modello economico di tipo “circolare”. Esso si fonda su un processo circolare e sul principio “riduco, riutilizzo e riciclo”. Il modello di sviluppo dell’economia circolare prevede quindi un impegno non solo alla riduzione delle risorse utilizzate, ma anche nella riprogettazione dei prodotti per renderne possibile il riutilizzo, la riparazione e, una volta a fine vita, un più semplice riciclaggio. Se il modello economico lineare si conclude con un consumo di materie prime e rifiuti da smaltire, nell’economia circolare i prodotti una volta utilizzati avranno una nuova vita e diverranno materie prime per un nuovo ciclo produttivo, con un radicale abbattimento delle risorse consumate. Nel caso dell’azienda di produzione di oggettistica per la casa, gli oggetti dovrebbero essere prodotti con materiale che possa essere riutilizzato (ad esempio leghe o metalli) e con un design che permetta una facile separazione degli eventuali componenti non metallici al momento del loro riciclaggio.
Diversi paesi nel mondo si stanno attivando per dar vita a un’alleanza tra i vari operatori economici che permetta l’affermazione e diffusione del modello di economia circolare.

Il Green Deal dell’Europa

Il cosiddetto Green Deal europeo ne è un chiaro esempio. Quest’ultimo è un piano approvato il 14 gennaio del 2020 per rendere sostenibile l’economia dell’Unione europea. I vertici dell’Unione hanno infatti delineato una strategia per fronteggiare l’imminente riscaldamento globale e il degrado ambientale. Obiettivo primario del piano consiste nel far sì che l’Europa diventi il primo continente a impatto climatico zero2 e fornisca un proprio diretto contributo al conseguimento degli SDGs di natura ambientale. In particolare, tra le azioni concrete che i paesi membri della Ue dovranno mettere in atto un posto centrale è dato alla promozione dell’uso efficiente delle risorse, grazie al passaggio a modelli di economia circolare, e all’introduzione di forme di trasporto green oltre che di misure in grado di proteggere l’ecosistema. Si tratta di un piano molto ambizioso in quanto volto a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Agire per rendere il mondo un posto migliore, insieme

Ma in che modo ognuno di noi nella propria vita quotidiana può contribuire al raggiungimento di uno sviluppo sostenibile? Quale contributo possiamo dare all’affermarsi dell’economia circolare? Tre sono le principali azioni che, come cittadini e consumatori, possiamo compiere per contribuire all’affermazione dell’economia circolare.
- La prima consiste nel prestare sempre maggior attenzione alle caratteristiche dei prodotti che compriamo, chiedendosi al momento dell’acquisto quanto del prodotto derivi da materiale riciclato, se il prodotto sia stato pensato per essere duraturo, e quale percentuale del prodotto potrà infine essere a sua volta riciclato. La nostra preferenza dovrebbe quindi essere orientata ai prodotti che più di altri rispondono ai requisiti dell’economia circolare. Fortunatamente le etichette dei prodotti sono sempre più utili e ricche di informazioni in tal senso.
- In seconda battuta è utile prima di procedere alla sostituzione di un prodotto o di un bene chiedersi se sia possibile riparare quello esistente e se lo stesso possa essere riutilizzato.
- Solo nel caso in cui questo non sia possibile, dobbiamo identificare la corretta modalità di smaltimento del bene per favorire il riutilizzo delle materie prime che lo costituiscono.
Le azioni elencate costituiscono un graduale cambiamento delle proprie abitudini di consumo che, nel tempo, potrà portare significativi mutamenti all’economia nel suo complesso. Se infatti le aziende percepiranno una crescente attenzione dei propri clienti a tali temi, con maggiore probabilità saranno incentivate all’adozione di modelli di produzione sempre più vicini ai principi dell’economia circolare. Ad ogni modo, chiedersi che cosa possiamo fare come individui e come cittadini per il nostro pianeta è già un ottimo inizio, poiché scatenerà una sana curiosità promotrice di una sempre maggiore coscienza delle conseguenze dei propri comportamenti.

Note

1. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile sono: (1) Sconfiggere la povertà; (2) Sconfiggere la fame; (3) Salute e benessere; (4) Istruzione di qualità; (5) Parità di genere; (6) Acqua pulita e servizi igienico-sanitari; (7) Energia pulita e accessibile; (8) Lavoro dignitoso e crescita economica; (9) Imprese, innovazione e infrastrutture; (10) Ridurre le disuguaglianze; (11) Città e comunità sostenibili; (12) Consumo e produzione responsabili; (13) Lotta contro il cambiamento climatico; (14) La vita sott’acqua; (15) La vita sulla terra; (16) Pace, giustizia e istituzioni solide; (17) Partnership per gli obiettivi.
2. Le iniziative a “impatto climatico zero” sono volte a ridurre il più possibile le emissioni di gas serra e quindi il riscaldamento globale.

 

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Maria Cristina Zaccone è dottoranda di ricerca in Management e innovazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel medesimo ateneo collabora con ALTIS-Alta Scuola Impresa e Società, in qualità di ricercatrice e docente in master e corsi post-laurea. Ha collaborato con il Corporate Governance Institute della San Diego State University, centro di ricerca e formazione dedicato allo studio e all’applicazione dei principi di buon governo aziendale. È coinvolta in progetti di ricerca internazionali e i suoi interessi riguardano la gestione strategica sostenibile, l’etica aziendale e la governance d’impresa.

Matteo Pedrini è professore ordinario di Corporate Strategy presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. È responsabile della ricerca di ALTIS-Alta Scuola Impresa e Società della medesima università. È coinvolto e ha diretto numerosi progetti di ricerca sulla responsabilità sociale d’impresa, la social entrepreneurship, la rendicontazione di sostenibilità e la gestione strategica delle imprese. Insegna economia aziendale, corporate strategy e corporate social responsibility in master e corsi post-laurea. È direttore scientifico del CSR Manager Network, l'associazione italiana dei manager della sostenibilità.

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