Il riassunto e la prima prova scritta dell’esame di Licenza media

Tra continuità e innovazione

APPROFONDIMENTI DISCIPLINARI

Il recente decreto ministeriale che ha riformato l’esame di Licenza media presenta elementi di continuità rispetto alla norma precedente, ma anche sensibili differenze: tra queste l’introduzione del riassunto come prova d’esame. Cerchiamo di capire meglio quali sono state le riflessioni alla base del nuovo decreto.

di Simonetta Fasoli

Per un confronto e un approccio informato alle novità introdotte dal D.M. n. 741 del 3 ottobre 2017 in materia di esame di terza media e in particolare per la prima prova scritta la fonte normativa di riferimento è il D.M. del 26 agosto 1981.
Profondi cambiamenti sociali (come l’ingresso di ragazzi stranieri nelle nostre classi) e istituzionali (il nuovo quadro di riferimento politico-culturale disegnato dal sistema delle autonomie che rimodula il rapporto tra scuola e territorio) hanno investito la scuola in questi anni e hanno determinato l’esigenza di ripensarne i profili istituzionali e pedagogici. Di qui, l’attenzione, nel D.M. del 2017, al suo intero percorso, al suo impianto culturale, prima ancora che alla sua fase conclusiva.
È comunque rilevante che con il nuovo decreto sia stato mantenuto il carattere di Esame di Stato alle prove che concludono il primo ciclo di istruzione. Questa scelta è tuttora materia di discussione, ma resta il fatto che con questo Esame di Stato continuano a misurarsi ogni anno migliaia di alunni e alunne in uscita dalla Scuola secondaria di primo grado: in fondo, è il loro primo contatto con la formalità di un passaggio che vivono anzitutto nella loro personale biografia.
Mantenuto, dunque, l’Esame di Stato, resta la cruciale domanda che investe il suo senso, come a dire la coerenza rispetto al percorso, la congruenza degli strumenti di cui si avvale e delle procedure che adotta, la sua significatività in termini formativi, la capacità di essere ragionevolmente predittivo, ma non meccanicamente predeterminante, rispetto alle scelte successive.

Continuità e differenze tra i due decreti: la novità è il riassunto

Possiamo affermare ragionevolmente che tra il Decreto del 1981 e quello del 2017 si pongono alcuni elementi di continuità, nei criteri ispiratori, ma anche significativi aspetti di discontinuità, che vale la pena individuare: in particolare nelle disposizioni e nei relativi suggerimenti che riguardano la prova scritta d’italiano.

Anche il Decreto 26 agosto 1981 si poneva l’obiettivo di costruire un quadro coerente con le indicazioni programmatiche (in questo caso, i Programmi del ’79) archiviando definitivamente (in linea di principio) il vecchio esercizio retorico del “tema”. In effetti, l’articolato offriva indicazioni di massima per caratterizzare le diverse tipologie di produzione testuale, e dunque le tracce, da proporre ai candidati. Per la precisione, citando testualmente: “esposizione in cui l’alunno possa esprimere esperienze reali o costruzioni di fantasia (sotto forma di cronaca o diario o lettera o racconto ecc.); trattazione di un argomento di interesse culturale o sociale che consenta l’esposizione di riflessioni personali; relazione su un argomento di studio, attinente a qualsiasi disciplina.”
Appare dunque evidente che siamo lontani dal registro linguistico e dal “genere letterario” del tema; siamo, al contrario, dentro l’idea di una produzione linguistica contestualizzata, che permette di verificare la padronanza espressiva rispetto agli scopi, ai soggetti destinatari, alla natura del discorso. Manca, tuttavia, un riferimento esplicito alla tipologia del “riassunto”: carenza che è stata superata nel recente decreto. Si può osservare, al riguardo, che le indicazioni del 1981, pur non citando espressamente il “riassunto”, nelle tipologie suggerite fanno riferimento alla capacità di sintesi come “operazione mentale sottesa” a tutte le tracce esemplificate. Una sostanziale continuità sembra porsi se consideriamo che le indicazioni per la prova scritta relativa alle competenze di italiano (art. 7 D.M. 741/2017) riprendono la tripartizione delle tipologie, distinguendo testo narrativo o descrittivo, testo argomentativo, comprensione o sintesi di un testo letterario, divulgativo o scientifico, con la novità rilevante di una prova di sintesi e comprensione che fa esplicito riferimento alla corrispettiva competenza.
Nelle tipologie testuali indicate e nelle prestazioni linguistiche attese, è ricorrente il richiamo all'impianto pedagogico-didattico delle Indicazioni nazionali per il curricolo (decreto n. 254, 16 novembre 2012): si parla, dunque, di conoscenze, abilità, competenze, secondo una declinazione ormai consolidata. In definitiva, la norma ribadisce il criterio essenziale della coerenza tra il percorso formativo, gli obiettivi istituzionali e le modalità di svolgimento delle prove.

Il Documento di orientamento sottolinea la valenza formativa del riassunto

Se vogliamo analizzare più a fondo gli elementi di discontinuità, nel senso anche dell’innovazione, che caratterizzano il Decreto 2017 rispetto alla precedente analoga normativa, dobbiamo andare a una lettura incrociata del provvedimento e del Documento di orientamento per la redazione della prova di italiano nell'Esame di Stato conclusivo del primo ciclo. Si tratta di un testo piuttosto corposo e articolato, frutto del Gruppo di lavoro nominato con D.M. 10 luglio 2017, n. 499.
La prima novità è senz'altro costituita dal documento stesso, che si pone, di fatto, come misura di accompagnamento della norma, rivolta alle scuole e ai docenti che se ne dovranno fare interpreti e non meri esecutori. Molto significative, al riguardo, le due “premesse” poste nella parte introduttiva:

  1. la Commissione d’esame può “liberamente scegliere” quali tipologie proporre, all'interno di quelle previste, componendo il quadro istituzionale dato (Indicazioni nazionali) con le “situazioni specifiche dei singoli istituti scolastici”; 
  2. il richiamo all'attenzione dei docenti sull'opportunità di “far svolgere in tutti e tre gli anni della secondaria di primo grado l’esercizio del riassunto”, per la valenza formativa che assume e che il documento puntualmente declina in termini di abilità e competenze. 

Vale la pena sottolineare la rilevanza di queste premesse: la prima si pone sul solco di un riconoscimento della piena autonomia didattica delle scuole (salvaguardata dalla norma istitutiva e declinata nel Regolamento, D.P.R. 275/99) e della valorizzazione della professionalità docente. La seconda trova una collocazione pedagogico-didattica all'interno dell’esame conclusivo all'intero triennio, di cui l’esame è momento di sintesi e non solo di verifica in termini di esiti raggiunti. Sottolinea come il “riassunto” assuma una funzione strategica, sottratta a qualsiasi pratica banalizzante o meccanica operazione di riduzione del testo: si dimostra essenziale non solo per lo sviluppo di abilità e competenze di carattere strettamente linguistico (dato di per sé rilevante) ma anche per l’attivazione di capacità logiche (“gerarchizzare i contenuti”, vale a dire impadronirsi dell’organizzazione concettuale sottesa al testo) a conferma del nesso inscindibile che si pone tra pensiero e linguaggio.

Le altre tipologie testuali

Il Documento prosegue ripercorrendo puntualmente le tipologie di tracce indicate in modo sintetico nel Decreto (art. 7, comma 2), di cui evidenzia natura, specificità e punti di intreccio. Troviamo così rimarcata la reciprocità tra “narrazione” e “descrizione” nel corpo vivo del testo letterario, ma anche richiamata la diversità delle competenze attinenti all'una e all'altra, come altrettanti campi di ricerca attiva della progettazione didattica. Si sofferma, infatti, sul testo narrativo, come espressione di un genere caratterizzato dalla “complessità” e dalla “varietà”, con un’osservazione appena accennata e tuttavia carica di implicazioni anche sul piano della costruzione di un “curricolo verticale”, laddove afferma: “è importante che l’azione didattica persegua costantemente l’acquisizione delle competenze di lettura e scrittura, e accompagni con gradualità le alunne e gli alunni, fin dal primo anno del ciclo.” C’è da auspicare che i docenti e le scuole possano cogliere il valore generativo di un’indicazione come questa, esemplare per chiarezza e piena trasferibilità nel variare dei contesti e dei soggetti cui è destinata proprio quella “azione didattica”.

Significativi spunti troviamo anche nella sezione che riguarda il testo descrittivo: in particolare, la fondamentale distinzione tra un punto di osservazione “oggettivo” e un punto di vista “soggettivo” (sia esso dell’autore o del lettore, che a suo modo è un co-autore del testo…) a cui corrispondono scelte di registro, lessicali e stilistiche diverse. Interessante, per i risvolti di natura prettamente didattica, l’ampiezza del campo di pertinenza della “descrizione”, che non si limita al linguaggio verbale, ma “offre la possibilità di coinvolgere più ambiti disciplinari (si può descrivere un quadro, un fenomeno fisico, una pianta)”. Anche in questo caso, siamo di fronte a una prospettiva che non si limita a suggerire orientamenti per la predisposizione delle tracce, ma può improntare di sé l’intera programmazione, con un approccio interdisciplinare non episodico, esteriore e avventato dal punto di vista epistemologico (sul piano degli statuti disciplinari) come non di rado avviene.
Va segnalato comunque il ricco repertorio di esemplificazioni che accompagna ogni riflessione sulle tipologie delle tracce, dunque sulla produzione linguistica, sulla comprensione e sugli aspetti lessicali, grammaticali, semantici che articolano la complessa attività della scrittura. In più passi del repertorio viene rimarcato il carattere puramente indicativo delle tracce presentate a titolo esemplificativo, a conferma dell’intenzionalità che caratterizza tutto il testo e che sembra aver ispirato il Gruppo di lavoro: offrire uno strumento di riflessione sulle pratiche didattiche adottate, sulla congruenza tra queste, le finalità istituzionali e gli obiettivi formativi che la scuola persegue, rispondendo anche a nuovi bisogni. Non siamo, insomma, di fronte a un “prontuario” che voglia surrogare l’insostituibile impegno delle scuole e degli insegnanti, ma a una funzione di stimolo e di sistematizzazione di esperienze.

Il valore della parola scritta

Il “filo rosso” che sembra, in definitiva, attraversare il Documento è il valore della parola, e della parola scritta nella varietà delle forme che assume, come strumento per acquisire competenze di cittadinanza. Non a caso, in una nota a piè’ pagina si richiama alla Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente, e al D.M. 139 del 22 agosto 2007, “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione (nello specifico Allegato 2)”: Narrare, descrivere, argomentare: attività umane per eccellenza, modi di essere e di stare al mondo.

 

Simonetta Fasoli, già dirigente scolastica, è attiva nella formazione su tematiche inerenti il sistema formativo. Attualmente è docente a contratto presso La Sapienza, Scienze dell'educazione e della formazione.