Le origini della linguistica educativa italiana si fondano proprio su un principio inclusivo: si pensi alla celebre dichiarazione contenuta nella Lettera a una professoressa, “È la lingua che ci fa uguali”. Le proposte dell’educazione linguistica per il miglioramento dell’insegnamento della lingua italiana hanno sempre avuto come fine ultimo l’accesso alla lingua (e di conseguenza alla cultura e alla partecipazione sociale e politica) per tutte le persone, contrastando le disparità preesistenti. Non è questo lo stesso obiettivo esplicito dell’inclusione, e della scuola dell’obbligo in senso lato?
Chiariamo il concetto di “inclusione”
Esiste però un pregiudizio diffuso sul concetto di “inclusione”. Il termine “inclusione” fa riferimento all’appartenenza a un gruppo di persone variamente costituito, e al sentirsi accolte e accolti al suo interno. Evidentemente, ciò che si vuole contrastare è la discriminazione degli individui in base a etnia, luogo di provenienza, genere, orientamento sessuale, religione, disabilità, estrazione economica e socioculturale. In ambito scolastico l’obiettivo è esattamente lo stesso: che tutte le persone, soprattutto quelle che si trovano in situazioni di maggiore svantaggio, possano accedere alle informazioni, alla cultura e ai servizi di cui necessitano per partecipare attivamente alla vita della comunità sociale.
Tuttavia, da quando il concetto di inclusione scolastica è entrato nel dibattito pedagogico italiano, sembra essersi diffusa l’idea di dover ricorrere alla didattica inclusiva quando non è possibile ricorrere alla didattica “normale” o “tradizionale”. Questa distinzione, in realtà, non esiste: la didattica inclusiva, infatti, è il ripensamento dell’intera impostazione dell’insegnamento secondo i principi dell’inclusione.
E per quanto riguarda il linguaggio?
Allo stesso modo, non esiste un linguaggio “inclusivo”, con caratteristiche diverse dal linguaggio comunemente inteso: applicare i principi dell’inclusione al linguaggio significa adattarlo alle esigenze di chi ascolta e chi legge, al fine di evitare effetti discriminatori.
Spesso viene sottolineata la necessità di portare il testo al centro dell’insegnamento della lingua italiana, e di dargli un’importanza crescente anche nelle altre discipline; bisogna però che a questa consapevolezza si aggiunga la persuasione che il materiale didattico proposto a tutta la classe debba avere le caratteristiche di accessibilità e rappresentatività definite dal principio dell’inclusione. Naturalmente, come non esiste una “didattica inclusiva” o un “linguaggio inclusivo”, così non esiste neanche un “testo inclusivo” con caratteristiche fisse: si tratta, in tutti e tre i casi, di avere chiaro il proprio destinatario nella progettazione, nella stesura e nella revisione del contenuto prodotto e di adeguarvisi il più possibile.
Toolkit per l’accessibilità dei materiali didattici
Le indicazioni che seguono, pur rivelandosi particolarmente urgenti per alcune categorie di studenti (ad esempio per chi presenta disturbi della letto-scrittura, ma non solo), non sono pensate per un destinatario con caratteristiche fisse e ben delineate. Questo perché naturalmente la difficoltà di un testo è un concetto relativo, che dipende da un grande numero di fattori e si modifica nel tempo anche in riferimento allo stesso destinatario.
L’idea è quella di fornire uno strumento di orientamento per i docenti, perché possano individuare con maggiore immediatezza alcuni ostacoli alla leggibilità e alla comprensibilità dei testi; in questo modo, quando si sottopone del materiale alla classe (che lo si sia scritto personalmente o meno), sarà più semplice rimuovere tali ostacoli. In virtù del loro carattere generale, le indicazioni non contengono distinzioni per tipologie di testo: se ne può prendere spunto per quanto riguarda la scrittura o la riscrittura di verifiche, tracce di prove scritte, testi modello, appunti, riassunti, schemi e qualunque altro tipo di materiale didattico.
Le indicazioni sono divise in tre parti:
1. aspetti materiali, grafici e di impaginazione;
2. aspetti linguistici;
3. aspetti legati alla rappresentatività.
1. Aspetti materiali, grafici e di impaginazione
Il supporto
Se il supporto del testo è cartaceo, occorre fare attenzione alla sua qualità: è sconsigliato distribuire fogli fotocopiati più volte, scoloriti, mal conservati, con impaginazione non allineata. Inoltre, se il foglio è troppo sottile può lasciare intravedere il retro, disturbando la lettura.
Il font
Nella scrittura digitale:
• corsivo, maiuscolo e sottolineato non sono le opzioni più facilmente leggibili per mettere in evidenza una selezione di parole: è preferibile usare il grassetto, che però deve essere ben dosato;
• è consigliabile selezionare, come dimensione del carattere, da 12 in su;
• è preferibile, per il carattere, il colore scuro, in forte contrasto con lo sfondo chiaro.
Le immagini
In un testo didatticamente efficace le immagini (così come i colori) non hanno una funzione decorativa, ma chiarificatrice ed esemplificativa. Esse hanno il ruolo fondamentale di illustrare a mo’ di esempio ciò che, espresso a parole, richiederebbe lunghe porzioni di testo: possono essere particolarmente utili nel sostituire le note a piè di pagina per gli studenti di lingua madre diversa dall’italiano o che per altri motivi hanno un lessico limitato.
La scelta delle immagini deve rispettare i criteri di leggibilità (l’immagine deve essere a fuoco, di qualità adeguata, ben ritagliata), di semplicità (deve presentare solo elementi funzionali allo scopo didattico e non elementi riempitivi che ne rendano più complessa la decodifica) e quelli di rappresentatività (non deve veicolare stereotipi).
L’organizzazione del testo e della pagina
Per quanto riguarda l’impaginazione:
• meglio preferire ampi margini a destra e a sinistra, in modo da avere 60-70 caratteri per riga;
• l’interlinea dovrebbe essere preferibilmente di 1,5 cm;
• l’organizzazione del testo più leggibile è quella con allineamento a sinistra;
• la disposizione su un’unica colonna favorisce la sequenzialità della lettura.
Nell’approccio a un testo, la prima cosa che fa chi legge è cercare dei punti di riferimento. L’attenzione si rivolge agli spazi bianchi, ai neretti, ai punti elenco, ai titoli e ai sottotitoli: tutto ciò che rompe la monotonia della pagina. Per questo motivo il foglio non deve risultare visivamente troppo denso: il lavoro sullo spazio bianco è una delle strategie per rendere i contenuti più gradevoli e fruibili da chi legge. Davanti a un testo, chi legge si crea una rappresentazione mentale in cui trovano spazio i diversi contenuti: in seguito, è questa mappatura spaziale che permette di orientarsi nella memoria. L’istinto di cercare scorciatoie visive che aiutino a contestualizzare, prima di incominciare a leggere, è naturale, e si rende particolarmente necessario in caso di lettori inesperti o di persone con memoria di lavoro ridotta. Per questo è importante:
• riassumere nelle prime righe quanto si dirà nel testo, perché è lì in particolare che si concentra la lettura;
• limitare il più possibile preamboli e divagazioni con scarso contenuto informativo, che affaticano la memoria di lavoro e portano chi legge a distrarsi;
• ripetere i concetti fondamentali;
• organizzare il discorso in paragrafi (il più possibile brevi) che corrispondano a unità informative e che siano ben riconoscibili e omogenei tra loro.
2. Aspetti linguistici
La semplificazione non è un particolare stile di scrittura, ma un processo. L’obiettivo è elaborare un testo che deve essere più semplice e più comprensibile per l’utente: il concetto di comprensibilità naturalmente non è assoluto ma relativo, perché dipende da chi legge o ascolta. Non si tratta di banalizzare la lingua, ma di procedere gradualmente verso l’obiettivo finale: cercare di far sì che chi impara si avvicini col tempo al numero più elevato possibile di testi di varia complessità sia nei temi sia nella struttura.
L’utilizzo di parole comuni e concrete
All'interno del lessico italiano sono state individuate poche migliaia di parole che rappresentano il vocabolario di base: meno parole del vocabolario di base ci sono in un testo, minore è il numero di persone in grado di comprenderlo. Perciò le parole di uso comune sono preferibili a quelle più rare; le parole meno frequenti e quelle straniere, se indispensabili, devono essere spiegate.
In generale, i testi risultano più chiari se si evitano termini stranieri e latini a vantaggio delle parole italiane equivalenti, e se si evitano i tecnicismi non necessari. È preferibile per gli stessi motivi non usare il cosiddetto italiano “scolastico”:
• invece di “effettuare”, “eseguire”, “espletare”, “svolgere” è meglio usare “fare”;
• a “detto”, “predetto”, “suddetto”, “tale” meglio preferire “questo” o “quello”;
• a “replica”, “rimostranza”, “sancito” sono preferibili “risposta”, “protesta”, “deciso” e così via.
Le parole concrete aiutano chi legge a visualizzare nella propria mente il concetto rappresentato: nella consegna di un esercizio, per esempio, invece della formula “Metti in relazione i due contenuti”, è meglio scrivere “Unisci con una freccia le due parole” o “Scrivi che cosa hanno in comune a e b”.
Infine, si può valutare se fornire una traduzione nella madrelingua di chi legge, per esempio nella scrittura delle consegne in una verifica o nell’elencare le parole chiave di un’unità di apprendimento attraverso un glossario bilingue.
La brevità e la linearità sintattica
Una frase facile da leggere si aggira intorno alle 25 parole. Va da sé che non tutte le frasi lunghe sono ugualmente difficili: la lunghezza può affiancarsi alla complessità sintattica. Per rendere più breve e più comprensibile una frase eccessivamente lunga ci sono tre regole da seguire:
• eliminare le parole superflue;
• suddividere in due o più frasi il testo di partenza;
• far corrispondere una frase a una sola informazione.
Gli incisi, per esempio, contribuiscono a limitare la lettura lineare di un testo. In alcuni casi la frase può essere semplificata spostando l'inciso alla fine: una richiesta come “Evidenzia le parti di testo – escluse quelle che si riferiscono al protagonista – in cui si descrive lo stato d’animo dei personaggi” può essere trasformata in “Evidenzia le parti di testo in cui si descrive lo stato d’animo dei personaggi. Escludi le parti che si riferiscono al protagonista”.
La ripetizione come strumento di coesione
Nella frase che chiude il paragrafo precedente, la tentazione potrebbe essere quella di scrivere “Evidenzia le parti di testo in cui si descrive lo stato d’animo dei personaggi, escluse quelle che si riferiscono al protagonista”. Naturalmente anche questa opzione è corretta e può essere usata senza problemi. Si ricordi però che non sono solo i connettivi a tenere unito un testo, ma anche i coesivi, e fra questi, in primo luogo, la ripetizione delle parole che designano i concetti-chiave. L’insegnamento tradizionale ci ha scoraggiato dal ricorrere eccessivamente alla ripetizione, che renderebbe noiosa la lettura e a sua volta la affaticherebbe. Tuttavia, risultano faticose anche le continue ellissi e le non sempre necessarie sostituzioni di nomi con pronomi e soprattutto con fantasiosi sinonimi, magari poco chiari, allo scopo di evitare a tutti i costi la “terribile” ripetizione.
Frasi affermative, attive, con soggetto espresso
Le frasi affermative sono più brevi e più facili da leggere, perché più dirette. La frase “I nuovi provvedimenti non entrarono in vigore prima dell’anno successivo” è inutilmente più complessa rispetto all’equivalente “I nuovi provvedimenti entrarono in vigore l’anno successivo”.
Per lo stesso motivo, a parità di condizioni, è meglio usare una frase di forma attiva piuttosto che una di forma passiva.
Infine, sebbene l'italiano permetta di costruire frasi nelle quali non viene espresso il soggetto, è bene non abusare di questa caratteristica della nostra lingua in testi con finalità didattica. Questo perché si costringe chi legge a prestare attenzione al soggetto della prima frase e a ricordarlo per tutto il testo; inoltre, chi impara non può leggere in maniera autonoma le singole frasi (cosa che può essere molto utile nella fase di memorizzazione). Perciò, anche se a volte l'effetto generale può essere quello di costruire un testo ripetitivo (cfr. paragrafo precedente), è opportuno esplicitare il soggetto di ogni frase.
3. Aspetti legati alla rappresentatività
Chi legge è al centro
L’inclusione è un traguardo complesso, perché presuppone un cambiamento culturale e anche un ripensamento del concetto di “normalità”. Secondo gli studi sull’argomento, la norma di riferimento è rappresentata dalle persone bianche, di sesso maschile, cisgender, eterosessuali, benestanti, con corpi magri e abili, neurotipiche. La conseguenza è che, descrivendo la realtà, si tende a escludere caratteristiche divergenti, rendendo così invisibili grandi fette di popolazione. Proprio tenendo presente la grande varietà e ricchezza del nostro pubblico, sarà più semplice e vantaggioso evitare di ricorrere a testi e immagini stereotipate.
La grande sfaccettatura di caratteristiche del gruppo classe dovrà trovare riscontro sia nel canone proposto sia nei materiali didattici presentati. Se si assume questa prospettiva, si noterà una serie di campanelli d’allarme; oltre alla scarsa rappresentazione femminile, si noterà talvolta nei materiali proposti l’assenza di persone non bianche e di persone con corpi non conformi. La prospettiva da adottare è quella che prevede la messa in discussione di ciò che vediamo e leggiamo: le immagini nel libro di testo che adotto rispecchiano la società in cui vivo? Quelli che ho inserito nell’elenco degli autori da affrontare sono in effetti gli unici adatti al mio scopo didattico? O c’è la possibilità che il mio sia semplicemente un automatismo, e ci sarebbero altri autori e altre autrici di cui potrei approfondire la conoscenza e con cui arricchire il punto di vista?
Per tenere a mente tutti gli aspetti appena descritti potete scaricare il Toolkit riassunto in una comoda tabella.
L’educazione linguistica al servizio dell’inclusività: 3 attività per riflettere con la classe
Alcuni temi relativi al linguaggio inclusivo si stanno ritagliando un ampio spazio nel dibattito corrente, anche e soprattutto in quello praticato nelle reti sociali: per questo motivo è comprensibile e anche auspicabile che studentesse e studenti si interroghino in merito e trovino, all’interno della scuola, risposte scientificamente fondate: altrimenti, la loro consapevolezza rispetto ad argomenti di attualità si limiterà a ciò che leggono in rete, col rischio concreto (che non riguarda certo solo i più giovani) che non siano in grado di discernere le fonti più affidabili.
Quelle che vengono dalla società esterna non sono istanze pretestuose o inutili divagazioni, ma occasioni per riflettere sulla lingua e sui contesti nei quali opera: così, la scuola si configurerebbe non come un ambiente chiuso alla modernità, ma al contrario come uno spazio che accoglie gli stimoli del mondo esterno, e la lezione di italiano potrebbe assumere la forma di un laboratorio linguistico collettivo.
Di seguito trovate tre possibili attività pensate in quest’ottica, da sottoporre a classi della Scuola secondaria di I e II grado per riflettere sugli usi linguistici della comunicazione reale e quotidiana.
Referenze iconografiche: Master1305