Cittadinanza digitale: educare a un uso positivo delle tecnologie
Assieme ad altri due macro-temi – la “Costituzione” e lo “Sviluppo sostenibile” – quello della “Cittadinanza digitale” rappresenta uno dei nuclei concettuali intorno ai quali si articola la disciplina dell'Educazione civica, introdotta nelle scuole di ogni ordine e grado con la Legge 92/2019. Nelle Linee guida per l’insegnamento dell'Educazione civica, valide dallo scorso anno scolastico 2020/2021, si può leggere come per “Cittadinanza digitale” si intenda non tanto l’utilizzo corretto dal punto di vista tecnico-informatico dei dispositivi elettronici, quanto la capacità di avvalersi dei mezzi di comunicazione digitali consapevolmente e responsabilmente. La maggior parte delle ragazze e dei ragazzi, infatti, ha familiarità, indipendentemente dall’uso delle tecnologie a scuola (o in Didattica a distanza), con diversi tipi di strumenti tecnologici (tablet, smartphone, Playsation …) e con i social media, poiché li utilizza quotidianamente – e spesso per molte ore al giorno. La differenza che dovrebbe fare la scuola non è tanto (o soltanto) accrescere le competenze informatiche dei suoi studenti, ma fare sì che dietro l’utilizzo di una app o di un social media vi siano azioni ragionate e consapevoli, e cioè che l’uso della tecnologia digitale sia accompagnato dal senso di responsabilità. È vero, infatti, che i ragazzi conoscono il mondo virtuale talora meglio degli adulti ma a questi ultimi resta il compito di educare a un uso positivo delle tecnologie soprattutto nel campo della comunicazione. La sociolinguista Vera Gheno, in un interessante articolo sui nativi digitali, ci ricorda infatti che:
È indubbio che esistano già alcune generazioni di ragazzi nati e cresciuti con i dispositivi elettronici in mano; da questo punto di vista, il mito del nativo digitale rispecchia una situazione reale. Va invece sfatata l’idea che crescere con la tecnologia a disposizione renda i nativi digitali automaticamente alfabetizzati digitali. In altre parole, al vantaggio strumentale dei più giovani non sempre si associano adeguate competenze comunicative; il dato anagrafico preso come unico fattore differenziante tra esperti e non esperti non è sufficiente (Da nativi a “disagiati digitali”: nuovi analfabetismi crescono online).
Il laboratorio didattico
Ed è proprio a partire dall’idea di “alfabetizzazione digitale” che propongo un laboratorio didattico sul cyberbullismo, un tema da affrontare con una certa urgenza forse già a partire dalle ultime classi della Scuola primaria e sicuramente da trattare nella Scuola secondaria di primo grado, perché, come sottolinea il Report annuale 2021 dell’Osservatorio Indifesa redatto da Terre des Hommes e da ScuolaZoo (Bullismo e Cyberbullismo. Parlano i ragazzi, attraverso i dati dell’Osservatorio Indifesa), la percentuale degli adolescenti che non si sente al sicuro quando usa i social media e naviga su Internet è altissima.
Il laboratorio è rivolto a una classe prima della Scuola secondaria di primo grado e può essere condotto nelle ore di Antologia da parte dell’insegnante di Lettere. Esso prevede la lettura collettiva, e dunque da effettuare in classe (o nelle ore sincrone di DDI), di un breve romanzo per ragazzi, a cui seguono una riflessione sul tema del cyberbullismo, una ricerca di materiali e di articoli di cronaca sull’argomento, la costruzione di un glossario con i termini che riguardano il tema e un questionario conclusivo.
Prima attività: lettura del romanzo Bulli con click
Fra i numerosi titoli che affrontano il tema del cyberbullismo, quello scelto per questo laboratorio, che ho svolto con le mie classi nell’AS 2020-21, è Bulli con un click di Roberto Bratti (Edizioni il Rubino, 2014). La scelta del testo ha motivazioni fondate: il romanzo è breve e ricco di dialoghi, è quindi adatto a una lettura animata ad alta voce in classe, che si possa concludere in poche ore scolastiche (una decina circa). Il racconto inoltre è ambientato in una scuola media e le alunne e gli alunni impegnati nella lettura si possono facilmente identificare con le protagoniste del libro. La trama è efficace perché semplice ma non superficiale: anche se inizialmente i personaggi sembrano avere ruoli stereotipati (la vittima, la bulla, i gregari…), nel corso della narrazione si evince che ciascuno e ciascuna può essere vittima o carnefice. Si tende quindi sì a empatizzare con le vittime ma si è spinti anche a riflettere sul fatto che il bullo e la bulla sono spesso ragazzi e ragazze con un vissuto talora faticoso alle spalle.