Ritratti. Artemisia Gentileschi

Artemisia Gentileschi

LEZIONI DI ARTE

Avviata alla pittura dal padre Orazio e ispirata dal tratto di Caravaggio, Artemisia entrò nel mondo dell’arte nel 1610 con la tela Susanna e i vecchioni. Il successo arrivò a Firenze, e poi riuscì ad affermarsi a Roma, Londra, Napoli. Il suo talento fu tuttavia a lungo ignorato dalla critica e dalla storia dell’arte.

Cecilia Cohen Hemsi Nizza

Un’artista a lungo dimenticata

«Questa femina, come è piaciuto a Dio, avendola drizzata nella professione della pittura in tre anni si è talmente appraticata che posso ardir de dire che hoggi non ci sia pare a lei, havendo per sin adesso fatte opere che forse i prencipali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere.» Così scrive Orazio Gentileschi alla Granduchessa di Toscana, nel 1612, parlando della figlia Artemisia che lui, pittore, ha avviato alla pittura, contribuendo non solo alla sua formazione, ma anche al suo successo.
Successo che però, almeno fino a quando Roberto Longhi non ne parlò nel 1916 in un articolo1, sembrò essere ignorato dalla critica e dai libri di storia dell’arte che non la menzionavano. La scarsa documentazione disponibile permette soltanto di fare delle ipotesi sul suo percorso artistico. Risale al 2011 la pubblicazione della prima raccolta critica della corrispondenza della pittrice, una settantina di lettere, sia di carattere professionale che sentimentale2, che rappresentano un valido contributo alla conoscenza della sua figura.

L’influenza del padre

Artemisia Lomi3  Gentileschi nacque a Roma l’8 luglio 1593. Suo padre, Orazio, nato a Pisa, lavorò per diverse corti, da quelle papali a quella medicea, da quella francese a quella inglese4, con passaggi nelle Marche e a Genova. Ebbe rapporti molto stretti con il Caravaggio, e nella sua pittura seppe fondere la luminosità del manierismo toscano con il realismo del pittore lombardo.
Artemisia viveva all’ombra del padre, occupandosi della casa e dei fratelli, essendo la madre morta prematuramente. Ma sin da piccola dimostrò un vivo interesse per l’arte, seguendo il genitore e ricevendo da lui la formazione.
Poco più che bambina, fu affascinata dal ciclo pittorico di San Matteo, realizzato nel 1600 dal Caravaggio per la Cappella Contarelli in San Luigi Dei Francesi. Dal pittore lombardo trasse l’ispirazione per la rappresentazione realistica dei suoi modelli. Secondo i critici, risale al 1610 la tela Susanna e i vecchioni5, che ne suggellò l’ingresso nel mondo dell’arte e l’affrancamento dal padre. Giovanni Baglione, pittore e biografo del tempo, così ne parla: «Lasciò egli figliuoli, ed una femmina, Artemisia nominata, alla quale egli imparò gli artificj della pintura, e particolarmente di ritrarre dal naturale, sicché buona riuscita ella fece, e molto bene portossi.»6

Le ragioni dell’oblio

All’origine dell’oblio che ha circondato la sua figura, oltre al pregiudizio diffuso che la pittura fosse una pratica esclusivamente maschile, nel caso di Artemisia entra in gioco un altro fattore: lo stupro di cui fu vittima e che macchiò la sua onorabilità, in un mondo in cui una donna violentata “se l’era cercata”.
Lo stupratore era un pittore, Agostino Tassi, amico del padre e frequentatore della casa, da cui Artemisia imparò la prospettiva. Il Tassi cercò una scappatoia offrendole, come era in uso, un matrimonio riparatore7, che lei accettò, ma che non ebbe mai luogo perché l’uomo era già sposato. A questo punto Orazio rivolse al papa Paolo V una richiesta di processo. Artemisia lo affrontò con coraggio, nonostante fosse sottoposta a verifiche intime umilianti e soprattutto si svolgesse in un clima ostile.
La sentenza de jure dava ragione alla ragazza, ma il Tassi non scontò mai la pena che lo obbligava ad abbandonare Roma, in alternativa a una condanna a cinque anni di carcere. Volendo lasciarsi alle spalle quella vicenda dolorosa e recuperare la sua onorabilità, accettò di sposare il pittore Pierantonio Stiattesi e con lui si trasferì a Firenze.

Il successo di Artemisia a Firenze

Da questo momento si parlerà dell’artista. Introdotta alla corte di Cosimo II de Medici da Aurelio Lomi8, fratello del padre, entrò in contatto con le personalità più eminenti del tempo, da Galileo Galilei, con cui ebbe una fitta corrispondenza epistolare, a Michelangelo Buonarroti il giovane, nipote del grande artista, che la introdusse nelle alte sfere del mondo fiorentino, procurandole commissioni e potenziali clienti. A riprova del successo che stava ottenendo, nel 1616 venne ammessa, prima donna a ottenere questo privilegio, alla prestigiosa Accademia del Disegno di Firenze.
A Palazzo Pitti si conserva la Conversione della Maddalena (1620 circa) e la Giuditta con la sua ancella (1618-1619 circa) mentre agli Uffizi una seconda versione (1620) della Giuditta che decapita Oloferne9.

Roma, Venezia, Londra, Napoli

Nel 1620 decise di tornare a Roma. Nonostante la sua affermazione artistica, la sua vita privata lasciava a desiderare. Il suo non era un matrimonio d’amore, nonostante i quattro figli nati tra il 1613 e il 1619. Il marito inoltre accumulò ingenti debiti e Artemisia fu costretta a chiedere l’intervento di Cosimo per ripianarli.
Gli storici non sono concordi su un suo passaggio a Genova, al seguito del padre, dove avrebbe conosciuto Rubens e Van Dyck.
Il ritorno a Roma coincise con un cambiamento dell’atteggiamento generale nei suoi confronti. Apprezzata per il suo talento, fu ammessa nei circoli artistici che contavano. Inoltre, affrancatasi dalla tutela paterna, poté circolare liberamente per la città e conoscerne l’immenso patrimonio artistico, sia quello classico sia quello a lei contemporaneo.
Ma il soggiorno romano non fu proficuo di commesse come si sarebbe aspettata. Perciò decise di trasferirsi a Venezia. Questo suo soggiorno è documentato dall’omaggio degli ambienti letterari e artistici alle sue qualità di pittrice. Nell’estate del 1630, si recò poi a Napoli, capitale del Viceregno spagnolo, città più popolosa d’Europa e piena di fervore artistico, dove si stabilì definitivamente. Qui, per la prima volta, poté finalmente dipingere tre tele per la cattedrale di Pozzuoli.
Nel 1638, su invito di Carlo I, grande collezionista d’arte, incuriosito dalla fama della pittrice, raggiunse a Londra il padre, divenuto pittore di corte. Ma anche in questo caso manca una documentazione del suo soggiorno. Sembra che la spingesse il bisogno di rimpinguare il suo patrimonio per dare alle figlie una dovuta dote.
Tornata a Napoli dopo la morte del padre e le avvisaglie della guerra civile inglese, morì nel 1653 e fu sepolta nella Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini. La sua lapide, che riportava solo “Heic Artemisia” e la sua tomba risultano perdute, dopo che negli anni Cinquanta del XX secolo la chiesa fu spostata dalla sua collocazione originaria al Vomero.


Femminista ante litteram?

La fama di “femminista ante litteram” le viene dall’aver tratto ispirazione dalle vicende delle eroine bibliche, quali Giuditta, Giaele, Ester, che, incuranti del pericolo, affrontano e distruggono con coraggio il nemico crudele.
Il merito però del critico d’arte Roberto Longhi è stato quello di considerare l’opera della Gentileschi fuori da ogni schema, liberandola sia da una lettura in chiave troppo “femminista”, sia dal pregiudizio sessista che l’accompagnò tutta la vita, per esaltarne la reale statura artistica.
Ancora oggi tuttavia è difficile stilare un catalogo definitivo delle opere della pittrice, per i problemi di attribuzione legati al rapporto con il padre.
Un importante contributo in questa direzione è costituito dal catalogo della mostra10, nata dalla collaborazione tra il Metropolitan Museum of Art di New York, la Sovrintendenza di Roma e il Saint Louis Art Museum, dedicata a Orazio e Artemisia Gentileschi, con opere provenienti dai principali musei del mondo e da collezioni private11.

Note

1. Roberto Longhi, Gentileschi. Padre e figlia. Edizione Illustrata, Abscondita, 2019.
2. Francesco Solinas, Lettere di Artemisia, De Luca Editori d’Arte, 2011.
3. Il cognome Gentileschi era della nonna paterna, mentre Lomi era quello del nonno; con esso Artemisia si firmerà per un certo periodo. Orazio lo adottò per distinguersi dal fratello Aurelio, anche lui pittore.
4. Dove morì nel 1639.
5. Nel 1649 realizzò un’altra rappresentazione della scena biblica.
6. Giovanni Baglione, Le Vite De’ Pittori, Scultori Et Architetti: Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 In fino a’ tempi di Papa Urbano Ottauo nel 1642, Roma 1642.
7. In proposito è bene ricordare che il matrimonio riparatore, previsto dal Codice Rocco di epoca fascista, fu abrogato assieme al delitto d’onore soltanto nel 1981. L’articolo 544 così recitava: «Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo, e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali».
8. Durante il soggiorno fiorentino adottò il cognome Lomi anche per emanciparsi dalla figura paterna.
9. Al 1612-1613 risale una prima versione, conservata nel Museo Nazionale di Capodimonte (Napoli).
10. Keith Christiansen, Judith Mann, I Gentileschi. Orazio e Artemisia, ed. Skira, 2005. Vi figurano 50 opere di Orazio e più di 30 di Artemisia.
11. La prima esposizione ha avuto luogo nelle sale di Palazzo Venezia a Roma dall’ottobre 2001 al gennaio 2002, cui sono seguite quelle al Metropolitan Museum e al Saint Louis. In ottobre 2020 è stata inaugurata a Londra un’esposizione alla Sainsbury Wing della National Gallery.

 

Cecilia Cohen Hemsi Nizza, insegnante in pensione a Milano, vive ora in Israele, dove nella Comunità italiana di Gerusalemme è responsabile delle attività culturali. È inoltre membro del COMITES (Comitato degli Italiani Residenti all’Estero). Collabora con Pearson nel settore della letteratura francese e della storia.

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