Ritratti. Irena Sendler

Irena Sendler

CULTURA STORICA

«Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria.» Nella rubrica Ritratti, l’omaggio all’infermiera polacca Irena Sendler che riuscì a salvare 2500 bambini ebrei dal ghetto di Varsavia.

Cecilia Cohen Hemsi Nizza

Una storia dimenticata

La storia di Irena Sendler è rimasta a lungo ignorata, fino al 1999, quando tre studentesse di una scuola del Kansas, su impulso del loro insegnante1, contribuirono a riportarla alla luce, con la messa in scena di un’opera teatrale La vita in un barattolo e la creazione del progetto omonimo volto a diffonderne la conoscenza.
Prima di questa data fanno eccezione solo il riconoscimento di Giusta delle Nazioni conferitole da Yad Vashem2, il 19 ottobre 1965, il primo albero piantato in suo onore, nel 1983, proprio all’entrata del Viale dei Giusti3, e infine, nel 1991, il conferimento della cittadinanza onoraria israeliana.

Chi era Irena Sendler?

Irena Sendler Krzyżanowska, nata a Varsavia nel 1910, allo scoppio della Seconda guerra mondiale era impiegata come infermiera e assistente sociale presso il dipartimento Sanitario del comune di Varsavia.
Educata in un ambiente cattolico ma di tradizione socialista, sin dall’infanzia ebbe con la comunità ebraica un rapporto di profonda empatia, cosa non ovvia in un paese affetto da un antiebraismo secolare.
Il suo modello fu il padre Stanislaw, medico, il quale, dopo aver curato, in occasione di una epidemia di tifo scoppiata nel 1917, malati ebrei respinti dai suoi colleghi, soccombette lui stesso al morbo. Entrata nell’Associazione della Gioventù polacca democratica e nel Partito socialista polacco, all’università si batté contro l’emarginazione degli studenti ebrei, e per questo venne sospesa per tre anni.
Quando nel novembre del 1940 i nazisti rinchiusero gli ebrei nel ghetto4, Irena ottenne dal municipio di Varsavia il permesso di entrarvi per un’indagine sulle malattie infettive che vi si stavano rapidamente diffondendo, a causa del sovraffollamento – più di 400 mila persone in un’area molto ristretta – e delle precarie condizioni igieniche. Anche gli occupanti nazisti diedero il loro consenso nel timore che queste epidemie potessero coinvolgerli. Nel ghetto Irena prese contatto con le organizzazioni sanitarie ebraiche e quelle clandestine ivi operanti, cui diede un importante aiuto grazie alla libertà di movimento di cui godeva.
Nel 1942, con il nome di Jolanta, entrò nella Resistenza polacca, dove però non mancavano contrasti tra le varie componenti, alcune fortemente antiebraiche. Irena entrò nel gruppo Zegota5, la componente cattolica che prese a cuore il destino degli ebrei e incaricò Irena di occuparsi dei bambini del ghetto, da dove già più di 280 mila persone erano state deportate a Treblinka6.

La salvatrice di bambini

In vista della decisione dei nazisti di liquidare il ghetto, Irena si diede da fare per portare fuori quanti più bambini poteva. Lo fece trovando soluzioni ingegnose. Per esempio, si fece passare per un tecnico di condutture idrauliche e fognature, entrando nell’area con un furgone, dove nascose i neonati nelle casse degli attrezzi e quelli più grandi in sacchi di juta. Per evitare che i tedeschi potessero sentire il pianto dei bambini portò con sé un cane che abbaiava all’avvicinarsi di qualche milite.
Una volta usciti dal ghetto, i bambini - le fonti parlano di 2500 - venivano raccolti in centri di assistenza e da qui assegnati a famiglie, orfanatrofi o conventi. Ma la donna ebbe anche l’accortezza di annotare i loro veri nomi accanto a quelli falsi, seppellendo nel suo giardino gli elenchi dentro bottiglie o altri contenitori7, nella speranza di poter un giorno ritrovarne i genitori. Dopo la guerra, l’elenco venne consegnato a Adolf Berman (Varsavia 1906 – Tel Aviv 1978), tesoriere di Zegota e presidente del Comitato ebraico di aiuto sociale8. Vennero rintracciati circa 2000 bambini, i cui genitori purtroppo erano stati in gran parte sterminati nei lager.
Dopo la rivolta del ghetto (aprile 1943) e la sua totale liquidazione da parte nazista, la Sendler divenne direttrice del dipartimento di Zegota per continuare a seguire il destino dei bambini evacuati. Ma nell’ottobre del 1943 fu arrestata dalla Gestapo e sottoposta a brutali torture per farla parlare, torture che le provocheranno danni permanenti alle gambe. Condannata a morte, fu reclusa nel carcere di Pawiak, da dove riuscì a uscire grazie alla grossa somma di denaro con cui Zegota seppe corrompere un ufficiale nazista. Dovette vivere allora in clandestinità, sotto il nome di Klara Dabrowska, ma continuò incessante la sua collaborazione con Zegota.
La fine della guerra non significò il ritorno alla normalità. Pur reintegrata nelle sue mansioni presso i Servizi sociali, viene considerata una sovversiva e tenuta sotto osservazione dai Servizi di sicurezza comunisti con l’accusa di favorire la clandestinità di membri dell’Esercito Partigiano (AK)9. Dal 1948 si iscrisse al Partito operaio unificato polacco, da cui uscì nel 1968, in segno di protesta per la repressione delle manifestazioni studentesche e operaie, ma anche per la violenta campagna antisemita orchestrata dal governo comunista.
Spentasi a 98 anni, il 12 maggio 2008, è sepolta a Varsavia.
Da quando la storia di questa persona eroica è stata diffusa, numerose sono state le pubblicazioni, i documentari, i film che le sono stati dedicati. Nel 2007 il governo polacco, in accordo con lo Stato di Israele, la raccomandò per il Premio Nobel.

Note

1. Il prof.Norman Conard della Uniontown High School, che diede alle tre alunne, cui successivamente si unì una quarta, un articolo del 1994, intitolato The Other Schindler (Gli altri Schindler) per iniziare la ricerca.
2. Sull’argomento cfr. C. Cohen Hamsi Nizza, Zakhòr. L’imperativo del ricordo nella tradizione ebraica, «Per la Storia Mail», n.48/49, gennaio/febbraio 2012.
3. Davanti alla Commissione per la nomina dei Giusti delle Nazioni, testimoniò anche Teresa Tucholska-Körner il cui vero nome era Chaja Estera Stern, la prima bambina di cui si occupò Irena, nascondendola in casa sua dopo la distruzione del ghetto. Nel 1957 Estera emigrò in Israele con il marito. È morta nel 2010.
4. I ghetti furono creati nei distretti di Cracovia, Varsavia, Radom, Lublino e Leopoli, nel Governatorato Generale, sottoposto a Hans Frank. Il Governatorato era la zona della Polonia orientale non direttamente annessa alla Germania, ma sotto diretto controllo tedesco.
5. Consiglio per l’aiuto agli ebrei, fondato nel dicembre 1942 e guidato dal socialista Jan Grobelny. Era l’organizzazione più vicina alle sofferenze degli ebrei. Riceveva fondi dalla Delegatura, rappresentante in Polonia del Governo in esilio a Londra, oltre al sostegno delle organizzazioni ebraiche come il Bund e il Jewish National Fund. Ma dal 1943 al 1944, dopo la distruzione del ghetto, con l’aumento fino a circa 4000 persone del numero di ebrei di cui occuparsi, Zegota incontrò grosse difficoltà nel finanziamento.
6. Treblinka, Belzec e Sobibor, designati come “campi della morte”, erano il centro di sterminio, diretto da Odilo Globocnik, dove finirono i deportati dei grandi ghetti urbani, in un’operazione designata in codice come “Aktion Reinhard”, dal nome di Reinhard Heydrich, ucciso in un attentato il 4 giugno 1942 da partigiani cecoslovacchi. Questi campi erano dotati di camere a gas fisse e i cadaveri venivano sepolti in fosse comuni. L’operazione si concluse il 3 novembre 1943.
7. Alle bottiglie fa appunto riferimento il titolo dell’opera teatrale delle ragazze del Kansas.
8. Anche lui diede la sua testimonianza a Yad Vashem.
9. L'Armia Krajowa o AK (Esercito Nazionale) fu il principale movimento di resistenza nella Polonia occupata dai nazisti, dal settembre 1939 fino al gennaio 1945, in accordo con il Governo polacco in esilio. Nel 1944 diede inizio alla rivolta di Varsavia, con l’obiettivo di liberare la città prima dell’arrivo dell’Armata rossa.

La Polonia e gli ebrei

Il rapporto tra popolazione polacca e quella ebraica è sempre stato complesso. Prima della guerra si contavano circa 3.300.000 ebrei: dai 2.900.000 a 3 milioni furono vittima dello sterminio. Una presenza così consistente si spiega con la tolleranza che gli ebrei vi trovarono dalla fondazione del Regno di Polonia nell’XI secolo fino alla nascita della Confederazione polacco-lituana nel XVI secolo, soprattutto da parte della nobiltà che aveva bisogno di una popolazione più colta e, in particolare, della sua abilità in campo economico e commerciale. In cambio, gli ebrei ricevettero autonomia culturale e religiosa che produsse la fiorente cultura yiddish divenuta il segno distintivo di quell’area. La situazione mutò nel 1795, quando il Regno polacco fu distrutto e spartito tra Impero russo, Impero austro-ungarico e prussiano, confluito poi in quello germanico. Questi mutamenti territoriali ebbero la conseguenza di mettere gli ebrei a contatto con popolazioni tradizionalmente antiebraiche, situazione che fu all’origine di frequenti pogrom, resi possibili anche dalla concentrazione degli ebrei in villaggi isolati (shtetl in yiddish), dove potevano seguire più facilmente le norme della loro tradizione, ma anche sottrarsi all’ostilità circostante.

 

Cecilia Cohen Hemsi Nizza, insegnante in pensione a Milano, vive ora in Israele, dove nella Comunità italiana di Gerusalemme è responsabile delle attività culturali. È inoltre membro del COMITES (Comitato degli Italiani Residenti all’Estero). Collabora con Pearson nel settore della letteratura francese e della storia.