Si può parlare di emancipazione femminile e nello stesso tempo di moda1?
Questi due temi, apparentemente lontani, trovano la loro composizione nella figura di Rosa Genoni (1867-1954), antesignana della moda italiana, il cui merito fu di averle dato per prima risalto, nel quadro del rinnovamento industriale e artistico nazionale.
Ma l’obiettivo andava oltre. Secondo la Genoni, infatti, se le donne avessero potuto tenere saldamente in mano la filiera della moda, composta da ideazione, produzione e commercio, avrebbero potuto svolgere un ruolo molto importante nell’ambito delle rivendicazioni femminili per la conquista dei «campi che le sono ancora contesi».
Nata a Tirano da una famiglia modesta e numerosa, Rosa Genoni a 10 anni viene portata a Milano da una zia che la impiega come piscinina in un laboratorio sartoriale. Milano è nel pieno del suo sviluppo industriale, commerciale, edilizio e anche lavorativo. Il solo settore tessile impiega 85% delle donne. Ma la moda è esclusivamente francese e a questa si ispirano le grandi sartorie italiane nella creazione dei loro modelli.
Spirito indipendente e anticonformista2 Rosa Genoni, a 18 anni, dopo aver conseguito la licenza elementare frequentando corsi serali, si mette a studiare il francese, perché vuole andare a Parigi, studiarne da vicino la moda, cogliere il segreto del suo successo e del suo primato. Giunta a Parigi non ancora diciottenne, capisce che la forza delle sarte francesi sta nella loro cultura, nella conoscenza della storia dell’arte, che le ispira nella creazione dei loro modelli.
Al suo rientro a Milano, dopo due anni, ormai première, cioè creatrice di modelli, lavora presso gli atelier più rinomati, raggiungendo non solo fama ma anche un benessere economico che le permette di aiutare i fratelli.
Nel 1906, presenta, unica fra le sarte italiane, una collezione di otto modelli originali all’Esposizione Internazionale di Milano, convinta della necessità di creare un’organizzazione nazionale della moda italiana, come lei stessa afferma: «Come mai nel nostro paese da più di trent’anni assurto a regime di libertà, in questo rinnovellarsi di vita industriale ed artistica, come mai una moda italiana non esiste ancora?3».
I modelli si ispirano ai grandi della pittura come Raffaello, Tiziano, Veronese, così come sono tutti di fattura italiana i tessuti, i manichini, i gioielli, questi ultimi prodotti dalla scuola orafa dell’Umanitaria4. Spicca però un abito sportivo con gonna pantalone, che dimostra la volontà di unire la tradizione alle esigenze del presente. Riceve molte lodi e il Gran Premio della Giuria.
Nel 1911, nel cinquantenario dell’Unità d’Italia, finalmente e a suggello della sua battaglia, un padiglione della sartoria italiana è presente all’Esposizione Internazionale di Torino.
Ma Rosa è anche una fervente attivista politica. Nel 1908, a Roma, partecipa, in veste di delegata dell’Umanitaria, al I Congresso delle Donne Italiane e successivamente al Congresso socialista di Zurigo; con Anna Kuliscioff, l’amica di una vita, si batte per l’abolizione del lavoro notturno, per il divieto di lavori pericolosi e insalubri, per l’istituzione del congedo di due mesi per maternità.
Convinta del valore dell’istruzione, insegnerà poi Storia del costume alla Scuola professionale femminile della Società Umanitaria. A lei si deve la fondazione e la direzione del settore della sartoria in grado di competere con quella francese. Dalla sua esperienza di insegnante, e allo scopo di dotare le allieve di materiale di studio, tra il 1909 e il 1933, pubblica diversi libri5.
Pacifista convinta si batte contro la guerra di Libia e la Prima guerra mondiale. Durante il conflitto, con l’associazione Pro Umanità da lei creata, si adopera per mandare pane ai prigionieri italiani internati del campo di Mauthausen6.
Nell’aprile 1915, partecipa, unica donna italiana, al I Congresso internazionale femminile dell’Aja, incontrando, con poche altre delegate, i Ministri degli esteri dei vari paesi per perorare la causa della pace.
Antifascista della prima ora, lascia l’Umanitaria nel 1933, ormai sottoposta al controllo fascista e partecipa alla Resistenza. Muore a Varese nel 1954.
Note
1. Sull’argomento mio articolo su StoriaLive, novembre 2017 (Quale posto per le donne nella storia letteraria?).
2. Incurante della morale dominante, inizia una relazione con l’avvocato socialista Alfredo Podreider, che sposerà solo nel 1924. Dalla loro unione nasce Fanny, madre della mia collega Raffaella, alla quale devo questa storia e questa appendice. Fanny, nel 1945 a Milano, conosce e si lega a Mordhai Gotliboim. Nato nel 1910 in un villaggio tra Polonia e Ucraina, dove i pogrom contro la popolazione ebraica locale sono quasi quotidiani, nel 1926 viene spedito dai genitori nella Palestina del mandato britannico. Nel 1942 si arruola volontario nell’VIII Armata Britannica, partecipando alle campagne d’Africa e d’Italia nella guerra di liberazione contro i nazifascisti.
3. Cit. in S. Gnoli, Un secolo di moda italiana 1900-2000, Meltemi Editore, 2005, pag. 17.
4. Fondata nel 1892 per volontà e su progetto di Prospero Mosè Loira, un imprenditore ebreo che devolvette al Comune di Milano il suo ingente patrimonio per la creazione di un’istituzione caritatevole con il fine di aiutare «i diseredati a rilevarsi da sé medesimi».
5. Tra questi, nel 1909 Per una moda italiana, nel 1918 Storia del Costume Femminile, nel 1925 Storia della moda.
6. Prima che i nazisti lo usassero dal 1938 come lager, durante la Prima guerra mondiale gli austriaci vi internarono i prigionieri di guerra. Su circa 40.000 prigionieri, 9.000, di cui 1.759 soldati italiani, morirono di fame e di stenti.