Scrittrici e poetesse in odor di canone

Sibilla Aleramo e il suo ruolo cruciale in letteratura

APPROFONDIMENTI DISCIPLINARI – II GRADO

Con questo numero della newsletter diamo il via a un nuovo spazio in cui il professor Giuseppe Langella racconterà, attraverso un articolo e una videolezione, una scrittrice o una poetessa di grande rilevanza nella letteratura italiana moderna e contemporanea. Cominciamo con Sibilla Aleramo che ha rappresentato un punto di svolta per la nostra letteratura femminile.

di Giuseppe Langella

In questo e nei prossimi numeri di “Folio.net” intendo offrire alcuni spunti di riflessione sullo spazio conquistato da poetesse e scrittrici nella letteratura italiana moderna e contemporanea. E poiché si esita ancora, spesso, a riconoscere loro il posto che dovrebbero occupare nel canone nazionale, in ogni puntata avanzerò anche, per dir così, una “candidatura”, segnalando un’autrice particolarmente rappresentativa, che avrebbe, a mio avviso, tutte le carte in regola per essere annoverata tra i classici del Novecento.
Mi è stato chiesto, inoltre, di accompagnare quel che verrò scrivendo via via con un breve video: è un impegno che assumo volentieri e che cercherò di onorare come meglio mi riuscirà. Caricherò, pertanto, tutte le registrazioni di questo ciclo sul mio canale YouTube: basterà cliccare sul link riportato in fondo a ogni articolo per accedere immediatamente al video relativo, dedicato all’autrice di volta in volta proposta.

Quale letteratura femminile?

Diamo, per cominciare, uno sguardo panoramico all’anagrafe letteraria. Com’è noto, per molti secoli la creazione di opere letterarie, salvo rarissime e circoscritte eccezioni, è stata appannaggio praticamente esclusivo degli uomini. Nella divisione sociale dei ruoli, infatti, quell’attività, come in genere ogni pratica artistica, esulava del tutto dalle competenze femminili; sicché, per lungo tempo le donne sono state soltanto oggetto di rappresentazione letteraria e, nel migliore dei casi, fruitrici passive di quelle opere.
Un primo, ma ancora episodico, mutamento dei connotati genetici delle maestranze letterarie si ebbe «nella letteratura del medio Cinquecento», quando, a detta di Carlo Dionisotti (nel memorabile Geografia e storia della letteratura italiana, Einaudi, Torino 1967, p. 238), «le donne fanno gruppo. Non prima né poi», almeno fino all’età del «Risorgimento». E si trattò, anche allora, di un fuoco di paglia, perché le opere di Veronica Gambara, Gaspara Stampa, Tullia d’Aragona, Laura Terracina e Laura Battiferri furono tutte edite in un pugno d’anni, dal 1547 al 1560.

Largo alle donne: la fine di un’esclusione

Di fatto, per assistere all’ingresso ufficiale delle donne nei ranghi dell’istituzione letteraria, bisognerà aspettare, almeno in Italia, altri tre secoli. In compenso, però, a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento il fenomeno esce dalle contingenze della storia per diventare strutturale e conta una folla crescente di autrici che non ha l’eguale nelle epoche precedenti. Se ne deduce che anche la caduta della millenaria interdizione che ha impedito a tante donne di coltivare la loro vocazione letteraria è un portato della modernità.
Se ne lamentò fuor di ogni ragionevole misura Harold Bloom nel Canone occidentale (trad. it. Bompiani, Milano 1996), in polemica con lo sviluppo rigoglioso, in America, dei women’s studies. Dal suo punto di vista, l’irrompere di poetesse e scrittrici sulla scena letteraria rientrava in quel processo di disfacimento anarchico del canone che contraddistinguerebbe l’«Età caotica», ovvero il Novecento. Bloom avrebbe ragione se davvero il «risentimento» identitario che dilaga o serpeggia nelle loro opere non recasse alcuna impronta originale, perché indubbiamente in mancanza di una cifra riconoscibile non si può sperare di entrare nel canone; ma la sua visione era viziata da un forte pregiudizio di genere, che non aveva già allora, e men che meno ha oggi, motivo di esistere.
Diversamente da Bloom, sono convinto che il moltiplicarsi delle scritture femminili ha introdotto nel sistema letterario, come cercherò di mostrare, una sensibilità e un’intelligenza delle cose tutt’altro che infeconde sotto il profilo dell’affrancamento da modelli codificati su basi maschili. Ma teniamoci, per ora, ai fatti.
La letteratura femminile ha accompagnato il processo storico di emancipazione sociale, relazionale e psicologica della donna, anzi è stata parte essa stessa di questo processo di conquiste legislative e di autocoscienza.

Letteratura femminile ed editoria

L’affermazione, comprensibilmente, è stata graduale: le prime generazioni di scrittrici, per farsi largo, si dovettero dedicare per lo più ai generi minori della letteratura per l’infanzia o di consumo, non di rado, peraltro, con ottime tirature, come nel caso di Neera, di Carolina Invernizio o di Liala; e dovettero venire a patti con un’editoria ancora prevenuta nei loro confronti anche Matilde Serao, la Marchesa Colombi e Grazia Deledda, che pure avevano ben altra attitudine veristica a cogliere i drammi sociali.

Ma con la pubblicazione, nel 1906, dell’autobiografico Una donna di Sibilla Aleramo si entrava già in una fase nuova, quella dell’aperta denuncia delle violenze e delle discriminazioni subìte dalle donne. Attraverso la sua coraggiosa testimonianza, fecero il loro ingresso nella nostra letteratura anche le prime istanze femministe. Dopo di lei parecchie altre scrittrici e altrettante poetesse, impegnate sul fronte della parità di genere o anche lontane da qualsiasi coinvolgimento militante, hanno portato avanti fino a oggi il punto di vista femminile su sé stesse, sul rapporto di coppia e sul mondo: da Alba de Céspedes ad Anna Banti, da Natalia Ginzburg a Elsa Morante, da Dacia Maraini a Elena Ferrante, da Maria Rosa Cutrufelli a Giulia Blasi; e da Amelia Rosselli ad Alda Merini, da Margherita Guidacci a Maria Luisa Spaziani, da Franca Grisoni a Patrizia Valduga, per limitarsi alle voci più accreditate.

Né si possono tacere le difficoltà e le incomprensioni cui esse più di una volta, specialmente all’inizio, andarono incontro: basti rammentare, in proposito, che Treves e Baldini & Castoldi rifiutarono di pubblicare il libro di Sibilla Aleramo perché troppo sconveniente, mentre Mondadori nel 1938 dovette combattere non poco con la censura, per non far sequestrare il romanzo d’esordio di Alba de Céspedes, Nessuno torna indietro, che faceva emergere, in pieno machismo fascista, un’immagine di donna totalmente emancipata e indipendente. Per vincere queste sorde resistenze, le autrici dovettero tirar fuori tutta la loro grinta di outsiders, lavorando in maniera febbrile. Vale anche per le sue colleghe l’emblematica confidenza fatta dalla Serao a un amico napoletano nella lettera del 22 marzo 1878: «scrivo dappertutto e di tutto con una audacia unica, conquisto il mio posto a furia di urti, di gomitate, col fitto ed ardente desiderio di arrivare» (Lettere a Gaetano Bonavenia, in “Nuova Antologia”, fasc. 1594, 16 agosto 1938, p. 405).

Sibilla Aleramo

La prima nomination femminile al canone nazionale del Novecento spetta di diritto a Sibilla Aleramo, per il rilievo assolutamente cruciale che la sua autobiografia travestita ha nella storia della letteratura italiana contemporanea, agendo da pietra d’inciampo e segnale di svolta non solo rispetto alla letteratura femminile di tardo Ottocento e ai temi stessi del movimento emancipazionista, ma perfino in rapporto alle poetiche dominanti agli albori del nuovo secolo.
Sibilla Aleramo è un nom de plume, uno pseudonimo letterario coniato proprio in occasione della stampa di Una donna, per nascondere dietro il velo di un’identità fittizia la materia scabrosa di un libro che metteva in piazza la storia privata della scrittrice, sfociata nell’abbandono, per quei tempi scandaloso, del tetto coniugale e dell’amatissimo figlio.

Una donna: la sua autobiografia

L’autrice, all’anagrafe Rina Faccio, vi raccontava, fra l’altro, la brutale violenza subìta a quindici anni nella fabbrica diretta da suo padre, dove essa lavorava come contabile, a opera di un impiegato deciso a comprometterla più che altro per ambizioni di carriera, e il conseguente matrimonio riparatore, la mentalità gretta e autoritaria del marito, l’insofferenza e il disprezzo crescente per un uomo che pretendeva di segregarla in casa vigilando sospettoso sulle sue relazioni e sopportando di mal animo la sua attività intellettuale, la crisi depressiva che l’aveva spinta a tentare il suicidio, la consolazione di un figlio e lo sfogo nella scrittura, la rivendicazione, infine, di un diritto alla felicità e alla propria piena realizzazione, al di sopra dei vincoli famigliari e degli stessi legami viscerali con la prole.
S’indovina abbastanza agevolmente, credo, quale impatto potessero avere queste vicende biografiche su una donna dal temperamento vivace ed esuberante e di spiriti liberi e volitivi come Rina. Poco più che ventenne, essa era già sulle barricate, impegnata nelle battaglie civili per il voto alle donne, o contro la prostituzione e la tratta delle bianche. La sua firma cominciò a comparire su varie testate vicine al movimento femminista, come “Vita moderna” o “L’Italia femminile”, di cui assunse per qualche mese anche la direzione. Si adoperò per la formazione, nelle Marche, di una Lega delle Donne e la costituzione, a Roma, di una sezione dell’Unione Femminile Nazionale. Prese parte, inoltre, a diverse iniziative umanitarie, promuovendo, fra l’altro, l’apertura di scuole serali e festive per i contadini dell’Agro Romano.

Un nuovo paradigma di donna in letteratura

Una donna s’inserisce a pieno titolo nei fervidi anni della militanza femminista della scrittrice, contestando il modello autoritario, patriarcale, gerarchico e maschilista di famiglia e di società allora in auge, che pretendeva di rinchiudere la donna in casa, come solerte massaia e angelo del focolare domestico, moglie docile e remissiva, pronta a compiacere il marito in ogni sua pretesa e dedita alla crescita dei figli.
Col romanzo autobiografico della Aleramo la parola “femminismo” entra ufficialmente nel lessico della letteratura italiana, allarmante vessillo di una protagonista che rompe con l’iconografia femminile consueta, maturando una sempre più lucida coscienza di sé come fine e non come mezzo, come soggetto portatore di bisogni e di desideri e non come mero oggetto di piacere, nella prospettiva di una radicale riconfigurazione del rapporto uomo-donna su premesse armoniosamente paritarie.
L’immagine di donna che emerge via via e alla fine prorompe dal romanzo-verità della scrittrice produce un effetto shock sulla topica letteraria, infrangendo in un sol colpo tutti i clichés femminili consacrati dalla tradizione. Lontana anni luce dal paradigma stilnovista della donna angelicata, la protagonista dell’opera, proiezione dell’autrice, non ha niente a che spartire nemmeno con l’iconografia melodrammatica della “traviata”, né con quella romantica e sognante alla Bovary; non è remissiva alla maniera di Nedda, di Mena, di Diodata o di Bianca Trao, abituate a obbedire e a piegare la testa, a sacrificarsi e a piangere in silenzio, ma non conosce neanche i capricci e i comandi imperiosi della Pisana; si ritaglia i suoi spazi fino a costruirsi una vita indipendente, emancipandosi intellettualmente, economicamente e psicologicamente dal marito, ma è costitutivamente diversa dalla “Nemica” dannunziana, come d’altronde non è in alcun modo riconducibile allo stereotipo della femme fatale, dal fascino irresistibile e perverso, perché non ha nulla della seduttrice e non sa cosa sia, anche per colpa del marito, l’abbandono al piacere e il delirio dei sensi.

Con la trasposizione narrativa del primo tratto della sua vita, un quarto di secolo dalla più tenera età alla separazione dal marito, Sibilla Aleramo introduce nella letteratura moderna una nuova tipologia di personaggio femminile e un nuovo modello di romanzo di formazione. Non si era mai sentito, infatti, neppure negli ambienti femministi, che una madre non fosse più disposta a «sopprimere in sé la donna» per il bene dei figli; e non si era mai visto che il fallimento di un matrimonio schiudesse le porte, a una donna sola e senza tutele giuridiche e assistenziali, di un’esistenza più difficile, magari, ma anche finalmente libera, intensa e appagante.

Il canale YouTube per la didattica della modernità letteraria

Una videoteca a servizio di docenti e studenti, comprensiva anche di un’ulteriore sezione dedicata a commenti e analisi testuali, che costituiscano una sorta di ideale antologia scolastica.

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Giuseppe Langella è professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove dirige anche il Centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’Italia unita”. È inoltre presidente della “Società italiana per lo studio della modernità letteraria” (Mod) e promuove iniziative nell'ambito della "Mod per la Scuola". È coautore, insieme a Pierantonio Frare, Paolo Gresti e Uberto Motta, della Letteratura italiana Amor mi mosse (Pearson 2019).

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