Le pietre raccontano. Spettacolo per le scuole in occasione della Giornata della Memoria

Pietre d'inciampo

EDUCAZIONE CIVICA E TEMI DI ATTUALITÀ

Uno spettacolo di teatro musicale, scritto e diretto da Monica Luccisano, ispirato all’arte di Gunter Demnig, creatore delle “Pietre d’inciampo”, un monumento diffuso di piastre d’ottone poste su cubetti di pietra e incastonate nel selciato distribuite in molte città italiane ed europee a ricordo delle vittime delle deportazioni nei campi di sterminio.

Intervista all’autrice e regista Monica Luccisano a cura di Anna Parvopassu, Pearson Italia 

Le “Pietre d’inciampo” dell’artista berlinese Gunter Demnig (classe 1947) sono un monumento diffuso in molte città dell’Europa da più di vent’anni, il cui scopo è lasciare una traccia nel tessuto urbanistico di quelle città che hanno vissuto il dramma delle deportazioni nei campi nazisti.
Si tratta di cubi di pietra di 10 cm3 ricoperti da una piastra d’ottone su cui sono scolpiti il nome del deportato, la data di nascita, di deportazione e di morte, incastonati nel selciato davanti all’ultima abitazione della vittima. Lo scopo è quello di far “inciampare visivamente” i passanti, inducendoli alla riflessione, al raccoglimento e soprattutto alla memoria. È un monito a cielo aperto per il presente e il futuro.
L’artista tedesco ha dato vita a questa iniziativa la prima volta a Colonia, nel 1995, ponendo una pietra in ricordo di mille tra Sinti e Rom deportati nel maggio del 1940. E da allora non ha mai smesso di farlo, spostandosi in vari paesi: Paesi Bassi, Germania, Ungheria, Repubblica Ceca, Romania, Svizzera, Spagna, Lussemburgo, Austria, Belgio, Bielorussia, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Lituania, Norvegia e Polonia.

Presentiamo uno spettacolo di teatro musicale ispirato all’arte e al gesto di Demnnig, Le pietre raccontano, coprodotto da Unione Musicale e Pearson Italia, in collaborazione con il Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà, rivolto in particolare agli studenti delle Scuole secondarie di primo e secondo grado. Andrà in scena con due matinée il 25 gennaio al Teatro Vittoria di Torino; la replica pomeridiana per il pubblico adulto di domenica 27 vedrà il sostegno anche della Comunità ebraica e del Goethe-Institut di Torino, oltre che il patrocinio della Città di Torino (per info: biglietteria.pietre@gmail.com).

Ne parliamo con l’autrice, regista e musicologa Monica Luccisano, che ha al suo attivo numerose pièce per le scuole. I docenti che volessero raccogliere informazioni per progettare repliche in teatri in altre zone d’Italia o interessati a incontri con l’autrice possono trovare il suo contatto al sito.
Per ulteriori informazioni sullo spettacolo visitare il sito Unione Musicale.


Perché ancora una volta uno spettacolo sulla memoria?

Oggi credo ci sia una tensione molto potente verso il futuro, che è sicuramente un dato positivo, uno sguardo lungo che proietta i nostri studenti, i giovani, i nostri figli, in avanti, un movimento sociale e culturale che tende a ridurre la distanza con il futuro, in un certo senso a “bruciare” quella distanza. Ma di contro, a mio avviso, lo sguardo verso il passato è sempre più nebuloso, spento, relegato. Pensare al passato senza legami con il presente, come una serie di eventi che non ci appartengono più, è molto rischioso, ci mette nelle condizioni di poter “ripetere” gli errori senza averne la consapevolezza – e dal mio particolare punto di vista, di chi tenta una via diversa, quella del teatro, per raccontare il passato ai giovani, occorre un recupero della tensione emotiva al pari di quella verso il futuro.

Qual è quindi per gli studenti il valore civile di una pièce come questa?

Mettere la storia, e dunque la memoria, sul palcoscenico significa metterne a nudo gli elementi chiave che rappresentano l’umanità in tutte le sue sfaccettature, quella repressa e quella che reprime, quella colpita e quella che colpisce, in una “esibizione” delle emozioni, che attraversa le singole identità e diventa uno specchio in cui ciascuno, nel buio della sala, può riconoscersi. Una riflessione sulla storia è di fatto una riflessione sull’esistenza. Insomma, permette agli studenti di riconoscere qualcosa di sé in quegli elementi del passato, e dunque di riappropriarsi di ciò che è dietro le loro spalle, ma può e potrà sempre avere a che fare con il loro presente.

Sul palcoscenico vedremo due attori che daranno vita a personaggi e a storie anche molto diversi tra loro, ci faresti qualche anticipazione?

Intanto occorre dire che il protagonista è Gunter Demning, l’ideatore e realizzatore delle “Pietre d’inciampo”. E prima ancora che i due attori in scena, sono le pietre a parlare, come dice il titolo stesso che ho dato allo spettacolo: Le pietre raccontano. Gunter c’è e dà il via a ciò che si vedrà e sentirà in scena, con i suoi colpi di martello e scalpello sulle pietre e con la sua personale riflessione su ciò che significa memoria. Poi saranno loro, le pietre, a prendere vita, e diventare voci che raccontano. Ogni pietra corrisponde a un deportato realmente esistito. Nello spettacolo ho scelto di raccontare vicende ambientate in tre città emblematiche, Torino, Roma e Venezia: si tratta delle vite di uomini e donne, di varia età, estrazione sociale, professione, interrotte nella loro quotidianità e trasformate nell’incubo di Auschwitz, Dachau, Mauthausen. Raccontano le leggi razziali in Italia, le espulsioni dalle scuole e dalle attività professionali, raccontano dell’evacuazione del ghetto di Roma, dell’eccidio nelle Fosse Ardeatine, dei viaggi nei carri bestiame verso i campi di sterminio, di lavori forzati, torture, privazioni, della paura costante e delle sofferenze fisiche e morali, delle camere a gas e dei forni crematori...

Nonostante questo abisso, che cos’altro riesce a emergere?

Sicuramente un irriducibile attaccamento alla vita, ai valori, alla dignità, e la stretta degli affetti e delle amicizie. La finzione teatrale consente proprio di far “sentire la voce” di chi invece non è tornato e non ha potuto raccontare la propria storia, e di dare sfogo a quel dolore così inconcepibile, ma anche di far risuonare alto il senso della memoria. Le pietre travalicano la loro staticità per diventare voce vibrante e densa di emozione, attraverso gli attori e anche attraverso gli strumenti musicali coinvolti sulla scena. In particolare, le pietre sonore, uno strumento inedito e affascinante. Pietre di diversa grandezza e di maggiore o minore porosità che, mediante un controllo digitale e conduttori, risuonano, toccandole, percuotendole, sfregandole, emanando un proprio sound caratteristico o riproducendo il timbro di altre materie (vetro, metallo, legno) o di altri strumenti, o addirittura della voce umana.

A oggi sono più di 56.000 le pietre incastonate nelle strade di diverse città d’Europa e d’Italia, e quasi 100 sono state scolpite a Torino. Il legame con la città ha avuto un ruolo importante nell’ideare questo progetto?

Ho visto queste pietre per la prima volta nella mia città, Torino, e poi ho seguito alcuni itinerari realizzati del Museo Diffuso della Resistenza, che organizza visite guidate per gli studenti e per gli adulti e che è referente a Torino del progetto di Gunter Demning, organizzandone le pose e la “cura” delle pietre. Ho visto la partecipazione commossa di molti studenti, mi è parso che abbiano sentito la forza di quel gesto e la capacità comunicativa che può avere una pietra d’inciampo.
In questo progetto sono coinvolti diversi soggetti, quelli che ne sostengono la produzione, Pearson Italia e Unione Musicale, e quelli che ne hanno favorito il lavoro di studio e preparazione, ovvero il Museo Diffuso della Resistenza che mi ha aperto gli archivi, dato in visione materiale, e fornito la possibilità di conoscere meglio il lavoro di Gunter, da un lato, e delle famiglie dei deportati, dall’altro. Ma soprattutto l’approccio dei ragazzi durante le visite mi ha convinto una volta di più che la sostanza della storia può passare attraverso un gesto artistico ed essere particolarmente efficace per le giovani generazioni.

Nel tuo lavoro hai sperimentato in varie occasioni il teatro per la scuola, in particolare con lo spettacolo sulla Prima guerra mondiale, Valzer a tempo di guerra, che è stato replicato per parecchi anni: come si pongono i ragazzi verso questo linguaggio, qual è la loro reazione in sala?

Valzer a tempo di guerra è uno degli spettacoli realizzati per le scuole, aperto anche al pubblico adulto, che più mi sta a cuore. Tutto parte da un Valzer composto da Ravel proprio negli anni della Prima guerra mondiale. Ravel fu assoldato come autista di camionetta, e i suoi tragitti erano dal fronte alla trincea per portare viveri, medicine, per trasportare feriti, soldati... e a un certo punto tutti quelli che salgono sulla sua camionetta raccontano che cos’è per ciascuno di loro la guerra. Ognuno in modo diverso. Una carrellata di personaggi con sensibilità e sguardi individuali propri su un’immane tragedia collettiva. Un po’ come succederà per Le pietre raccontano: tante piccole storie per raccontare la grande Storia. Questo avvicina di colpo un evento molto lontano al nostro vivere quotidiano, perché racconta di sensazioni e impressioni insite nell’essere umano. La reazione immediata dei ragazzi mi ha sempre colpito molto. Questo progetto è in vita da cinque anni (dall’inizio delle ricorrenze per il centenario), e lo hanno visto migliaia di studenti, e sempre con nostra grande emozione, la loro reazione è intensissima, perché sono catturati da ogni storia, incuriositi, appassionati, molte volte commossi (lo si vede nei loro occhi dopo gli applausi), e poi pieni di entusiasmo e desiderosi di interrogarci in occasione degli incontri che organizziamo nelle scuole.
Mi auguro che questa stessa intensità i ragazzi la vivranno con Le pietre.

Facendo un discorso più generale, in che modo secondo te la scuola di oggi potrebbe valorizzare il teatro e la musica come elementi educativi di una certa portata? C’è bisogno di arte tra le aule?

Un estremo bisogno direi... Credo sia necessario rivalutare l’arte come strumento formativo, facendo leva su una sua specificità: a differenza delle altre discipline che sono la sostanza e l’oggetto dello studio, l’arte ha una duplice valenza, sia come oggetto dello studio in sé, sia come veicolo per le altre discipline. La capacità del’arte di “raccontare” altro da sé è unica, e può essere preziosa nell’ambito educativo. Diventa complementare, interpreta, rilegger la realtà e persino può far rivivere mondi, fatti, storie lontane nel tempo e nello spazio. Certamente il teatro, tra le varie forme d’arte più o meno performative, ha un impatto forte, diretto, e può mutare ogni volta. Nella sua essenza è fatto di corpi, relazioni e sentimenti, e ha un grande potenziale sui giovani. Soprattutto, il teatro entra spesso in relazione con la storia e con il senso civico del vivere, mettendo passato e presente sulla stessa linea rappresentativa. Ma una tale visione la si potrebbe estendere a qualsiasi linguaggio artistico. L’arte smuove e libera le emozioni, talvolta superando gli ostacoli del puro acquisire. E la formazione, a mio avviso, può passare anche attraverso l’emozione di uno spettacolo o di un’opera d’arte.

Foto di Karin Richert gentilmente concessa dal Museo Diffuso della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà.

 

Monica Luccisano, drammaturga, regista, musicologa e consulente editoriale, vive e lavora a Torino. Nella sua attività drammaturgica e registica mette in stretta relazione diversi linguaggi, creando commistioni fra teatro e musica, teatro e cinema, teatro e arti visive.
Particolare attenzione nei suoi lavori è dedicata ai temi sociali, storici e civili, e tra i suoi titoli compaiono: J’accuse! Da Bernstein alle Pussy Riot (sulla censura musicale); Valzer a tempo di guerra (sulla prima guerra mondiale); La zona bianca (sull’Alzheimer); Vertigine (sulla violenza sulle donne); Calvario anarchico (su Sacco e Vanzetti); Madres (sui desaparecidos in Argentina), oltre a diversi studi e rivisitazioni di temi shakespeariani e vari radiodrammi su artisti quali Glenn Gould e Benjamin Britten.
Ha scritto e diretto per il Teatro Juvarra di Torino, il Festival di Stresa, il Piccolo Regio di Torino, l’Accademia Ghislieri di Pavia, il Teatro Baretti di Torino, l’Associazione Concertante, il festival RivoliMusica, l’Aion Project di Milano e l’Unione Musicale di Torino.
Tra i musicisti, ha collaborato con: Orchestra Sinfonica di Stresa, Gianandrea Noseda, Daniele Rustioni, Architanghi del Teatro Regio, Architorti, Xenia Ensemble, Accademia Strumentale Italiana, Riccardo Balbinutti, Manuela Custer, Gianluca Cascioli, Diego Mingolla, Stefano Somalvico e Aion Project.