Verso il referendum confermativo
Si è concluso l’iter parlamentare del disegno di legge di riforma costituzionale presentato dal Governo nel 2014: il 12 aprile 2016 la Camera dei deputati lo ha approvato in seconda lettura, a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Per le leggi di revisione costituzionale la Costituzione richiede infatti una doppia approvazione su un identico testo da parte di ciascuna delle due Camere e, nella seconda approvazione, almeno la maggioranza assoluta. Decorsi tre mesi dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, il testo approvato dal Parlamento viene promulgato dal Presidente della repubblica e diviene legge dello stato se nel frattempo non viene richiesto un referendum confermativo.
Come ha annunciato più volte il Governo, in questo caso il referendum verrà chiesto dai parlamentari della maggioranza (sono necessarie le firme di almeno 1/5 dei membri di una Camera) e sarà un decreto del Presidente della repubblica a indirlo e a fissarne la data, presumibilmente nel mese di ottobre.
Su che cosa e con quali modalità verranno chiamati ad esprimersi gli elettori?
Secondo alcuni costituzionalisti (Michele Ainis sul “Corriere della sera” dell’8 febbraio 2016), la risposta a questa domanda non è una questione puramente tecnica, ma riguarda la natura stessa del referendum come strumento di democrazia diretta. La riforma costituzionale è molto complessa e riguarda numerosi articoli disseminati tra diversi “Titoli” della Parte seconda della Costituzione (ogni titolo riguarda un unico argomento: il Parlamento, il Presidente della repubblica ecc.). Da alcuni sondaggi effettuati, risulta che gli elettori sono scarsamente informati sui contenuti della riforma e che molti la identificano con la modifica del Senato, il punto più controverso e dibattuto, e di conseguenza più noto all’opinione pubblica. Scarsa informazione risulta invece sui cambiamenti relativi ad altri organi costituzionali o temi importanti quali per esempio la nuova distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni.
Come è accaduto per i precedenti referendum confermativi, il quesito referendario sarà unico: di fronte ad esso, gli elettori poco informati voteranno sulla base della propria opinione a proposito del Senato e quelli più informati, favorevoli ad alcune parti della riforma e contrari ad altre, non potranno esprimere in modo pieno la propria volontà. Inoltre, sulle decisioni di voto potrebbero pesare le annunciate conseguenze politiche dell’esito referendario. Con il rischio che il referendum si trasformi, da consultazione di merito sul nuovo testo costituzionale, in un plebiscito a favore o contro il Governo.
La fine del bicameralismo perfetto
La riforma riguarda in primo luogo il Titolo I (il Parlamento) e segna la fine del bicameralismo perfetto, introducendo sostanziali modifiche 1) nella composizione, 2) nell’elezione e 3) nelle funzioni del Senato:
1) sarà composto da 95 senatori rappresentativi degli enti territoriali (dei quali 74 consiglieri regionali e 21 sindaci), da 5 senatori che potranno essere nominati dal Presidente della repubblica (per la durata di 7 anni) e dagli ex Presidenti della repubblica (senatori a vita e di diritto). I senatori avranno le stesse prerogative dei deputati, ma non riceveranno un’indennità;
2) i senatori rappresentativi degli enti territoriali saranno eletti dai Consigli regionali e dai Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano. Ciascuno di essi eleggerà alla carica di senatori un sindaco (tra quelli del proprio territorio) e un numero di consiglieri regionali proporzionale alla popolazione. Saranno i cittadini in sede di elezione dei Consigli a indicare i consiglieri che ritengono eleggibili a tale carica. Poiché la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi territoriali che li hanno eletti, il Senato diventa un organo a rinnovo parziale e non è sottoposto a scioglimento da parte del Presidente della repubblica;
3) il Senato «rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica». Perde la funzione di controllo politico sul Governo perché la fiducia sarà votata soltanto dalla Camera dei deputati. Anche la sua funzione legislativa viene notevolmente ridotta: voterà infatti le leggi costituzionali, ma alla approvazione delle leggi ordinarie parteciperà, in posizione di parità con la Camera, soltanto in un numero limitato di casi.
Nuovi procedimenti di formazione delle leggi
Le modifiche al Titolo I non riguardano soltanto le norme relative al Senato e a quelle strettamente connesse. Importanti novità riguardano il procedimento di formazione delle leggi. Ai disegni di legge del Governo, essenziali per l’attuazione del suo programma, viene assegnata una corsia preferenziale con sottoposizione al voto entro 70 giorni (c.d. “voto a data certa”). Viene modificato il procedimento di conversione in legge dei decreti-legge, per i quali, con lo scopo di impedirne l’uso eccessivo, vengono anche stabiliti limiti di materia e divieti di contenuto. È prevista infine la possibilità di sottoporre al giudizio della Corte costituzionale le leggi elettorali prima che vengano promulgate. La norma vuole evidentemente ovviare al ripetersi di casi analoghi al cosiddetto “Porcellum”, la legge elettorale dichiarata in gran parte incostituzionale soltanto nel 2014 (a quasi 10 anni dalla sua entrata in vigore).
Leggi di iniziativa popolare e referendum
Quanto agli istituti di democrazia diretta, il numero delle firme necessarie per la presentazione di progetti di legge di iniziativa popolare viene elevato da 50.000 a 150.000, ma i regolamenti parlamentari devono dare garanzie per il loro esame da parte delle Camere.
Per i referendum abrogativi restano necessari sia 500.000 firme per la richiesta, sia il quorum di partecipazione del 50% uno degli aventi diritto per la loro validità, ma, se la richiesta proviene da almeno 800.000 elettori, il quorum si abbassa alla maggioranza dei votanti dell’ultima tornata elettorale. Vengono inoltre previsti, per la prima volta a livello nazionale, referendum propositivi e di indirizzo, la cui disciplina è rinviata ad una futura legge costituzionale.
L’elezione del Presidente della repubblica
La modifica più significativa al Titolo II, relativo al Presidente della repubblica, riguarda le modalità con cui questo viene eletto. L’elezione spetta alla Camera dei deputati e al Senato in seduta comune, senza l’integrazione dei delegati regionali e con un innalzamento dei quorum: 2/3 dei componenti l’assemblea per le prime tre votazioni (inalterato), dalla quarta 3/5 dei componenti, dalla settima 3/5 dei votanti.
La riforma del Titolo III
Nel Titolo III (Il Governo), risultano modificate le norme che riguardano il rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento e viene abolito il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL), organo consultivo che non ha mai avuto un ruolo significativo.
La riforma del Titolo V
Molto importanti per l’assetto costituzionale, le modifiche al Titolo V (Le Regioni, le Città metropolitane e i Comuni), anche se il dibattito politico, non così acceso come sul Senato, ha avuto scarsa eco nell’opinione pubblica. Vengono soppresse le Province che, contrariamente ad una diffusa convinzione, esistono tuttora. Una legge ordinaria del 2014, proprio in attesa della riforma costituzionale, ne ha soltanto limitato le funzioni e ha sostituito l’elezione diretta dei loro organi (Presidente e Consiglio provinciale) da parte dei cittadini, con l’elezione da parte dei consiglieri comunali e dei sindaci dei Comuni del territorio provinciale.
Viene ridefinita la ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, già modificata con la riforma costituzionale del 2001, che in questi anni ha dato luogo ad una conflittualità permanente sfociata in numerosissimi ricorsi alla Corte costituzionale.
È abolita la cosiddetta “competenza concorrente” che, per numerose materie, prevedeva leggi dello Stato contenenti i principi generali e leggi regionali per la disciplina di dettaglio. Si allarga la competenza esclusiva dello Stato alla quale si aggiungono materie strategiche, quali il coordinamento della finanza pubblica, le politiche attive del lavoro, le infrastrutture, le politiche energetiche, l’ambiente. Inoltre, anche nelle materie non riservate alla sua competenza esclusiva (e quindi di competenza regionale), lo Stato può intervenire con leggi proprie per tutelare l’unità giuridica ed economica del paese o l’interesse nazionale (clausola di salvaguardia).
La nuova legge elettorale
La legge elettorale n.52 del 2015 (cosiddetto “Italicum”) rappresenta un aspetto importante della riforma istituzionale voluta dal Governo Renzi ed è dunque complementare alla riforma costituzionale. Non casualmente essa riguarda soltanto la Camera dei deputati ed entrerà in vigore soltanto nel luglio del 2016, quando, secondo le previsioni del Governo, l’iter di approvazione della riforma costituzionale sarà prossimo alla conclusione.
I punti essenziali della nuova legge elettorale sono i seguenti:
- il territorio italiano è diviso, all’interno di venti circoscrizioni regionali, in cento collegi di dimensioni variabili (con un numero di candidati da eleggere che vanno da tre a nove);
- a conclusione di un lungo dibattito sulle cosiddette “quote rosa”, nelle liste dei candidati nessuno dei due generi può essere presente in misura superiore al 50% e nell’ambito di ogni circoscrizione i capilista di un genere non devono superare il 60% del totale;
- in ogni collegio il capolista è “bloccato” nel senso che è il primo ad essere eletto, mentre dal secondo in poi intervengono le preferenze;
- viene infatti reintrodotta la possibilità di esprimere una preferenza, o due se si indicano candidati di genere diverso;
- ogni capolista può presentarsi in dieci collegi e, in caso di elezione plurima, può scegliere dopo il voto dove farsi eleggere;
- la ripartizione dei seggi viene fatta in proporzione al numero dei voti ricevuti su scala nazionale, ma al riparto possono accedere solo le liste che superano la soglia del 3%;
se una lista ottiene almeno il 40% dei voti, scatta il premio di maggioranza (340 seggi su 630);
- se nessuna lista raggiunge la soglia del 40% è previsto un secondo turno elettorale con ballottaggio tra le due liste più votate, ma fra il primo e il secondo turno non sono possibili apparentamenti con altre liste;
- la lista vincente riceve comunque il premio di maggioranza per arrivare a 340 seggi.
Governabilità, rafforzamento dell’esecutivo e del ruolo dello Stato
L’obiettivo primario delle riforme costituzionale ed elettorale è stato più volte dichiarato dal Governo che ha presentato i relativi disegni di legge: migliorare la governabilità del paese, rendendo più rapidi ed efficienti i processi decisionali. I giudizi sul raggiungimento o meno di questo obiettivo sono ovviamente molto diversificati e appartengono alla sfera del dibattito politico. È comunque certo che l’equilibrio complessivo del sistema istituzionale è stato modificato e su questo aspetto si sono appuntati i rilievi critici di alcuni noti costituzionalisti.
Secondo alcune analisi, il baricentro si è spostato radicalmente a favore del potere esecutivo, con un indebolimento del Parlamento e quindi della rappresentanza politica: non soltanto per l’azzeramento della rappresentatività del Senato (non più eletto direttamente dai cittadini), ma anche per l’indebolimento della rappresentatività della Camera dei deputati, dovuto ai meccanismi della nuova legge elettorale. Premio di maggioranza alla singola lista, voto bloccato sui capilista (selezionati dai partiti), ballottaggio, consegnerebbero la Camera al partito vincente e al suo leader, con ripercussioni inevitabili anche sulle elezioni degli organi di garanzia, come il Presidente della repubblica e i giudici della Corte costituzionale.
La riforma del Titolo V modifica, inoltre, nuovamente gli equilibri tra Stato e Regioni: insieme agli obiettivi di semplificazione e di razionalizzazione, potrebbe aprirsi il rischio di un nuovo centralismo statale.