Le opportunità per l’Italia
Anche se con meno celerità rispetto ad altri Stati, l’Italia si sta ritagliando un ruolo in questo contesto. A margine del Forum delle nuove vie della seta svoltosi a Pechino nel maggio 2017, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha incontrato il suo omologo cinese Li Keqiang e Xi Jinping. Cina e Italia hanno firmato un memorandum d’intesa per creare un fondo di co-investimento sino-italiano dedicato al sostegno delle piccole e medie e imprese e dotato di un fondo da 100 milioni di euro. Soprattutto, Gentiloni ha affermato che il governo cinese vuole investire nei porti di Genova e Trieste, il quale è l’unico in Europa a godere di extraterritorialità doganale.
Nonostante, l’alto valore simbolico e culturale, Venezia invece al momento non è tra le mete preferite di Pechino per lo sviluppo di progetti infrastrutturali. In previsione di questo, tuttavia, un consorzio italo-cinese, chiamato 4C3, sta sviluppando una piattaforma multimodale (con infrastrutture in mare aperto e sulla terraferma) per superare il problema dei fondali troppo bassi e ampliare la capacità di ricezione delle merci.
Lungo la rotta terrestre, va segnalato il ruolo del polo logistico integrato di Mortara (che integra la logistica con servizi per il trasporto, lo stoccaggio e la movimentazione delle merci), vicino Pavia, che ha concordato con il Changjiu Group il lancio del primo treno merci diretto Cina- Italia-Cina con destinazione Chengdu. L’inizio del progetto era previsto per settembre 2017, ma ad oggi non si hanno informazioni sull’effettiva partenza. I treni merci dovrebbero impiegare circa 18 giorni per arrivare nello Stivale e poi tornare indietro con a bordo prodotti made in Italy. Per il 2018 erano previsti fino a tre viaggi a settimana e il collegamento con Shanghai e Pechino. Mortara è all’incrocio tra il Corridoio mediterraneo e il Corridoio Reno-Alpi della Trans European Network-Transport (Ten-t), la ferrovia europea che dovrebbe entrare in funzione nel 2030 per interconnettere le reti infrastrutturali nazionali, collegare tra loro le regioni europee e queste al resto del mondo.
Sul piano economico, Cina e Italia cooperano in diversi settori: tecnologie verdi e sviluppo sostenibile, agricoltura e sicurezza alimentare, urbanizzazione sostenibile, sanità e servizi sanitari, aviazione e aerospazio. Il nostro paese è, infatti, la terza meta degli investimenti del Dragone nell’Ue dopo Regno Unito e Germania. Alcuni di questi riguardano anche settori di interesse nazionale come l’energia e le telecomunicazioni. Si pensi al fatto che la Banca Centrale cinese detiene oltre il 2% rispettivamente di Eni, Enel, Fiat Chrysler Automobiles, Telecom Italia e Prysmian, che opera nel settore dei cavi e dei sistemi a elevata tecnologia per il trasporto di energia e telecomunicazioni. (La crescita delle operazioni cinesi nel Vecchio Continente ha spinto l’Ue a sviluppare una nuova cornice normativa per prevenire l’acquisizione di aziende d’interesse strategico da parte di compagnie statali extra-continentali.)
Secondo il rapporto Cina 2017. Scenari e prospettive per le imprese della Fondazione Italia-Cina, nel 2016, l’interscambio sino-italiano ha superato i 38 miliardi di euro, l’export nostrano (11 miliardi) è cresciuto di circa il 6% rispetto all’anno precedente.
Nel settore agroalimentare lo studio rileva che nei primi due mesi del 2017 l’esportazione di prodotti italiani in Cina sia aumentata del 12% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. L’interesse per il cibo italiano dipende da tre fattori interni alla Cina: l’aumento del consumo di alimenti, la scarsità di terre coltivabili (solo il 7% di quelle del pianeta), in proporzione alla popolazione (il 22% di quella mondiale), e le trasformazioni della dieta cinese, sempre più orientata al consumo di proteine e latticini. In tale contesto, citiamo l’accordo tra Centrale del Latte e Alibaba, gigante dell’e-commerce cinese, per la vendita sulla piattaforma Tmall del latte a lunga conservazione a marchio Mukki. Tra gennaio e agosto 2017 l’export complessivo italiano verso la Repubblica Popolare ha registrato una crescita del 26%.
Considerati questi progressi, ciò che manca all’Italia per partecipare appieno al progetto cinese è l’effettiva trasformazione di uno dei porti sopra menzionati in snodo per i traffici commerciali tra Europa e Cina.
Le nuove vie della seta rappresenterebbero, tuttavia, un’opportunità per l’Italia per diverse ragioni. La Bri può alimentare gli investimenti cinesi nel nostro paese; generare opportunità di collaborazione volto allo sviluppo di opere infrastrutturali in paesi terzi; incentivare le imprese italiane a operare sul mercato cinese e beneficiare del suo crescente bacino di consumatori.
La Bri sta inoltre contribuendo all'aumento delle attività economiche e della presenza di cittadini cinesi lontano dal loro paese, anche in teatri instabili. È probabile che l’impegno di Pechino in tema di sicurezza in Medio Oriente, Africa e Mar Mediterraneo aumenterà in proporzione agli interessi della Repubblica Popolare, generando nuove opportunità di collaborazione con i paesi mediterranei, Italia inclusa, per il mantenimento della stabilità regionale.
L’Italia dovrebbe riscoprire la sua natura marittima e svolgere un ruolo propositivo per valorizzare la sua posizione strategica di snodo tra il cuore del Mar Mediterraneo e il vicino Nord Europa. Subire in maniera passiva le attività della Repubblica Popolare nel Vecchio Continente potrebbe infatti trasformare le opportunità attuali in occasioni mancate.
La via della seta sul ghiaccio
A settembre 2017, la Cina ha completato la sua prima circumnavigazione dell’Artico. La rompighiaccio Xuelong (Dragone della neve), salpata il 21 luglio verso la Russia, ha portato a termine il transito per il passaggio a nord-ovest in Canada il 6 settembre. Nonostante la regione sia lontana circa 1.600 chilometri dai suoi confini, la Cina si definisce stato “vicino all’Artico”. Inoltre, nel documento ufficiale cinese intitolato Visione per la cooperazione marittima nella Belt and road initiative, il governo “immagina” una nuova diramazione del progetto attraverso questa parte di mondo.
La Repubblica Popolare guarda con interesse all’Artico per molteplici ragioni: la cospicua presenza di risorse energetiche e minerarie, il commercio ittico, la ricerca scientifica, lo sviluppo di nuove rotte commerciali per ridurre la dipendenza da quella che transita per lo stretto di Malacca. Il progressivo scioglimento dei ghiacci, frutto del riscaldamento globale, potrebbe paradossalmente rendere questa rotta più facilmente percorribile in futuro.
Le vulnerabilità della Bri e i suoi oppositori
Le vulnerabilità delle nuove vie della seta sono molteplici. Pur essendoci diversi enti coinvolti, manca un organismo istituzionale centralizzato che coordini le attività dei paesi che ne fanno parte e che quindi dia stabilità al progetto. Il vero motore dell’iniziativa è la Cina.
In secondo luogo, le rotte della Bri coinvolgono parti del mondo in cui l’instabilità geopolitica è piuttosto elevata; per esempio la regione cinese del Xinjiang, ricca di gas e petrolio, popolata dalla minoranza etnica degli uiguri (musulmani di lingua turcofona). In questa regione, che confina con l’Asia Centrale ed è uno snodo fondamentale per le rotte che collegano la costa della Repubblica Popolare all’Occidente, è in corso una dura campagna antiterrorismo per contrastare la minaccia jihadista. Inoltre, si riscontra un certo malcontento per i metodi adottati dal governo centrale nella gestione dei rapporti con la popolazione e per la difficile convivenza tra gli uiguri e gli han (etnia maggioritaria del paese), i quali da qualche anno hanno consolidato la loro presenza nella regione. Dalla prospettiva di Pechino, stabilizzare il Xinjiang è indispensabile per lo sviluppo della Bri.
A ciò si aggiunga che in Asia centrale, Medio Oriente ed Africa si riscontrano diversi paesi ad alta instabilità, per esempio Afghanistan, Siria, Iraq, Libia, Egitto. Sulla loro condizione incide la capacità del governo di controllare il paese, l’andamento economico, il benessere sociale, il rispetto dei diritti umani, il malcontento della popolazione, la presenza di cellule terroristiche, lo svolgimento di conflitti armati. Questi fattori possono complicare fortemente lo sviluppo delle nuove vie della seta.
Infine, vi sono alcuni paesi che considerano le nuove vie della seta come uno strumento dell’espansionismo cinese, per esempio gli Usa, che leggono l’iniziativa di Pechino come uno strumento per consolidare i propri interessi all’estero. Tuttavia, Washington non considera la Bri come una minaccia vera e propria a causa delle vulnerabilità strutturali e geopolitiche che la caratterizzano. Soprattutto, in quanto prima potenza marittima al mondo, gli Stati Uniti possono intervenire su qualunque rotta commerciale che solchi gli oceani. In campo militare, Pechino non può ancora competere con Washington sul piano tecnologico, di budget e di esperienza.
L’India è il più fervente oppositore delle nuove vie della seta. Delhi non vede di buon occhio in particolare lo sviluppo in corso del corridoio economico che collega Kashi nel Xinjiang al porto di Gwadar in Pakistan, suo storico nemico. L’approdo finale di questo progetto infrastrutturale è il porto di Gwadar, che si affaccia sull’Oceano Indiano. Recentemente, il segretario di Stato Usa Rex Tillerson ha ufficializzato l’asse tra Washington e Delhi, che potenzieranno i loro rapporti nei settori della difesa e dell’economia in chiave anti-cinese. In tale contesto è rilevante anche il ruolo del Giappone. Il paese del Sol Levante, storico avversario della Cina e alleato statunitense, sta accelerando il percorso di riforma della costituzione pacifista (eredità della Seconda guerra mondiale) per assumere una posizione più forte nel mar Cinese Meridionale e nell’oceano Indiano.