Secondo l’espressione dell’economista Leonardo Becchetti, citata nell’intervista in apertura di Progetto Italiano, l’essere umano è un “cercatore di senso”.
Anche a scuola, le persone cercano – consapevolmente o inconsapevolmente – il senso di quello che studiano (e che insegnano).
Dunque, dovremmo dare risposta subito a una prima domanda: perché stare a scuola?
Da indagini che abbiamo svolto con studenti della Scuola secondaria di primo e secondo grado concernenti l’apprendimento linguistico, risulta che uno dei problemi principali, legati anche alla didattica dell’italiano, è dato proprio dalla motivazione allo studio.
Entriamo ora nel dettaglio di questo concetto, per articolare poi alcune riflessioni didattiche.
Una definizione complessa
Definendo in maniera generale la motivazione, essa è «una configurazione organizzata di esperienze soggettive che consente di spiegare l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza di un comportamento diretto a uno scopo» (De Beni, Moè, 2000, p. 37). Studiando i diversi contributi sul tema, il dato che colpisce è la complessità di tale concetto che, come afferma Rheinberg (1997, p. 13), è da considerarsi come una «categoria collettiva, entro la quale sono riassunti molti processi parziali e fenomeni diversi tra loro».
Tradizionalmente, infatti, si distinguono diversi tipi di motivazione, spesso presentate come coppie antinomiche: intrinseca/automotivata vs. estrinseca/eterodiretta, strumentale vs. integrativa (cfr. De Beni, Moè, 2000).
Basandoci sulla definizione di De Beni e Moè, possiamo dire che uno studente “motivato” è un soggetto che si attiva per un bisogno, un desiderio, un interesse particolare o una causa esterna e compie un determinato percorso per raggiungere una meta.
Intensità e persistenza della motivazione
Ci sono però due variabili: l’intensità e la persistenza. Esse rimandano a fattori che determinano l’impegno nel perseguire un obiettivo e la capacità di mantenere nel tempo la motivazione. Ogni studente ripone nella scuola, nella singola disciplina, motivazioni proprie che attivano emozioni (stati di tranquillità o di ansia, rapporto positivo o negativo con il docente e con la disciplina, affinità con gli interessi personali ecc.) e processi cognitivi differenti che, di conseguenza, influenzano l’apprendimento in generale (e quello linguistico nel particolare del nostro ambito di ricerca).
Quanto all’intensità, essa può esser generata da:
• fattori interni al soggetto: necessità di superare una prova, di far bella figura o non sfigurare a un’interrogazione ecc.;
• fattori relazionali con il docente o la famiglia: desiderio di non deludere le aspettative, senso di competenza rispetto a quell’argomento della disciplina, paura di fallire, desiderio di dimostrare le proprie competenze ecc.;
• fattori esterni alla scuola: per esempio, in ambito linguistico, la motivazione legata allo studio dell’inglese rispetto al francese, al tedesco o a un’altra lingua straniera è spesso differente in quanto l’inglese offre, almeno nel percepito a priori, maggiori opportunità di comunicazione al di fuori del contesto italiano o con persone di altre nazionalità, possibilità maggiori di inserimento lavorativo in vari settori ecc.
Questo aspetto è rilevante e trova riscontro anche in indagini da noi condotte con studenti e docenti di Lingue Straniere: risulta evidente come le proiezioni future incidano in modo significativo su fattori quali l’impegno nello studio e l’investimento extrascolastico in termini economici e di tempo. In chiave operativa, allora, una riflessione condivisa con gli studenti su quale sia per loro il valore dello studio dell’italiano anche rispetto ai loro obiettivi personali presenti e futuri è importantissima per cercare quel “senso” di cui dicevamo in apertura.
Quanto invece alla persistenza, le risorse che possano aiutare il docente di italiano a modificare i “naturali” orientamenti motivazionali degli apprendenti sono innanzitutto:
• la qualità della relazione instaurata;
• la metodologia didattica.
Infatti, la possibilità di far scoprire forme di “piacere” emotive, cognitive e relazionali che traguardino gli orizzonti iniziali degli studenti è insita nel modo in cui si può sviluppare la didattica in classe (la metodologia appunto), nella capacità del docente di coinvolgere gli studenti in un percorso di partecipazione attiva (come indicano gli studi sul costruttivismo, cfr. Caon, 2016) e di corresponsabilizzazione nel processo d’insegnamento/apprendimento (come raccomandano gli studi sul clima della classe – cfr. Caon, 2008).
Motivazione intrinseca ed estrinseca
Dicevamo in apertura di come la motivazione si presenti in “coppie antinomiche”. Particolarmente interessante per questa sede è la distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca:
• possiamo parlare di motivazione intrinseca quando si crea una situazione per cui lo studente prova autonomamente interesse, bisogno, desiderio, curiosità, piacere per e nell’imparare;
• possiamo parlare, invece, di motivazione estrinseca quando le ragioni che stanno alla base dell’apprendimento non sono dovute a fattori personali, autodiretti, ma hanno stretti legami con fattori esterni quali, per esempio, la gratificazione o la “ricompensa” da parte dell’insegnante; quando, cioè, sono vincolate da rinforzi eterodiretti.
Se, in una concezione inclusiva della società e della scuola (vedi Articolo 3 della Costituzione e la normativa sull’inclusione – per una ricognizione, cfr. Caon, Melero, Brichese, 2020), consideriamo la classe come una Classe ad Abilità Differenziate (cfr. Caon, 2016) in cui l’obiettivo educativo è quello di valorizzare tutti i soggetti per le loro caratteristiche e di aiutarli a sviluppare e ad aumentare i loro talenti personali, è ovvio che la tipologia di motivazione coerente con il nostro scopo è quella intrinseca, in cui sia il soggetto ad attivarsi in modo da intravvedere nel compito scolastico un mezzo per raggiungere una realizzazione personale. Scrivono McCombs e Pope (1996, pp. 17-18):
Il lavoro sulla motivazione intrinseca […] ci ha aiutati a riconoscere la tendenza naturale degli esseri umani a essere intrinsecamente motivati quando si concentrano su obiettivi personali di apprendimento. […] Quando non sono in ansia per un fallimento, quando percepiscono quello che stanno imparando come significativo e importante da un punto di vista personale, e quando hanno un rapporto fondato sulla stima e il sostegno degli insegnanti. […] Quando gli insegnanti offrono loro la possibilità di prendere decisioni autonome e di esercitare un certo controllo sul loro processo di apprendimento.
Pur consci del bisogno da parte di molti studenti di forme estrinseche di motivazione, riteniamo, d’accordo con Cardona (2001, p. 17), che in presenza di una motivazione estrinseca si corre il rischio di creare «una dipendenza molto forte tra il docente (che rinforza) e il discente (che è rinforzato) e questo può impedire lo sviluppo di strategie cognitive e metacognitive personali dell’allievo, lo sviluppo di criteri autonomi di giudizio, in quanto egli fa dipendere le sue scelte dal tipo di rinforzo che riceve dall’insegnante».
Come promuovere la motivazione intrinseca
Alla luce di quanto detto e dei contributi delle neuroscienze che confermano sempre di più l’interdipendenza tra dimensione attentiva, mnemonica ed emotiva, riteniamo la motivazione intrinseca si possa promuovere soffermandosi su quattro aspetti.
1. I contenuti
Uno degli scogli motivazionali più grandi è rappresentato proprio dal fatto che molti studenti non vedono nei contenuti che studiano qualcosa che si avvicini ai loro obiettivi o, ricordando ancora Becchetti, non riescono a dare un senso a quanto devono studiare. Se i contenuti incontrassero spontaneamente gli interessi o i bisogni degli studenti, avremmo sicuramente un vantaggio, ma non possiamo fermarci su questa idea in quanto, come abbiamo affermato definendo la motivazione, essa è un concetto dinamico e va alimentata.
È allora fondamentale comprendere innanzitutto il valore che l’italiano ha per gli studenti e, partendo dalle loro idee, far comprendere l’importanza dello studio della nostra lingua per facilitare il raggiungimento dei loro obiettivi. Questo può essere un modo di riorientare e sostenere la loro motivazione intrinseca: la lingua, infatti, è pervasiva in ogni ambito relazionale e lavorativo ed è facile individuare la necessità di saper comunicare efficacemente in tutte le professioni o per tutti gli scopi.
Se i contenuti non possono essere modificati radicalmente, una riflessione fondamentale va quindi fatta sugli aspetti maggiormente “dinamici” della didattica, ovvero la metodologia, le risorse e i materiali didattici da utilizzare, la relazione.
2. Le metodologie
Diverse metodologie, pur mediando i medesimi contenuti, possono far attivare negli studenti processi cognitivi più o meno complessi e significativi. Affermano Job e Tonzar (1994, p. 39) a tal riguardo: «i vari modi di insegnamento e apprendimento coinvolgono forme di rappresentazione e operazioni mentali in parte diversi e la metodologia scelta può rendere più facile o più difficile l’acquisizione di una certa conoscenza o di una certa abilità».
Un dato modo di presentare un argomento disciplinare (per esempio attraverso modalità trasmissive o utilizzando il problem solving, con attività individuali o cooperative, attraverso spiegazioni dell’insegnante o utilizzando strategie mutuate dalla flipped classroom – cfr. Caon, 2016) incide profondamente sul tipo di motivazione. Per esempio si può innescare negli studenti una motivazione rispetto all’apprendimento dei contenuti attraverso:
• il piacere di superare una sfida;
• il piacere di risolvere un problema legato alla vita quotidiana reimpiegando i contenuti disciplinari;
• la partecipazione ad attività complesse quali, per esempio, progetti di lavoro, esperimenti, attività cooperative;
• la sfida tra compagni in attività ludiche piacevoli e impegnative cognitivamente.
3. Le risorse e i materiali didattici
Il neurolinguista Schumann (1997) sostiene che “l’attrattiva”, legata alla piacevolezza dello stimolo, sia uno dei fattori principali che orientano la motivazione degli studenti. Si pensi, per esempio, al ruolo che giocano, nell’editoria, l’impaginazione e la scelta grafica, la ricchezza di immagini e di testi tipologicamente diversificati che integrano le attività lessicali e grammaticali. Allo stesso modo i materiali originali presentati agli studenti in classe (per esempio i PowerPoint o gli ulteriori input scelti come video, fotografie, testi letti da attori, canzoni ecc.) incidono sull’attenzione e sulla memorizzazione dei contenuti. Tali aspetti, secondo questo criterio, non devono essere considerati “abbellimenti accessori”, orpelli estetici, ma si “con-fondono” con lo stimolo stesso, determinandone di fatto in parte l’aspetto motivazionale.
4. La relazione
Gli studi sul clima della classe (cfr. per una sintesi Caon, 2008) affermano che per costruire l’autorevolezza dell’insegnante, oltre alla sua competenza disciplinare, è strategico instaurare un rapporto basato sulla trasparenza, sulla fiducia, sulla chiarezza e sull’efficacia della comunicazione (attraverso, per esempio, il costante feedback, il patto formativo, la comunicazione degli obiettivi di apprendimento, l’ascolto attivo dei bisogni e degli interessi).
Tale autorevolezza è fondamentale per passare da un dovere estrinseco (lo studio finalizzato a evitare un voto negativo, una brutta figura o una bocciatura) a un senso del dovere che può nascere dalla responsabilità condivisa (con i compagni e con il docente) in cui ognuno, nei suoi ruoli, si impegna a un obiettivo di crescita anche umana.
Occorre cioè scardinare, negli studenti, l’idea pregiudiziale che il docente sia loro “nemico” (e quindi debba essere avverso in vari modi). Più promettente è l’idea che, nella trasparenza e nel rispetto dei ruoli (che prevede anche forme di verifica), si immagini tutta la classe orientata verso il successo (per esempio, la comprensione del senso profondo dei concetti disciplinari, il valore dell’impegno e della fatica di tutti nello studio e nella didattica, la convivenza rispettosa, il successo scolastico), con il docente che facilita il processo per raggiungere tale successo. In breve, che la classe sia un luogo di cittadinanza attiva e responsabile per tutti.
Per fare questo, ritengo sia fondamentale una riflessione di base su quella ricerca di senso di cui dicevamo all’inizio e che ogni docente deve fare con sé stesso.
Riempire di senso le proprie azioni e adattarle al contesto (fatto di regole tendenzialmente stabili e di dinamiche sempre diverse) è essenziale. Per realizzarlo, valgano le parole di Jean Jaurès secondo cui “Non s’insegna quello che si vuole, che si sa o che si crede di sapere, si insegna e si può insegnare solo quello che si è.”
Le attività pratiche
Di seguito potete scaricare le attività pratiche a cura di Annalisa Brichese e Fabio Caon, da svolgere con la vostra classe in modalità DaD o in presenza. Le attività riprendono i primi tre punti appena affrontati – 1. I contenuti, 2. Le metodologie, 3. Le risorse e le attività didattiche – e declinano ciascuno con proposte operative per la Scuola secondaria di primo e secondo grado.
Il quarto punto, la relazione, non verrà esemplificato perché, di fatto, questo è un aspetto trasversale e si allena attraverso la scelta di metodologie che privilegiano l’incontro con l’altro e di contenuti (magari integrativi) che possano avvicinarsi al mondo degli studenti e ai loro interessi, attraverso l’utilizzo di risorse e attività didattiche che privilegiano il lavoro cooperativo e il tutoraggio tra pari.