Cinquecento anni dalla Riforma protestante

Riforma

CULTURA STORICA

La Riforma fu molto di più di un cambiamento di natura religiosa: ebbe un impatto più generale sugli equilibri politici dell’Europa e condizionò profondamente le relazioni fra gli stati. In Italia accelerò la crisi della Chiesa, attraversata da proposte di rinnovamento più o meno vicine alla predicazione luterana, che investirono tutti i livelli della comunità cattolica.

Dino Carpanetto

Il cinquecentesimo anniversario delle 95 tesi di Lutero è un’occasione per riflettere sul significato della Riforma protestante nella storia europea e sulle sue ripercussioni nelle vicende italiane. La Riforma non fu solo un cambiamento di natura religiosa: ebbe un impatto generale sugli equilibri politici del continente e condizionò le relazioni tra gli Stati. Si pensi ai conflitti di religione che fino a metà Seicento scoppiarono in diversi paesi europei. In Italia accelerò la crisi della Chiesa, attraversata da proposte di rinnovamento più o meno vicine alla predicazione luterana, che investirono tutti i livelli della comunità cattolica fino ai vertici ecclesiastici.

Il contesto

La Riforma protestante non è comprensibile se non alla luce delle grandi svolte che si annunciarono in Europa al passaggio dal Quattro al Cinquecento. Si pensi agli eventi che si susseguirono tra il 1492 e il 1517. La traversata oceanica di Colombo alla ricerca di un approdo alle Indie da Occidente non può far dimenticare che il 1492 è anche l’anno in cui gli eserciti dei re cattolici Ferdinando e Isabella entrano a Granada, ponendo fine alla presenza musulmana sul suolo iberico. Nella Spagna cristianizzata il seme dell’intolleranza germogliò rigoglioso quando, in quello stesso anno, furono espulsi gli ebrei: la monarchia dei “re cristianissimi” affossava il pluralismo religioso in nome di un uso politico della fede quale strumento di coesione del nascente Stato nazionale. Era il punto culminante di uno spirito di intolleranza sedimentatosi nel corso dei secoli e che modificava i termini della convivenza tra le diverse appartenenze religiose.
Sempre più la questione religiosa si pose al centro delle tensioni politiche e culturali, sempre più spinse milioni di uomini a forzare il corso della storia verso cambiamenti radicali, che irruppero nel cuore dell’Europa cristiana all’inizio del XVI secolo e scossero un assetto politico che durava da oltre mille anni.

Una totale riforma della religione

Tutto iniziò il 31 ottobre 1517, cinque secoli or sono, quando un pio monaco agostiniano, Martin Lutero (1483-1546), affisse le 95 tesi sulla porta della Schlosskirche di Wittenberg, la città della Sassonia dove insegnava teologia biblica. Tormentato dalla domanda “come l’uomo si salva?”, Lutero aveva trovato la risposta in un passo delle lettere di San Paolo, là dove si dice che il giusto si salverà per la fede. Non le opere, non le penitenze, non le indulgenze, nessuna insomma delle infinite devozioni che la Chiesa aveva pensato per garantire ai fedeli la certezza del paradiso poteva valere: solo Dio dona liberamente la grazia agli uomini che credono e che con la fede si rendono degni della salvezza.
Non è tanto la denuncia della corruzione dilagante nel corpo ecclesiastico e ai vertici della Chiesa a spiegare la riforma di Lutero. Tanti altri monaci come lui avevano predicato con veementi toni apocalittici la rigenerazione della Chiesa. Lutero non si limitò a manifestare lo sdegno, ma attaccò il fondamento teologico su cui si reggeva la Chiesa, al quale contrappose una visione del cristianesimo con al centro il sacrificio di Cristo sulla croce. Si comprende così perché l’indignazione di Lutero verso la invereconda campagna delle indulgenze condotta nel 1517 in Germania da monaci spregiudicati, come il domenicano Tetzel, poté assumere il profilo di una totale riforma della religione che poneva il fedele a contatto diretto con la parola di Dio, unica fonte di salvezza per l’uomo irrimediabilmente peccatore.
Lotta alle indulgenze e definizione di una dottrina della fede alternativa a quella della Chiesa di Roma sono le due leve della riforma che Lutero andò predicando sull’onda di un travolgente successo. Certamente Lutero non si sarebbe atteso di trovarsi nel cuore di un rivolgimento generale come quello che in pochissimo tempo investì la Germania, grande e frammentata in tante unità politiche, dove debole era l’autorità dell’imperatore, e che si propagò con stupefacente rapidità in tutta Europa mandando in pezzi l’unità cristiana del continente.

Riforma religiosa e ragioni politiche

In effetti la Riforma luterana assunse un grande rilievo anche perché si inserì nel processo di costruzione dello Stato nazionale. Lutero e la sua battaglia per riportare Cristo e il Vangelo al centro della fede non avrebbero vinto se le ragioni della Riforma non fossero state accolte dal potere politico. La Riforma si affermò dove i principi tedeschi la sostennero e ne furono a loro volta sostenuti. Vinse in molti Stati tedeschi, in Inghilterra, nelle città svizzere, nel mondo Baltico. Vinse in Prussia, dove il principe elettore del Brandeburgo cavalcò il protestantesimo per impadronirsi dei beni della Chiesa. Altri paesi, la Francia e le Fiandre, si divisero tra cattolici e protestanti, in competizione per conquistarsi la direzione politica dello Stato. In questo senso la Riforma protestante ha creato un mutamento decisivo e permanente nella storia europea.

Pluralismo religioso e intolleranza

Un secondo fattore di discontinuità consiste nella fine del monopolio della Chiesa di Roma su tutto il capillare sistema con cui dirigeva la morale pubblica e privata, forniva gli indirizzi culturali, costruiva mentalità e idee, gestiva patrimoni, influenzava le strategie politiche degli Stati. Dopo Lutero il papa non sarebbe più stato il fulcro di un’Europa unita dalla religione.
La Riforma luterana, nel momento in cui infranse il monopolio papale della fede cristiana, generò nuove divisioni: la Germania si divise tra un Nord luterano e un Sud cattolico; il francese Giovanni Calvino attuò una sua riforma molto diversa dal luteranesimo, svincolata dal legame con le autorità politiche, che ebbe una straordinaria diffusione in Europa e poi nelle colonie inglesi in America; l’Inghilterra di Enrico VIII scelse invece una soluzione tutta politica che non impedì però nel Seicento, ai tempi della rivoluzione di Cromwell, l’esplosione di un’infinità di sette, le più radicali e strane, mai viste prima.
Contro la stessa volontà dei riformatori protestanti, il pluralismo religioso si insinuò in un’Europa sempre più divisa dalle fede, nella quale le chiese presidiarono le nuove verità confessionali cercando di espungere dal corpo politico le minoranze del dissenso. Drammatiche fratture si interposero tra maggioranza e minoranze, tra religioni istituzionalizzate e libere esperienze di fede, tutte destinate a essere represse con la forza o a sopravvivere in spazi di tolleranza sempre più marginali in quell’Europa in cui erano le ragioni dell’intolleranza a dominare.
Tra i tanti movimenti definiti eretici perché si opponevano ai dogmi delle chiese ufficiali, protestanti e cattolica, due ebbero maggiore importanza. I primi sono gli anabattisti, cristiani di intensa dedizione al messaggio di Cristo interpretato alla lettera, uomini infiammati dalla fede, liberi dall’obbedienza alle autorità, che furono ovunque oggetto di persecuzioni. Là dove sopravvissero ebbero un’influenza decisiva nella storia di alcuni paesi. Sono i casi dell’Olanda, dell’Inghilterra e delle colonie inglesi in America popolate da rifugiati per causa di religione: dall’anabattismo cinquecentesco, per esempio, scaturirono nei secoli successivi le chiese americane degli schiavi africani, “le chiese dei gospel”.
Un secondo filone conduce invece verso il moderno razionalismo, identificato dalla volontà di accordare ragione e fede, libertà intellettuale e rispetto della tradizione religiosa: un percorso di lunga durata già iniziato prima di Lutero, con Lorenzo Valla e con Erasmo, che nel Seicento giunse a prefigurare un cristianesimo senza misteri, in cui Dio, collocato al di fuori di chiese, rivelazioni, dogmi, diviene semplice postulato della morale e della ragione umana.

Riforma italiana e Controriforma

Italia, Spagna e Francia seppure in quest’ultima si fosse presto affermata una minoranza influente dì calvinisti costituirono le aree forti del cattolicesimo, a partire dalle quali la Chiesa di Roma organizzò la sua risposta non tanto alla sfida protestante quanto alla crisi religiosa che la attraversò verticalmente, dal centro alle periferie, dai livelli alti della gerarchia fino all’ultimo parroco di campagna. Infatti le stesse ansie di cambiamento vissute dal monaco tedesco e avvertite anche in Italia negli ambienti ecclesiastici e nel mondo laico, avevano dato impulso a originali esperienze di fede, che non si possono ricondurre al protestantesimo. Gruppi e comunità cosiddette “spirituali”, cripto protestanti, erasmiane, evangeliche, si formarono in ogni parte d’Italia con la presenza di alti personaggi della curia, di cardinali e vescovi, di teologi e umanisti, ma anche di uomini comuni privi di cultura. Essi furono i protagonisti di quella che è chiamata la “Riforma italiana”, espressione con cui si mette in luce l’originalità del movimento riformatore e la sua autonomia dal protestantesimo, la sua proposta di un rinnovamento della Chiesa tale da accogliere le più genuine esigenze che avevano animato i tanti riformatori protestanti.
Al concetto di “Riforma italiana” fa da contrappunto quello di “Controriforma”. Contrariamente a quanto si crede, “Controriforma” non indica affatto la reazione di Roma al protestantesimo, che in Italia, così come in Spagna, in Portogallo, in Austria, era pressoché assente. Sottolinea invece la soluzione dell’intransigenza dogmatica e politica scelta dai settori più oltranzisti della Chiesa, che concepirono e realizzarono un progetto di restaurazione da cui derivò un rinnovato disciplinamento pastorale, una totale clericalizzazione della società, un severo impegno contro l’eresia e un’ideologia subordinata ai diritti supremi della «ragion di Chiesa». Furono così soffocate le molte voci che avevano condiviso le istanze riformatrici e si erano levate per farle accogliere ai vertici della Chiesa.

La svolta dell’Inquisizione

L’istituzione nel 1542 della Congregazione del Sant’Ufficio, pensata per dotare la Chiesa di un potente e centralistico strumento di controllo delle coscienze, fu il punto cruciale della Controriforma; la Chiesa si servì di un tribunale preposto a reprimere il dissenso e a costruire una nuova unità al suo interno. L’Inquisizione fu il vero e principale cambiamento nella storia del cattolicesimo. L’opera condotta da quel tribunale della fede fu imponente. Oltre quaranta tra cardinali e vescovi processati con l’accusa di eresia; l’intromissione degli inquisitori in ben due conclavi, nel 1549 e nel 1555, per impedire che venisse eletto un cardinale, l’inglese Reginald Pole, sensibile alle esigenze spiritualistiche; le migliaia di condanne a morte, alla galera, al carcere per persone che avevano idee e comportamenti dissenzienti; i processi contro quegli stessi ordini religiosi, come i gesuiti, i quali, sebbene considerati paladini della Controriforma, alle loro origini avevano destato sospetti di eresia; le migliaia di condanne comminate a preti e monaci condannati perché indegni del magistero ecclesiastico, così come a intellettuali che sfidavano la verità imposta anche in materia di scienza, di politica, di arte, sono la prova della forza di condizionamento esercitata dall’Inquisizione. Al confronto il Concilio di Trento (1545-1563) appare una pallida espressione della Controriforma, anche perché i suoi decreti più innovativi, come quelli che riportavano il clero ai compiti evangelici di cura d’anime, furono realizzati, e parzialmente, solo a distanza di decenni.

Il protestantesimo e il capitalismo

Il sociologo tedesco Max Weber (1864-1920) scrisse due saggi nel 1904 e 1905 che furono riuniti sotto il titolo L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Da questi contributi derivò l’idea che il protestantesimo sia stato decisivo nel creare un contesto favorevole all’emergere di moderne figure imprenditoriali e capitalistiche. In realtà Max Weber propose una ipotesi feconda che fece discutere soprattutto perché sembrava porsi in maniera antitetica al pensiero di Marx, in quanto legava il successo della borghesia non alle strutture economiche e produttive, ma a una sovrastruttura, come l’avrebbero definita i marxisti, di matrice culturale e religiosa.
Tale nesso tra Riforma protestante e spirito del capitalismo va però posto in discussione. Weber non pensava infatti tanto a Lutero, una figura legata ancora a un mondo feudale, ma guardava alle idee e a alle società ispirate da Calvino: l’Olanda del capitalismo mercantile e della Borsa di Amsterdam; e poi Ginevra, la “Roma del calvinismo”, con le sue banche calviniste, un network europeo della finanza.
Studi successivi hanno smentito le affermazioni di Weber e sottolineato piuttosto l’importanza di processi economici, come l’atlantizzazione dell’economia, nello spostare il baricentro del potere dal Mediterraneo al mercato atlantico (europeo e americano), come spiegò Fernand Braudel in Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II (1949).
Un altro aspetto che chiede di essere valorizzato più di quanto non abbia fatto Weber è il ruolo delle minoranze. Nei paesi protestanti le minoranze erano in realtà molto produttive, anche perché svincolate da legami con la Chiesa di Roma. Si pensi a Ginevra, una città diventata enormemente ricca proprio grazie all’apporto di una minoranza italiana calvinista, quella dei banchieri di Lucca, emigrati per ragione di fede. La tesi di Weber, fortemente ideologica, conserva comunque un suo valore di fondo. Si pensi a quanto abbia pesato, nel mondo protestante, la pratica religiosa per cui il credente deve essere in grado di leggere la Bibbia: è un elemento rivoluzionario che si riflette sui processi di modernizzazione soprattutto là dove si incontra con le forze borghesi delle città.

Lettura suggerita

Lucia Felici, La riforma protestante nell’Europa del Cinquecento, Carocci, Roma 2016.

 

Dino Carpanetto, professore di Storia moderna all’Università di Torino fino al 2015, si è occupato di storia dell’Illuminismo e delle riforme nell’Italia del Settecento, di storia della medicina e delle minoranze religiose in Europa tra Sei e Settecento. Tra le pubblicazioni: insieme con Giuseppe Ricuperati, L’Italia del Settecento. Crisi trasformazioni lumi, Roma-Bari, Laterza, 1986; Scienza arte del guarire, Torino, Deputazione subalpina di storia patria, 1998; Nomadi della fede. Ugonotti, ribelli e profeti tra Sei e Settecento, Torino, Utet libreria, 2014.