Le notizie di ogni giorno ci riportano i tragici capitoli dei conflitti che infiammano il Medio Oriente. La Siria, dove le speranze della “primavera araba” hanno condotto al desolante epilogo di una guerra civile, sostituita poi dalla disumana presenza di gruppi armati finanziati dall’estero e dalla comparsa dell’ISIS e oggi teatro di una guerra senza fine. La Palestina, terra di una pace mai raggiunta, dove si sperimenta una convivenza complessa con lo stato di Israele e con il vicino Libano. L’Iraq, dove è in atto un difficile equilibrio tra le varie comunità e che ha visto, negli anni recenti, l’avanzata dello stato islamico. L’Egitto, agitato da colpi di stato, paese in cui due anni fa è stato rapito e ucciso l’italiano Giulio Regeni mentre svolgeva ricerche sui sindacati indipendenti egiziani.
Da queste nazioni segnate dalla guerra, dall’instabilità e dalla mancanza di piena garanzia dei diritti umani e civili, si levano altissime voci di poeti e poetesse capaci di proporre liriche nelle quali l’impegno politico e sociale si abbina alla densità dello scavo interiore. Sebbene ancora oggi, agli occhi degli occidentali la poesia araba sia un mondo perlopiù sconosciuto, leggere questi testi, tradurli e diffonderli è un modo per allacciare legami e costruire ponti culturali per la comprensione e la convivenza pacifica tra i popoli: perché il Mediterraneo torni ad essere, come è stato in passato, un mare capace di unire e non di dividere.
Caratteri della poesia araba contemporanea
Da sempre, la poesia gioca un ruolo significativo nella cultura araba, tanto che un celebre detto la definisce “il divano buono dei salotti arabi”. Questo accadeva fin dal periodo preislamico, quando i poeti godevano di grande considerazione all’interno delle comunità e spesso venivano organizzate competizioni, feste e cerimonie in cui attraverso la poesia venivano incarnati i caratteri di un popolo, i suoi costumi e le sue tradizioni. In estrema sintesi, è possibile affermare che la poesia araba ha seguito i caratteri tradizionali (sia negli argomenti che nella metrica) fino all’inizio del XX secolo, quando si sono fatti più stretti i contatti con la cultura occidentale, anche a seguito della presenza in molti paesi di intellettuali di origine araba.
Da quel momento la letteratura del mondo arabo è attraversata da fecondi cambiamenti. Anzitutto, sulla spinta degli influssi della poesia di autori come T.S. Eliot e Ezra Pound, gli scrittori arabi iniziano a prediligere il verso libero, mettendo in secondo piano la metrica classica e l’obbligo della rima e lasciando sempre più spazio nei loro testi sia alle questioni politiche contemporanee sia a temi di carattere personale ed esistenziale. Dopo la Prima guerra mondiale si costituisce negli Stati Uniti la cosiddetta “scuola poetica siro-americana”, formata da una decina di scrittori mediorientali riuniti attorno all’eminente figura di Kahlil Gibran (il celebre autore del Profeta), che si pone l’obiettivo di modificare la versificazione classica optando per una poesia intesa come espressione sincera delle emozioni, che fosse attenta alle meraviglie della natura e dell’universo e che dichiarasse la nostalgia per la patria lontana.
Impegno civile, esilio, migrazioni
Questi intellettuali, nati in un Medio Oriente tenuto sotto il dominio dell’Impero ottomano, coltivavano il desiderio dell’indipendenza degli stati del mondo arabo. La storia però prese strade differenti.
Dopo la Seconda guerra mondiale vi fu un evento destinato ad influire profondamente sugli scrittori arabi della seconda metà del Novecento: la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 e il successivo esodo palestinese, che hanno rappresentato un avvenimento fortemente traumatico per la società e l’intera cultura araba, tanto da essere conosciuti col nome di nakba (“la catastrofe”, “il disastro”). È nato così un vasto filone di letteratura della resistenza (àdab al-muqàwama) e dell’esilio che ha avuto, a vario titolo, riscontri in tutte le letterature dei Paesi arabi e che ha spinto gli scrittori a optare per una letteratura e una poesia impegnate politicamente e socialmente.
Poco tempo dopo, il 1957 ha segnato un altro anno importante per la poesia araba grazie alla nascita della rivista Shi’r (“Poesia”), fondata dai poeti Adonis e Yusuf al-Khal (1917-1986). Questa rivista, durata dieci anni, ha raccolto giovani poeti che, seppur differenti negli esiti, erano uniti nella volontà di trasformare l’arabo poetico e di trovare nuove fonti d’ispirazione tanto nel dramma arabo nel suo complesso quanto nella condizione del singolo.
Oggi la poesia araba è straordinariamente vitale: sia che parlino dalle loro terre d’origine sia che scrivano da paesi d’esilio o di elezione (Francia, Stati Uniti, Canada, Italia), la voce dei poeti arabi si rivela fortemente evocativa, grazie alla scelta di non restare ai margini della storia, ma anzi prediligendo una linea di impegno civile che – pur non rinnegando temi che ritroviamo anche nella letteratura occidentale, quali l’alienazione, il disordine interiore e l’angoscia esistenziale – pone al centro le condizioni socio-politiche, i diritti delle donne, gli eventi della storia recente e la loro ripercussione sul singolo e la comunità.
Non deve stupire che i temi dell’esilio e della migrazione siano presenti con ampia frequenza nei testi della poesia araba contemporanea. Nel 2014 l’International Organization for Migration ha stimato che circa 7 milioni di arabi vivano al di fuori dei loro paesi d’origine. I conflitti che hanno segnato la storia dell’ultimo secolo – dalla guerra arabo-israeliana del 1948 alla guerra dei Sei giorni del 1967, alla guerra civile libanese del 1970 al conflitto siriano ancora in corso – hanno generato ogni volta deportazioni o migrazioni forzate. La poesia ha dunque dato voce a un tema che, prima di essere letterario, è esistenziale, e viene affrontato ora con la sfumatura della nostalgia, ora con i toni della rabbia e della rivolta, ora con il sarcasmo e l’ironia.
Di seguito segnaliamo una serie di figure di particolare interesse storico e culturale e riferimenti bibliografici per reperirne le opere o approfondirne la biografia.
Fadwa Tuqan è una poetessa palestinese. Nata a Nablus nel 1917, la sua giovinezza venne fortemente segnata dalla figura del fratello Ibrahim, anch’egli poeta, morto nel 1941. È la sua poesia a fornirci gli scarni elementi biografici che di lei possiamo conoscere: i viaggi in Europa e nel mondo, il desiderio di libertà, l’amore per la propria terra. Tuqan predilige una poesia dal forte impegno civile, che si fa portavoce del dramma del popolo palestinese, che riconosce in lei una delle voci più rappresentative della letteratura contemporanea. Muore a Nablus nel 2003. In molti testi la poetessa esprime un desiderio nostalgico, quasi struggente per la propria terra, tanto da desiderare dopo la morte di fondersi con lei in una totale ed eterna armonia, come nella poesia Mi basta morire tra le sue braccia:
Mi basta morire tra le sue braccia
Mi basta morire tra le sue braccia,
là essere sepolta,
disciogliermi nel suo limo e svanire,
rinascere come filo d’erba sopra il suo suolo,
rinascere come fiore
accarezzato dalla mano di un bambino nato nel mio paese.
Mi basta dimorare per sempre nel grembo del mio paese
come terra, erba o fiore.
(trad. Paolo Senna)
Segnaliamo:
- Fadwa Toqan, poetessa araba della Resistenza, a cura di Issa L. Naouri, Ufficio della lega degli stati arabi, Roma s.d.
- Non ho peccato abbastanza. Antologia di poetesse arabe contemporanee, a cura di Valentina Colombo, Mondadori, Milano 2007.
Mahmud Darwish (al-Birwa, Galilea, 1941) è un poeta palestinese, considerato tra i massimi esponenti della poesia araba contemporanea. La sua infanzia è segnata dalla fuga, dall’esilio in un campo profughi libanese e dal ritorno nella propria terra occupata, dove constata la distruzione del proprio paese natale. La sua condizione di clandestino nella propria terra è il tema dominante della sua scrittura. Darwish viene arrestato diverse volte a motivo della sua clandestinità, situazione che lo spinge a vagare di paese in paese, dall’Unione Sovietica al Libano, dalla Tunisia alla Francia per poter svolgere il proprio lavoro di giornalista e di scrittore. Tra le sue raccolte poetiche più significative vi sono Foglie d’ulivo (1964), Un innamorato della Palestina (1965), La fine della notte (1967), Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine? (1995). Muore negli Stati Uniti nel 2008 in seguito a una operazione chirurgica.
Di seguito, alcuni versi della poesia Pensa agli altri.
Pensa agli altri
Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace. (…)
Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.
(trad. Asma Gherib)
Segnaliamo:
- Mahmud Darwish, Perché hai lasciato il cavallo alla sua solitudine?, a cura di L. Ladikoff Guasto, San Marco dei Giustiniani, Genova 2001.
- Mahmud Darwish, Il letto della straniera, a cura di C. Haidar, Epoché, Milano 2009.
- Mahmud Darwish, Come fiori di mandorlo o più lontanto, a cura di C. Haidar, Epoché, Milano 2010.
- Mahmud Darwish, Il giocatore d’azzardo, a cura di R. Ciucani, Mesogea, Messina 2015.
- Mahmud Darwish, Undici pianeti, a cura di S. Moresi, Jouvence, Roma 2018.
Nizar Qabbani (ritratto nella foto) nasce nel 1923 a Damasco. Nel 1938 la sorella, cui è impedito di sposare l’uomo che ama, si toglie la vita. Il fatto segna profondamente il giovane Qabbani che da quel momento decide di contrastare ogni tipo di costrizione tradizionalista. Nel 1944 pubblica la sua prima raccolta Una donna bruna mi ha detto. Dopo la laurea in Giurisprudenza intraprende la carriera diplomatica che gli consente di viaggiare in Egitto, Inghilterra, Cina e Spagna. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta pubblica diversi volumi di poesie: Infanzia di un seno (1948), Tu sei mia (1950), Poesie (1956), Amata mia (1961), La poesia è una candela verde (1962). Nel 1966 lascia la carriera diplomatica e subito dopo fonda una casa editrice, decidendo di trasferirsi a Londra, dove muore nel 1998. Pubblica in questi anni decine di raccolte poetiche, tra cui ricordiamo: Dipingere con le parole (1967), Poesie selvagge (1970), Non vi è altra donna al di fuori di te (1979), L’amore non si ferma al semaforo (1983), Il fiammifero è in mano mia e le vostre piccole nazioni sono di carta (1989).
Di seguito, alcuni stralci da Raffigurazione nel tempo grigio.
Raffigurazione nel tempo grigio
1.
È dall’infanzia che cerco
di raffigurare il mio paese.
Ho disegnato case
ho disegnato tetti
ho disegnato volti.
E minareti dorati ho disegnato
e strade deserte
dove sdraiarsi per lenire la stanchezza.
Ho disegnato una terra chiamata metafora,
la terra degli arabi.
2.
È dall’infanzia che cerco di disegnare una terra
che mi tratti con gentilezza
se infrango il vetro della luna
e mi ringrazi se scrivo versi d’amore
e se inseguo l’amore mi lasci fare
come un uccello, sugli alberi.
Cerco di disegnare una terra
nella quale gli uomini ridano… e piangano come gli altri uomini.
(…)
6.
Cerco di disegnare una terra
dove il mio letto sia solido
e solida la mia testa
perché possa dalle navi avvistare la costa.
Ma loro… mi hanno requisito la scatola dei colori
e non mi permettono
di raffigurare il volto del mio paese.
(trad. Valentina Colombo)
Segnaliamo:
- Nizar Qabbani, Poesie, a cura di G. Canova, M.A. De Luca, O. Minganti, A. Pellitteri, Istituto per l’Oriente, Roma 1976.
- Nizar Qabbani, Il fiammifero è in mano mia e le vostre piccole nazioni sono di carta e altri versi, a cura di Valentina Colombo, San Marco dei Giustiniani, Genova 2001.
- Nizar Qabbani, Le mie poesie più belle, a cura di N. Salameh e S. Moresi, Jouvence, Roma 2016.
Adonis (pseudonimo di ’Ali Ahmad Sa’id Esber) è un poeta e saggista siriano, naturalizzato libanese, nato a Qassabin nel 1930. Laureatosi in filosofia all’università di Damasco nel 1954, dal 1956 al 1985 risiede in Libano, dove lavora come insegnante e giornalista. Nel 1957, con Yusef al-Khal, fonda la rivista Shi’r (“Poesia”) e, nel 1968, crea la rivista Mawaqif (“Situazioni”), periodico indipendente da qualsiasi regime che si pone programmaticamente come punto d’incontro della cultura araba con le altre culture. Vive in Francia ed è stato più volte candidato al Premio Nobel per la letteratura. La sua poesia è caratterizzata da un verso estremamente puro e da una marcata tensione lirica, in cui vibra un’inquietudine profonda, che unisce agli slanci metafisici le ansie della vita quotidiana e delle tensioni sociali. Tra le sue opere: Canzoni di Mihyar il damasceno (1961), Libro delle trasformazioni e dell’emigrazione nelle regioni della notte e del giorno (1969), Il teatro e lo specchio (1970), I cinque poemi seguiti dalle analogie e dai primi (1980), La musica della balena azzurra (2005), L’oceano nero (2006).
Un saggio della poesia di Adonis: Nei giorni del digiuno…
Nei giorni del digiuno…
Nei giorni del digiuno
lui si ricorda, dimentica la sua migrazione
poi torna. Visita malinconico
il paradiso delle sue mani
nel giardino della sua giovinezza (…)
Chi darà il benvenuto alla mia ombra dopo l’esilio?
(trad. Fawzi Al Delmi)
Segnaliamo:
- Adonis, Desiderio che avanza nelle mappe della materia, a cura di F. Al Delmi, San Marco dei Giustiniani, Genova 1997.
- Adonis, Libro delle metamorfosi e della migrazione nelle regioni del giorno e della notte, trad. di Fawzi Al Delmi, Mondadori, Milano 2004.
- Adonis, Ecco il mio nome, a cura di F. Corrao, Donzelli, Roma 2009
- Adonis, Singolare in forma di plurale, a cura di di F. Al Delmi, Guanda, Parma 2014.
- Adonis, La foresta dell’amore in noi, trad. di F. Al Delmi, Guanda, Parma 2017.
Faraj Bayrakdar, nato nel 1951 in Siria, ha iniziato a scrivere poesia all’età di dodici anni. Durante gli anni universitari a Damasco fondò con altri studenti una rivista culturale ostile al regime di Hafez Assad. Iniziarono così a partire dal 1978 una serie di arresti da parte dei servizi segreti, l’ultimo dei quali, con l’accusa di appartenere al Partito comunista laburista siriano, lo costrinse in prigione dal 1987 al 2000, quando venne liberato a seguito delle pressioni internazionali esercitate sul regime siriano. Nonostante la lunghissima permanenza in carcere, la sua poesia non si è mai affievolita, nemmeno quando, tra il 1987 e il 1993, è vissuto in regime di massima sicurezza, senza che gli fossero concesse né una radio né le visite di parenti e amici.
Sono questi gli anni in cui scrive sette raccolte di poesie, tra cui Il luogo stretto e Specchi dell’assenza. Bayrakdar risiede attualmente in Svezia da dove continua a scrivere e a lottare per i diritti dei siriani. Nel 2017 ha ricevuto il premio alla carriera del Festival internazionale di poesia civile di Vercelli.
Alcuni versi da Diagnosi, scritta nel carcere di Sednaya nel 1993.
Diagnosi
L’innamorato ha solo metà cuore
perché ha votato l’altra metà
all’amore.
Il torturatore ha due cuori:
il primo
per odiare gli altri fino alla fine
il secondo
per odiare se stesso fino alla fine.
Ma accade a volte che si stanchi
e sia obbligato a lavorare
con un cuore solo.
(trad. Paolo Senna)
Segnaliamo:
- Faraj Bayraqdar, Il luogo stretto, trad. di Elena Chiti, Nottetempo, Milano 2016.
- Faraj Bayraqdar, Specchi dell’assenza, trad. di Elena Chiti, Interlinea, Novara 2017.