Il clima cambia, il mare pure

gorgonia

ATTUALITÀ PER LA CLASSE | Tecnologia, Scienze, Biologia, Scienze della Terra

I cambiamenti climatici hanno un grande impatto sull’ambiente marino, con profonde ripercussioni sulla sua biodiversità. E più CO2 in atmosfera significa anche maggiore acidificazione delle acque: un fenomeno che è possibile studiare in un laboratorio naturale presente sull’isola di Ischia.

Maria Cristina Gambi

Tra le cause principali che minacciano la biodiversità degli oceani e anche del mare Mediterraneo troviamo le modificazioni climatiche che stanno interessando il nostro pianeta. In realtà, la Terra ha già subito nel corso della sua lunga storia geologica importanti modificazioni che riguardano sia il clima sia la struttura delle terre emerse. In epoche geologiche, le modificazioni climatiche di grande ampiezza sono state il principale motore dell’evoluzione, permettendo l’adattamento o la scomparsa di specie e popolazioni, nonché di interi ecosistemi e biomi. Negli ultimi decenni, però, i cambiamenti climatici sulla superficie del nostro pianeta si stanno presentando più intensi e frequenti, e anche su scala temporale più breve. Oggi la maggior parte degli scienziati sostiene che l’evoluzione così rapida del clima sia dovuta all’aumento in atmosfera dell’immissione di gas serra, in particolare CO2, prodotti in seguito ad attività antropiche, in particolare l’uso dei combustibili fossili. Le conseguenze di questi cambiamenti vanno dall’aumento della temperatura, con riscaldamento globale e scioglimento delle calotte polari e dei ghiacci continentali, con conseguente aumento del livello dei mari, all’aumento dei raggi UV, all’acidificazione delle acque marine.

Risposte biologiche al clima che cambia

Organismi ed ecosistemi reagiscono in vario modo ai cambiamenti climatici. Tra le risposte biologiche più evidenti troviamo: l’anticipazione del periodo riproduttivo di diverse specie vegetali e animali; la variazione dei tempi delle migrazioni stagionali di molti organismi; la variazione nella distribuzione delle specie, con specie tipiche di aree temperate-tropicali che si diffondono verso latitudini più elevate; la comparsa di specie aliene, estranee a fauna e flora locali di determinate aree geografiche, insieme a quella di nuovi parassiti e organismi patogeni (anche per l’uomo); l’estinzione locale di intere popolazioni o di specie, con alterazioni nella struttura e nel funzionamento di interi ecosistemi.
Come si vede, queste modificazioni interessano la diversità biologica dall’individuo all’ecosistema: esse possono minacciare direttamente la distribuzione, l’abbondanza, il comportamento, la morfologia e la genetica delle specie. Inoltre, possono agire indirettamente aumentando la competizione, la predazione, il parassitismo e favorendo le perturbazioni dell’habitat. Esse aggravano anche problemi già esistenti come quello delle specie invasive e dell’urbanizzazione massiva, soprattutto delle coste.

Gli effetti del cambiamento in ambiente marino

Anche in ambiente marino si possono osservare gli effetti del cambiamento climatico sulla biodiversità e su altri fenomeni di comunità e di habitat. Tra questi ricordiamo le onde di calore estive, l’espansione di specie termofile, cioè con affinità per il caldo, l’invasione di specie aliene tropicali, e l’ acidificazione marina, studiata in Italia in particolari osservatori naturali, cioè in sistemi di emissione sommersa di CO2 presenti in alcune aree costiere di origine vulcanica.

Onde di calore e mortalità di massa

Un fenomeno sempre più evidente nei nostri mari è l’aumento delle temperature superficiali massime estive dell’acqua, con vere e proprie anomalie termiche tardo-estive che provocano un abbassamento in profondità del termoclino stagionale, cioè la zona di discontinuità termica tra le acque calde superficiali e quelle profonde più fredde.
Si parla per queste anomalie di onde di calore (heat-waves), rilevate con una notevole intensità nel 1999, nel 2003 e nel 2009 soprattutto nel Mar Ligure e nel Mediterraneo nord-occidentale. In concomitanza con le onde di calore sono stati osservati fenomeni di mortalità di massa di diversi invertebrati marini, quali spugne, ascidie, antozoi, bivalvi, e soprattutto gorgonie (ventagli di mare) che sono tra gli organismi più vulnerabili alle temperature elevate. Solo lungo le coste campane sono stati rilevati ben 4 episodi di onde di calore tra il 2002 e il 2009, con relativi episodi di mortalità estesa che hanno portato a estinzione locale le popolazioni di alcune specie di gorgonie.

Un mare sempre più tropicale

Ma non sono solo le temperature superficiali estive delle acque a crescere: salgono anche quelle minime invernali. Le coste settentrionali della Campania, in particolare nell’area tra le isole Flegree (Ischia, Procida e Vivara) e le Pontine (Ventotene e Ponza), rappresentavano ino a circa 30 anni fa un “conine geografico-climatico” nel Tirreno centrale, cioè una zona in cui molte specie fermavano la propria distribuzione ed erano sostituite da altre specie adattate a condizioni climatiche differenti.
Il conine climatico del Tirreno centrale dipende dal fatto che proprio in quest’area si collocava l’isoterma (cioè la linea che unisce i punti a eguale temperatura marina superficiale) minima invernale di temperatura dei 14 °C. Questo conine adesso sembra spostato più a nord, e in effetti in quest’area la temperatura minima invernale tende a non scendere al di sotto dei 15 °C.
Lo spostamento del conine provoca a sua volta lo spostamento verso nord di specie termoile che prima erano confinate nelle zone meridionali del Mediterraneo.

Qualche esempio: il madreporario arancione Astroides calycularis, i molluschi Echinolittorina punctata e Stramonita hamastoma (da cui si estrae la porpora), e varie specie di pesci, come il barracuda mediterraneo o la donzella pavonina. Non solo: anche specie provenienti da aree tropicali contigue al Mediterraneo – per esempio il pesce pappagallo atlantico – riescono ora a insediarsi nel "nostro" mare, dove arrivano utilizzando vie “naturali” di passaggio quali lo stretto di Gibilterra. Contemporaneamente assistiamo all’invasione del Mediterraneo da parte di specie aliene di origine tropicale che sono state introdotte con vettori artificiali mediati dall’uomo, per esempio dal Mar Rosso attraverso il canale di Suez (migrazione lessepsiana).
Al momento, oltre 150 specie tra piante acquatiche, invertebrati e pesci sono considerate non-indigene per le coste italiane, e oltre 450 per il Mediterraneo in generale. La maggior parte di queste sono ad affinità tropicale e aumentano di anno in anno. Tale fenomeno, definito tropicalizzazione del Mediterraneo, sta alterando la biodiversità, la biogeografia e l’ecologia complessiva del bacino del Mare Nostrum. Il raddoppio del Canale di Suez e del conseguente traffico navale rappresenta un potenziale rischio di ulteriore lusso di alieni nei nostri mari.

Acque acide

Più CO2 in atmosfera non significa solo riscaldamento globale. In ambito marino, l’altra faccia del problema è rappresentato dall’ acidificazione delle acque. In effetti, uno dei siti di accumulo della produzione antropica di CO2 è proprio l’ambiente marino, dove questo gas si dissolve per formare acido carbonico e ioni liberi H . Sebbene l’acqua di mare tamponi questo processo chimico, l’acidità dell’ambiente marino sta aumentando, con un incremento del 30% di H – pari a un abbassamento di 0,1 unità del pH – dall’era industriale a oggi (il pH normale medio delle acque marine è tra 8,2 e 8,1). Questo fenomeno è conosciuto come acidificazione degli oceani. È stato stimato che se l’uso di combustibili fossili continuerà con i ritmi attuali, entro il 2100 l’abbassamento del pH nell’ambiente marino sarà addirittura di 0,3-0,4 unità. Considerando che il pH rappresenta il logaritmo negativo della concentrazione degli ioni H, la variazione anche di pochi decimi di unità presuppone livelli preoccupanti di acidificazione rispetto ai livelli normali del mare.

Ischia, laboratorio naturale per lo studio dell’acidificazione marina

L’acidificazione rappresenta un ulteriore rischio e fattore di stress per l’ambiente marino, minacciando specie ed ecosistemi, soprattutto quelli costituti da organismi a guscio o scheletro calcareo, come coralli, banchi di molluschi e biocostruttori calcarei in genere. Per valutare gli effetti a medio e lungo termine dell’acidificazione marina si può studiare il fenomeno all’interno di veri e propri laboratori naturali rappresentati da aree di origine vulcanica in cui si producono emissioni sommerse di CO2. Uno di questi siti si trova proprio in Italia, sull’isola d’Ischia, ben conosciuta ino dall’antichità per la sua origine vulcanica e l’attività vulcanica e tettonica ancora oggi in corso è testimoniata dalle famose acque e fanghi termali e dalla presenza di fumarole emerse e sommerse. L’isolotto del Castello aragonese, lungo la costa nord-orientale di Ischia, rappresenta un edificio vulcanico che è collegato all’isola da una strada; nelle acque del fondale attorno all’isolotto si osserva, fino a 3 metri di profondità, un fenomeno unico nel suo genere: una continua e intensa emissione di gas composto per il 95% da diossido di carbonio, senza tracce di gas tossici (solfuri o metano), che fuoriesce alla stessa temperatura delle acque circostanti. Infatti, tra l’isolotto e le coste dell’isola maggiore è presente una frattura della crosta terrestre (faglia) che permette al gas accumulato dall’attività vulcanica sotterranea di fuoriuscire.
Il sito del Castello, una finestra unica sul futuro degli oceani che ci permette oggi di osservare e capire/prevedere gli effetti a lungo termine dell’acidificazione marina su organismi e habitat/ecosistemi.

Vivere in condizioni di maggiore acidità

Il diossido di carbonio emesso provoca un’acidificazione naturale delle acque marine, cioè un abbassamento del pH che dai valori normali per le acque mediterranee pari a 8,12 rilevati nelle zone lontane dalle emissioni, si abbassa ino a valori al di sotto di 7,3 nelle zone a maggiore emissione di bolle: valori, questi ultimi, che sono critici per molti organismi. Nelle aree di emissione ridotta si osservano invece valori di debole acidità (7,8), simili a quelli predetti per la ine di questo secolo. L’acidificazione marina provoca un forte stress per molti organismi marini, dovuto ai costi energetici per la regolazione degli equilibri acido-base in cellule e tessuti, o ai processi di calcificazione per gli organismi che hanno strutture calcaree. Nelle aree acidificate si osserva quindi una forte selezione tra gli organismi marini, con molti “perdenti” e pochi “vincitori”, organismi cioè più tolleranti e in grado di vivere a condizioni di acidificazione anche elevata, al punto che nelle aree più acidificate (pH< 7,4) rimane soltanto il 25% circa delle specie presenti nelle zone a pH normale.

Tra i perdenti troviamo la maggior parte delle specie che presentano strutture calcaree, quali molluschi, echinodermi, policheti tubicoli calcarei, e briozoi. Tra i “vincitori”, dominano alcune macroalghe e la pianta marina Posidonia oceanica, per cui la CO2 rappresenta una delle specie chimiche che entra nel processo della fotosintesi, e quindi ne favorisce la crescita. Le specie algali dominanti appartengono ad alghe brune (es. Dictyota, Halopteris, Sargassum), verdi (Caulerpa, Cladophora) e rosse (Hildebrandia, Asparagopsis). Alle macroite sono associati numerosi piccoli invertebrati, soprattutto vermi policheti, piccoli crostacei (peracaridi) e molluschi.Tra gli animali di dimensioni più grandi e che possono tollerare modesti livelli di acidificazione (pH 7,7-7,8) sono comuni i ricci di mare, i denti di cane (balani) e le patelle, anche se queste ultime presentano evidenti segni di erosione della conchiglia dovuto alle condizioni del basso pH. Tra i pesci, l’erbivora salpa costituisce banchi di numerosi individui che brucano sul denso manto fogliare di Posidoniae nelle aree più acidificate.

Per approfondire online

 

Maria Cristina Gambi è laureata in scienze biologiche ed è primo ricercatore alla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli. Si occupa di vari temi di ricerca, tra i quali sistematica, evoluzione ed ecologia dei vermi policheti, interazione tra vegetali e invertebrati, ed effetto del cambiamento climatico sul biota bentonico.