L’invenzione dei quaternioni
Cercò a lungo, fino a che non ebbe un’illuminazione. Si narra che il 16 ottobre 1843 passeggiasse con la moglie sul Broom Bridge a Dublino, ascoltandola come sempre distrattamente. In quel momento ebbe una folgorazione, si fermò, tirò fuori dalla tasca un coltellino e incise sulla balaustra del ponte alcune formule. Oggi non c’è traccia di quell’incisione, ma se andate a Dublino potrete trovare sul ponte una targa che commemora questa famosa illuminazione matematica.
Hamilton aveva compreso che, per descrivere le rotazioni nello spazio, non gli sarebbero bastate tre dimensioni. Immaginò quindi di poter disporre di ben tre numeri con la proprietà di avere quadrato uguale a –1. Il primo di questi numeri è la vecchia unità immaginaria, ossia il numero complesso i. Gli altri due Hamilton li chiamò j e k. Usando i, j e k si può dar vita a un intero mondo di nuovi oggetti del tipo q = a + bi + cj + dk, dove a, b, c e d sono ordinari numeri reali. Hamilton chiamò numeri di questo tipo quaternioni, perché sono formati in generale da quattro tipi di addendi (un numero, un multiplo di i, un multiplo di j e un multiplo di k). I quaternioni costituiscono un insieme di oggetti matematici astratti per il quale sono definite delle regole di composizione (ossia di somma, di prodotto e di moltiplicazione per un numero reale). La regola principale – quella che Hamilton incise sul ponte di Berlino – descrive come si moltiplicano fra di loro i “costituenti di base”, cioè i, j e k:
i2 = j2 = k2 = –1 e ij = –ji = k, ik = –ki = –j, jk = –kj = i.
Operazioni “speciali”
Come si fanno le operazioni con i quaternioni?
Dati due quaternioni q1 = a1i + b1j + c1k + d1 e q2 = a2i + b2j + c2k + d2, la loro somma è semplicemente
q1 + q2 = (a1i + b1j + c1k + d1) + (a2i + b2j + c2k + d2) = (a1 + a2) i + (b1 + b2) j + (c1 + c2) k + (d1 + d2)
Per ciò che riguarda il prodotto ci vuole invece un po’ di pazienza. Tenendo presenti le regole che Hamilton scrisse sul Broom Bridge, si ottiene
q1 ∙ q2 = (a1i + b1j + c1k + d1) ∙ (a2i + b2j + c2k + d2) =
= a1i ∙ (a2i + b2j + c2k +d2) + b1j ∙ (a2i + b2j + c2k + d2) + c1k ∙ (a2i + b2j + c2k + d2) + d1 (a2i + b2j + c2k + d2) =
= - a1a2 + a1b2k + a1c2(-j) + a1d2i + b1a2(-k) + b1b2(-1) + b1c2(i) + b1d2j + c1a2(j) + c1b2(-i) + c1c2(-1) + c1d2k + d1a2i + d1b2j + d1c2k + d1d2 =
= - (a1a2 + b1b2 + c1c2 - d1d2) + (a1d2 + b1c2 - c1b2 + d1a2) i + (-a1c2 + b1d2 + c1a2 + d1b2) j + (a1b2 - b1a2 + c1d2 + d1c2) k
Da questi calcoli con i quaternioni scaturiranno, nei decenni successivi all’opera di Hamilton, i concetti e le definizioni di prodotto scalare e prodotto vettoriale che usiamo normalmente per i vettori dello spazio. Per illustrarlo attraverso un esempio semplice, possiamo considerare i due quaternioni presi sopra e porre d1 = d2 = 0. In questo caso, si vede che il calcolo precedente conduce a:
q1 ∙ q2= - (a1a2 + b1b2 + c1c2) + (b1c2 - c1b2) i + (-a1c2 + c1a2) j + (a1b2 - b1a2) k
Se q1 e q2 fossero due vettori rappresentati come al solito in R3, questo prodotto non sarebbe altro che la differenza fra il loro prodotto vettoriale e il loro prodotto scalare.
Regole che non valgono più
Ora, da quando eravamo in seconda elementare ci hanno assicurato che la moltiplicazione è un’operazione commutativa. Ebbene, in questo nuovo insieme di numeri non è così: anzi, se si cambia l’ordine con cui si esegue una moltiplicazione tra due unità, questa darà come risultato il valore opposto a quello iniziale. L’idea di staccarsi dalle regole tradizionali venne a Hamilton riflettendo proprio sulle rotazioni nello spazio: se si considera, per esempio, un segmento sull’asse x dello spazio tridimensionale e lo si ruota di 90 gradi prima rispetto all’asse y e poi a quello z, il risultato è l’opposto di quello che si otterrebbe invertendo l’ordine delle rotazioni. Infatti, la composizione tra rotazioni nello spazio non è, in generale, commutativa. Pertanto, se i quaternioni dovevano descrivere (anche) le rotazioni nello spazio, bisognava lasciar loro la libertà di comporsi in modo non commutativo.
Dalla pura fantasia alla vita quotidiana
L’algebra che ne viene fuori, ossia l’insieme di regole con cui si fanno operazioni tra i nuovi oggetti, taglia definitivamente il cordone ombelicale che legava i numeri al loro significato “concreto” e alle proprietà date per acquisite una volta per tutte. Osserviamo per esempio che, nell’ambito dei quaternioni, il “numero” –1 ha ben 6 radici quadrate, ovvero esistono sei quaternioni (±i, ±j e ±k) il cui quadrato fa –1. Anche in aritmetica (così come stava succedendo per la geometria, con la nascita delle cosiddette geometrie non euclidee), i matematici avocavano a sé il diritto di inventare oggetti la cui essenza è definita solo in base al loro comportamento. Tale comportamento viene stabilito convenzionalmente, seguendo solo fantasia e ispirazione.
Progressivamente si affermava l’idea che gli oggetti algebrici potessero anche non descrivere il mondo reale. Sul fatto che, poi, moltissimi degli oggetti nati dalla fantasia dei matematici si siano rivelati a distanza di tempo utilissimi a descrivere situazioni fisiche molto complesse, sarebbe interessante meditare. In ogni caso, questa tendenza della matematica incontrò molte opposizioni, e già da subito fiorirono critiche e ironie sull’opera di Hamilton. Questi, a ogni modo, a partire dal 1843 si dedicò ai soli quaternioni, abbandonando ogni altro studio. Alcuni mesi dopo la morte, avvenuta il 2 settembre 1865 all’età di sessant’anni, fu pubblicato un suo ponderoso volume di 800 pagine, dal titolo Elementi sui quaternioni. E dopo un secolo e mezzo possiamo affermare che Hamilton aveva visto giusto: la prossima volta che andate al cinema a vedere un film di animazione o comprate un videogioco nuovissimo, ricordatevi che oggigiorno né la robotica, né la computer graphics, né l’aeronautica possono fare a meno dei quaternioni di Hamilton, che sono gli strumenti più efficaci per descrivere le rotazioni nello spazio di un corpo tridimensionale.
Curiosità #1: Le difficoltà dei numeri “strani”
Quella dei numeri è una storia molto più lunga e articolata di quanto si potrebbe credere.
Basti pensare al fatto che all’epoca del Rinascimento – quando cioè il teorema di Pitagora aveva già compiuto 2000 anni – gli unici numeri che venivano considerati teoricamente “sicuri” erano i numeri naturali e i numeri razionali (o meglio, le frazioni). Anche i numeri negativi, che pure avevano fatto una prima tempestosa apparizione nella matematica greca, erano snobbati: il matematico italiano Gerolamo Cardano chiamava i numeri positivi “veri” e quelli negativi “finti”. Per non dire dei numeri irrazionali, che da due millenni portavano con sé quell’aura di inaffidabilità che tanti guai aveva creato a Pitagora. Solo nel Seicento, grandi matematici come Galileo e Newton dettero ai numeri negativi la stessa dignità degli altri numeri e Cartesio li utilizzò in modo indispensabile per la rappresentazione dei punti sul piano. Per una teoria rigorosa dei numeri irrazionali bisognerà invece aspettare il XIX secolo.