Didattica metacognitiva e sguardi all’interno della classe

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Una modalità di insegnamento per "imparare a imparare"

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Il presente contributo si propone di esplorare il termine “didattica metacognitiva” nel suo significato per poi osservare – dietro all’etichetta per addetti ai lavori e senza alcuna pretesa di esaurire le innumerevoli implicazioni suggerite dall’espressione – le straordinarie potenzialità di questo approccio rispetto agli atteggiamenti che conducono al successo formativo.

di Laura Papetti

Si parla molto, oggi, di didattica metacognitiva. Il termine è tecnico e, ad ascoltarlo nella sua cacofonia, parrebbe pensato per un uso esclusivo da parte di docenti, formatori, educatori o appassionati del settore. Ma se andiamo a vedere di che cosa si tratta scopriremo che c’è di più e ci sono i presupposti per pensare al nostro lavoro come a un’occasione di godere da vicino della straordinaria natura dell’essere umano.
La didattica metacognitiva è una modalità di insegnamento che mira a promuovere in chi apprende la capacità di "imparare a imparare", una delle più interessanti competenze-chiave per l’apprendimento permanente individuate a livello comunitario, in Europa, già nella Raccomandazione del 2006 e ratificata in un testo che contestualizza meglio il suo significato con il nuovo documento emesso il 22 maggio 2018, con l’obiettivo di sostenere percorsi formativi, metodologie didattiche e ambienti che possano promuovere lo sviluppo autonomo di organizzazione degli apprendimenti e un’efficace autoregolazione dei propri processi cognitivi.
Un approccio didattico di questo tipo richiede una riflessione critica sui processi cognitivi di chi impara: dalla modalità di ricerca delle informazioni, alla memorizzazione, all’organizzazione delle conoscenze, alla capacità di sintesi… in modo che ognuno diventi consapevole delle proprie caratteristiche e assuma gradualmente in prima persona un controllo operativo del proprio percorso di apprendimento.

Per intraprendere un percorso di didattica metacognitiva i docenti devono prima di tutto garantire che siano acquisite conoscenze e abilità di base (abilità di calcolo, lettura, utilizzo base delle TIC, ma anche capacità di lavorare in gruppo, capacità di autovalutarsi…), per lavorare poi, ma molto presto nel percorso, sulle capacità di ciascuno studente di conoscere se stesso e fare leva sulle proprie caratteristiche per costruire nuove conoscenze, nuove abilità, e metterle in gioco in contesti via via più complessi e nuovi, entrando così nella sfera delle competenze.

Si tratta di un arduo (ma entusiasmante) lavoro per i docenti, chiamati a garantire il successo formativo di ciascuno studente, che implica anche, come esplicitano i documenti comunitari, lavorare sugli atteggiamenti degli studenti nei confronti dell’apprendimento e sulla loro volontà di riuscire.

Concentriamoci per un momento su questa variabile, una fra tante, come abbiamo visto. La promozione degli atteggiamenti essenziali per il raggiungimento del successo formativo, atteggiamenti che potremmo riassumere come costruttivi rispetto al tema dell’imparare, ad esempio:

  • Il desiderio di riuscita;
  • la capacità di perseverare di fronte a cambiamenti e difficoltà lungo il percorso;
  • la capacità di scomporre problemi complessi in problemi meno complessi, più “gestibili” nel tempo e nel livello di difficoltà;
  • la curiosità di andare oltre gli ambiti già conosciuti di applicazione degli apprendimenti per intraprendere nuove sfide e cimentarsi in situazioni sconosciute.

Uno degli elementi che ritengo più preziosi di una didattica orientata alla promozione dell’“imparare a imparare” è la delega, cioè l’affidare il percorso nelle mani di chi lo sta vivendo, ponendosi a supporto, a mediazione, ad accompagnamento, ma non a responsabile. Per poter realizzare questo passaggio così importante, però, bisogna che il percorso sia compreso da chi lo sta affrontando e ritenuto utile, sensato, ricco di significati che vale la pena conoscere. Ecco perché lavorare a compiti significativi e complessi è sempre preferibile rispetto al lavorare prevalentemente con modalità esercitative.

Può apparire banale, ma il desiderio di riuscita è uno dei motori più importanti per il successo formativo.
Molti degli studenti che potremmo descrivere come “losers”, ovvero quelli destinati a perdersi, a rimanere indietro, a non avere successo, sono troppo spesso perdenti soprattutto perché hanno già disinvestito nella scuola quando noi ci accorgiamo che li stiamo perdendo. E non c’è rianimazione didattica che possa tamponare l’emergenza se non quella che solo loro possono mettere in atto.

Proviamo a riflettere sulla nostra quotidianità e a chiederci:

  • Perché non mangiamo ogni giorno esattamente il cibo di cui abbiamo bisogno per un ottimale equilibrio nutrizionale?
  • Perché non facciamo delle nostre giornate una perfetta gestione del tempo con una sapiente organizzazione di ogni suo minuto?

Forse perché non ne siamo capaci. Forse.
Ma più probabilmente perché non ne abbiamo voglia. E sappiamo bene che mangiare non può ridursi a una dieta e che la vita vera è fatta di strappi alla regola, di piaceri rubati, così come i nostri giorni hanno bisogno anche di tempo perso e rincorse affannate.
Analogamente, la scuola non può essere percepita principalmente come luogo dell’esercizio. Può e deve certamente contenere esercizi, ma deve anche contenere il senso dell’imparare, un vago aroma di quello che di straordinario può accadere se si conosce, se si è abili, se si è competenti.

Promuovere l’imparare ad imparare non può dunque risolversi nell’insegnamento di tecniche e strategie, nemmeno fossero queste perfettamente studiate per ogni singolo alunno che ci troviamo di fronte. Significa prima di ogni cosa accogliere la persona, spendere tempo a conoscerla e a conoscere i suoi modi preferenziali di conoscere, a coglierne l’essenza, senza giudicare il fatto che possa fare fatica a seguire il grande gruppo, ma cercando di capire eventualmente i perché, e provando a intercettare i suoi desideri.
Forse ci accorgeremo che per quello studente che siede curvo e svogliato in ultimo banco, che per quella bambina troppo irrequieta per ascoltare la spiegazione fino alla fine, che per quell’alunno che è sempre distratto e dimentica tutto, prima di ogni mappa, prima di ogni suggerimento e prima di ogni tecnica mnemonica serve la nostra fiducia che abbia in sé le risorse per diventare grande, per realizzare un suo desiderio profondo, per portare fuori, alla luce, la sua straordinarietà.

 

Laura Papetti è autrice e consulente editoriale per Pearson Italia. Attualmente insegna alla scuola primaria nella provincia di Monza e della Brianza. Ha insegnato per diversi anni inglese in scuole di diverso ordine e grado. È coautrice, insieme a Donatella Santandrea, della guida di Pearson Italia dedicata ai docenti di Scuola primaria Let's start CLIL, è autrice insieme a Sonia Sorgato del nuovo progetto di volumi per le vacanze Accendi l'estate, Pearson Italia 2019.