La scuola e la fase del “dunque”

Il momento di congegnare modalità nuove per stare in relazione

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Vogliamo condividere con voi docenti alcune riflessioni sulla grande occasione che si profila in questi mesi per il nostro settore: non è il momento, per la scuola, di una fase 2, che di fatto non c’è. Serve invece una fase che accolga quanto è accaduto fin qui e sappia farne tesoro: la chiameremo la fase del “dunque”, nella quale trasformare le incertezze in sfide concrete, da cogliere per generare efficaci trasformazioni.

di Laura Papetti

 

La scuola non riaprirà prima di settembre, e nebuloso pare al momento essere anche il come riaprirà, con quali accorgimenti e quali vincoli. La Ministra dell’istruzione Azzolina aveva inizialmente parlato di un rientro a scuola con la metà degli studenti, mentre l’altra metà sarebbe stata collegata da remoto, per evitare l’affollamento delle aule; ad oggi questa proposta non è definitiva, né è emersa una modalità organizzativa alternativa: è chiaro che gli scenari ipotizzabili sono ancora in evoluzione.

Intanto, si prosegue con la didattica a distanza

Quello che vogliamo condividere con voi docenti con questa newsletter non sono polemiche né rammarichi, ma riflessioni sulla grande occasione che si profila in questi mesi per il nostro settore: è il momento, per la scuola, non tanto di una fase 2, che di fatto non c’è e che sembrerebbe, dal nome, porsi in antitesi o a superamento della fase 1; serve invece una fase che accolga quanto è accaduto nella fase 1 e sappia costruire a partire da essa: la chiamiamo allora la fase del “dunque”; una fase che vuole trasformare le incertezze in sfide concrete, da cogliere per generare efficaci trasformazioni.
Può e deve essere l’occasione per ripensare il dispositivo scolastico che abbiamo sempre abitato, dando spazio a un nuovo immaginario di che cosa può essere scuola: spazi informali che si accostano agli spazi formali, orari nuovi e nuove modalità, purché i bambini possano tornare a vivere la scuola al di là degli schermi. A molti sarà capitato infatti di sperimentare, proprio in questi giorni, che anche i bambini che si erano abituati e perfino entusiasmati di fronte alle nuove modalità di scuola on-line, magari emozionati per le riunioni “live” con maestri e compagni, ora mostrano in volto un po’ di frustrazione, perché un prolungamento senza orizzonte ben definito della DAD fa venire in mente che della scuola, quella “classica”, manca proprio tanto.
Eccoci allora a sostenere ancora una volta l’idea di utilizzare, come suggeriva Rodari, l’immaginazione come via per la conoscenza, e la creatività (di tutti noi, corpo docente e dei dirigenti) come “capacità di manipolare la realtà, di inventare storie, fare ipotesi e progetti.”

La riorganizzazione dei tempi e degli spazi della scuola, se da un lato fa nascere sconforto e preoccupazione nelle famiglie italiane, dall’altro sta generando nuove e forse più durature alleanze, nuove abitudini e possibilità. La compagnia della modalità “online” di fare scuola è uno scenario possibile e da prevedere anche nei prossimi mesi, alla ricerca, contemporaneamente, di sempre migliori equilibri tra le risorse che le tecnologie ci offrono e il bisogno di guardarci negli occhi, ridere insieme, fare dibattito di persona, lavorare fianco a fianco. Stanno nascendo per esempio in questo “tempo fragile”, in una cornice di maggiori vicinanze tra docenti e famiglie, reti di genitori che si consultano, fanno aperitivi online parlando dei propri figli, di come motivarli, di come farli lavorare insieme a distanza, declinando in modo nuovo, vissuto e originale, quelle Indicazioni Nazionali per il curricolo che forse non hanno mai letto ma che ora entrano nella vita delle famiglie, in prima linea nel favorire l’esplorazione e la scoperta, nell’incoraggiare l’apprendimento dei propri figli, nel promuovere la consapevolezza di ogni bambino rispetto ai propri stili di apprendimento e alle proprie necessità. Le famiglie finalmente comunicano anche i propri limiti, i “non ce la faccio”, i “siamo preoccupati”, e in contesti di alleanza sbocciano anche i “ti aiuto io” o “possiamo sostenerci a vicenda”.

La fase “dunque” è anche il tempo in cui valorizzare ciò che di prezioso, irrinunciabile ci ha dato e ci sta dando la didattica con le nuove tecnologie, ma anche il momento di congegnare modalità nuove per stare in relazione, per far interagire i bambini, per fare dell’ambiente domestico un luogo di apprendimenti significativi, ora, in tempo di emergenza, ma anche con uno sguardo al futuro. Non vorremmo aver trovato straordinarie occasioni di apprendimento negli ambienti familiari e poi rinunciarvi una volta rientrati nell’ambiente scuola…
Cogliamo allora l’ipotesi di Paolo Mottana per pensare che possa prendere forma davvero un’“educazione diffusa”.

Scrive Mottana, capofila del movimento per un’educazione diffusa:

L’educazione diffusa vuole che i bambini e i ragazzi imparino dentro la società, nel suo complesso reticolo di opportunità, tutte da adattare naturalmente alla loro presenza ma che proprio per questo potrebbero mutare il volto del nostro mondo, rendendolo vivo, affettivamente denso e ricco, improvvisamente colorato, fresco, spontaneo.

Ci immaginiamo che le condizioni di sicurezza cui sono e saranno sottoposti i nostri bambini possano accompagnare davvero verso una forma di educazione diffusa, che non andrà ad escludere o sostituire la scuola come centro propulsivo dell’imparare, ma al contrario ne valorizzerà gli elementi vitali, attraverso una tessitura sapiente, da parte dei docenti in primis, di occasioni per conoscere e acquisire competenze in un ambiente più variegato, ricco di stimoli, che coinvolga maggiormente le famiglie e i loro saperi, senza accantonare lo strumento-base della scuola, il libro di testo, con cui i bambini possono lavorare in autonomia, né quelle interazioni e riflessioni di gruppo che rendono insostituibile l’ecosistema scolastico.

È quindi il tempo di decentrare la scuola e porre i bambini a contatto con la realtà, a tu per tu con le faccende domestiche e in grado di intervenire, dire la loro, partecipare ai discorsi di famiglia e alle tematiche che riguardano il nostro presente, in un’alternanza tra momenti di apprendimento che possano vivere in autonomia e momenti condivisi in famiglia o con le persone di riferimento, grazie a schermi o meglio spazi aperti.

Senz’altro alla scuola è dato il compito di suggerire forme e modalità con cui continuare ad apprendere in questo tempo nuovo, in raccordo con le famiglie, certamente, ma anche a sostegno e sollievo del grande – seppur meraviglioso e appassionante – carico gestionale che le aspetta da qui a settembre.
Per questo motivo, può essere di aiuto che i docenti suggeriscano una scansione del tempo degli alunni che rispetti i ritmi familiari ma che tracci anche una cesura tra i momenti dedicati all’attività fisica, quelli dedicati allo svago (virtuale o meno), quelli destinati alle canoniche attività come scrivere, leggere e far di conto, e mille altre forme di apprendimento in spazio domestico, dagli esperimenti in cucina alle ricerche tra i libri polverosi e le fotografie dei bisnonni.

Il tempo sospeso rischia, con il suo prolungarsi non ben definito, di sfaldarsi e portare alla desolazione e al disorientamento. Facciamo in modo che la “cornice” della “fase 2” sia concreta, propositiva, incoraggiante e al tempo stesso chiara nella sua flessibilità. Facciamo del tempo che ci aspetta un tempo di cui ricordare passaggi importanti, tracciare sfide superate, ricordare piccoli traguardi conquistati, ma anche delineare nuovi percorsi e aprire spicchi di futuro.

 

Laura Papetti ha lavorato per anni come progettista editoriale nel settore delle lingue straniere e ha insegnato inglese a studenti di diverso ordine e grado. Oggi è docente di Scuola primaria nella provincia di Monza e della Brianza e collabora con Pearson Italia in qualità di autrice e consulente editoriale.

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