È possibile insegnare la Shoah nelle scuole? Ha senso dedicare ore di lezione per spiegare la storia della distruzione degli ebrei d’Europa ai ragazzi? Cosa rimane delle iniziative, dei progetti e dei viaggi della memoria nelle menti degli studenti? Sono domande tutt’altro che banali per chiunque lavori nelle scuole o nelle istituzioni (come il sottoscritto, che si occupa dei rapporti con le scuole all’interno della Fondazione Museo della Shoah di Roma) che trattano della memoria e della storia della Shoah. La frustrazione per l’apparente inutilità di ogni sforzo o tentativo, nonostante la buona volontà, l’entusiasmo e la fantasia dei docenti, può essere forte. La reazione e la risposta dei ragazzi possono essere decisamente disarmanti. Tuttavia, a volte, i risultati si rivelano molto soddisfacenti, facendo riprendere fiducia in chi deve confrontarsi con questo impervio compito. Le mie personali esperienze condotte nelle scuole di ogni ordine e grado, sia come tutor degli studenti impegnati nell’“Alternanza scuola-lavoro” che nei progetti con le classi, mi hanno spesso sorpreso in maniera estremamente positiva.
a) Che cosa sanno i ragazzi?
Ovviamente qui si sta parlando per generalizzazioni. Ogni studente ha le sue conoscenze e competenze, tuttavia si può dire che lo studente medio, anche dell’ultimo anno delle superiori, all’inizio dell’anno scolastico, sa molto poco.
Le nozioni, se ci sono, vengono soprattutto dal web, se i ragazzi hanno avuto tempo e voglia di fare un minimo di ricerca, o dal cinema, cioè dai film che vengono proposti in televisione o in classe in occasione del Giorno della Memoria. La conoscenza dell’Olocausto è molto superficiale. In termini stringati si può dire che, in linea di massima, conoscano Hitler, come il carnefice e Auschwitz, come unico luogo deputato allo sterminio degli ebrei.
Insomma la Shoah si colloca in un orizzonte mentale per gli adolescenti lontanissimo sia temporalmente che geograficamente. Ci sono dei “cattivi”, ovvero i nazisti, e delle vittime, un gruppo non ben definito di persone che vengono chiamate “ebrei”, e di cui si sa altrettanto poco. In pratica, è come parlare della Rivoluzione francese o di Garibaldi. Non si può dare assolutamente nulla per scontato quando si affronta questo argomento in classe.
Per superare sia l’insofferenza che l’indifferenza di parte degli studenti, bisogna, a mio parere, riuscire ad andare oltre la lezione frontale classica ed affrontare l’argomento soprattutto coinvolgendo gli alunni in progetti che li mettano direttamente a contatto con i documenti dei persecutori e le storie delle vittime, partendo dalle domande dei ragazzi.
b) Quali sono le domande più frequenti?
Quando si comincia a parlare di Shoah, i ragazzi (almeno a me) fanno sempre le stesse domande.
Cosa hanno fatto gli ebrei per meritarsi tutto questo? (versione politicamente corretta del “allora è vero che erano colpevoli di qualcosa!” Domanda fatta da studenti che vogliono provocare il docente, cosa che può succedere quando si hanno di fronte dei ragazzi “politicizzati”).
Perché dobbiamo parlare sempre della Shoah e non parliamo di altri genocidi? (ancora versione corretta della domanda “e le Foibe?”)
Perché gli ebrei non si sono ribellati?
È vero che il fascismo ha protetto gli ebrei?
c) Progetti e fonti per rispondere
Cosa hanno fatto gli ebrei per meritarsi tutto questo?
La domanda è tutt’altro che banale, ed anche se posta in tono polemico, bisogna evitare di liquidarla con l’argomento don’t blame the victims! Spesso, infatti, si risponde che non bisogna chiedere alla vittima di un crimine il perché del crimine stesso, ma al carnefice. La risposta lascia insoddisfatti ed è percepita come un artificio retorico.
Il libro più recente che ha affrontato l’argomento è quello di Gőtz Aly, Perché i tedeschi? Perché gli ebrei? Uguaglianza, invidia e odio razziale, 1800-1933 (Einaudi, Torino, 2013), che spiega l’odio antisemita di parte del popolo tedesco con l’invidia sociale verso una minoranza in forte ascesa sociale. Aly è considerato uno degli storici migliori al livello mondiale sulla storia della Shoah, e il suo testo è fondamentale per spiegare alcune dinamiche sociali che hanno portato all’Olocausto.
Una prospettiva totalmente diversa è quella del libro di Joshua Goldhagen, I volenterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocausto (Mondadori, Milano, 1997) che vede in un antisemitismo diffuso la ragione della violenza estrema e di massa della società tedesca dell’epoca.
Per far capire agli studenti la follia del genocidio del popolo ebraico, bisogna raccontare la perfetta integrazione degli ebrei europei nelle rispettive società. Si potrebbe ad esempio far svolgere una ricerca su alcuni ebrei italiani deportati o uccisi nel periodo 1943-1945. Un caso è quello dell’ammiraglio Augusto Capon, ufficiale pluridecorato durante la Prima guerra mondiale, poi ammiraglio di squadra e capo del servizio informazioni della Regia marina. Capon fu arrestato dai nazisti il 16 ottobre 1943 a Roma e deportato ad Auschwitz, dove morì. Capon è un esempio non solo della perfetta integrazione degli ebrei italiani nella società e nelle istituzioni italiane, ma anche e soprattutto del loro patriottismo e del loro contributo alla costruzione dello Stato unitario. Attraverso la figura di Capon si capisce come la persecuzione degli ebrei fosse una politica che non aveva nessuna ragione razionale (una biografia di Augusto Capon si trova nel catalogo della mostra a cura di Marcello Pezzetti, 16 ottobre la razzia, Gangemi, Roma, 2017).
Un altro esempio di progetto che i ragazzi possono svolgere è l’analisi di testimonianze video, come quelle pubblicate sul sito Memorie Ebraiche, del Centro di cultura della Comunità ebraica di Roma. Attraverso queste testimonianze, gli studenti possono approfondire la vita quotidiana degli ebrei durante il fascismo, e capire la loro piena integrazione nella società italiana nella prima metà del XX secolo.
Attraverso progetti di questo tipo, gli studenti possono dunque comprendere che le vittime non appartenevano ad un corpo separato dalla società dell’epoca, ma erano cittadini italiani, ed europei, esattamente come gli altri, e che l’ideologia dello sterminio nazista non aveva alcuna giustificazione politica, economica o sociale.
Perché dobbiamo parlare sempre della Shoah e non parliamo di altri genocidi?
Qui le risposte possono essere molteplici.
Per sintetizzare: studiamo la Shoah perché è un episodio della storia italiana. Migliaia di ebrei nostri concittadini sono stati deportati e uccisi, anche grazie alla collaborazione del fascismo e di tanti “italiani comuni”.
Una prospettiva potrebbe essere quella dell’analisi di testi e documenti che raccontino la persecuzione attuata dal regime fascista. In questo modo gli studenti possono capire che l’Olocausto è stato anche una pagina della storia italiana. Le vittime non erano solo polacche o tedesche, le vittime erano anche italiane e tra i carnefici che hanno collaborato alla deportazione e allo sterminio degli ebrei vi erano anche italiani.
A questo proposito si possono fare ricerche sulle statistiche dei deportati dall’Italia attraverso il sito del Centro di Documentazione Ebraica Contemporaneo (CDEC) e sui documenti della persecuzione prodotti dal fascismo. Nella sezione del sito del CDEC dedicato a “La Shoah in Italia” sono presenti numerosissime risorse che permettono di approfondire a piacimento l’argomento.
Per evitare di fermarsi ai numeri, si possono fare ricerche ad esempio sulle vittime di una determinata città, attraverso il sito curato dal CDEC I Nomi della Shoah Italiana, dal quale si possono avere appunto i nomi dei deportati. Attraverso la storia di alcune vittime, i ragazzi possono immedesimarsi non solo nelle vicende dei deportati, ma anche della città. Sapere che queste persone vivevano nella loro stessa città, frequentavano gli stessi ambienti, giravano per le stesse vie e le stesse piazze, può colpire molto gli studenti.
Sul sito di prossima pubblicazione I percorsi della Shoah, curato dalla Fondazione Museo della Shoah di Roma, sono contenute le sentenze contro i collaborazionisti italiani che hanno arrestato, tradito o deportato gli ebrei dall’Italia. In questo caso l’identificazione non è con la vittima, ma con il perpetratore. Il sito permette di ricostruire centinaia di storie di fascisti italiani che hanno contribuito allo sterminio degli ebrei d’Europa.
Un’altra risposta si può dare cercando di contestualizzare gli altri genocidi. Mentre la Shoah, infatti, non riesce a trovare una spiegazione “logica” che sia condivisa dagli storici, e rimane quindi per molti aspetti ancora un mistero, altri crimini, altrettanto orrendi ed odiosi, possono essere capiti e spiegati attraverso il contesto. Ad esempio il genocidio degli armeni è comprensibile se si conoscono le tensioni religiose all’interno dell’impero turco; i milioni di morti causati dalle criminali decisioni di Stalin si comprendono se si studiano le politiche economiche marxiste. La Shoah non ha alcuna spiegazione “razionale”. Le scelte naziste del 1943-1944 non avevano nulla di comprensibile, né dal punto di vista militare, né economico, né politico. Per rimanere nel panorama italiano, per spiegare il fenomeno delle Foibe si può raccontare l’occupazione italiana della Jugoslavia tra il 1941 ed il 1943. A questo proposito, a parte la ormai numerosa bibliografia - ad esempio L’occupazione allegra di Eric Gobetti (Carocci, Roma, 2005) -, si può proporre agli studenti il film Fascist Legacy, un documentario prodotto dalla BBC e disponibile in Rete. Ovviamente in tal modo non si intende giustificare il massacro di migliaia di italiani nelle caverne del Carso, ma comprendere: l’obiettivo è quello di spiegare le ragioni che portarono all’odio politico ed etnico che ha causato un tale orrore.
Perché gli ebrei non si sono ribellati?
L’immagine degli ebrei condotti alle camere a gas “come pecore al macello”, è un mito profondamente radicato nella memoria europea (e perfino, fino a qualche anno fa, in quella israeliana).
Le risorse migliori disponibili in Internet relative alla Resistenza ebraica in Europa sono sul sito del Memorial Museum di Washington, dove sono raccolte immagini e raccontate, tra le altre cose, le rivolte nei campi di sterminio e nei ghetti.
Il sito del Jewish Partisan Educational Foundation invece è espressamente dedicato agli ebrei nella Resistenza, ed è ricchissimo di risorse video.
Nel sito dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, infine, è possibile trovare numerosissime biografie di partigiani ebrei italiani.
Insomma approfondendo l’argomento, anche soltanto attraverso le risorse on line, è possibile sfatare il mito della “non resistenza” ebraica.
È vero che il fascismo ha protetto gli ebrei?
Il mito degli “italiani brava gente”, e di un fascismo “buono” rispetto ad un nazismo “cattivo”, è fortemente radicato nella memoria pubblica ed è un punto fondante dell’identità italiana.
La bibliografia sull’argomento è amplissima. Qui si può utilizzare il libro di Matteo Stefanori, Ordinaria amministrazione. Gli ebrei e la Repubblica Sociale Italiana (Laterza, Bari-Roma, 2017), che racconta la persecuzione fascista nel periodo 1943-1945 e fornisce il necessario quadro di riferimento. Un altro libro fondamentale per capire le origini del mito è quello di Filippo Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, (Laterza, Roma-Bari, 2013).
Anche in questo caso il sito del CDEC, con il suo ricchissimo database di documenti della persecuzione amministrativa, è utile per comprendere quanto le leggi del 1938 siano state dure, e quanto la vita degli ebrei italiani sia in quel contesto diventata impossibile. Incrociando queste fonti con le interviste dei testimoni, si può avere un quadro abbastanza preciso della persecuzione fascista. Si possono a questo proposito anche proporre i film Concorrenza sleale di Scola oppure La finestra di fronte di Ozpetek.
Due documentari molto belli basati sulle testimonianze orali sono Memoria di Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto (disponibile anche sul sito del CDEC) e La Razzia. Roma 16 ottobre 1943, sempre di Marcello Pezzetti.
Infine il già citato sito Percorsi della Shoah fornisce un quadro abbastanza ampio del collaborazionismo fascista durante il periodo dell’occupazione nazista.
In conclusione. Gli argomenti, i metodi e le fonti sono molto numerosi ed è possibile suscitare l’interesse dei ragazzi, soprattutto se si mettono a confronto con progetti che possano sviluppare in maniera autonoma.