L’infanzia e la formazione
Esther (per tutti Etty) Hillesum nasce il 15 gennaio 1914 a Middelburg, nella regione olandese dello Zeeland, in una famiglia della borghesia ebraica agiata. Il padre era insegnante di greco e latino; la mamma, di nazionalità russa, era giunta in Olanda per sfuggire a un’ondata di pogrom. A Deventer, dove la famiglia si trasferisce per l’incarico paterno al ginnasio cittadino, Etty vive un’infanzia serena coi fratelli Mischa e Jaap, entrambi molto dotati: il primo già a sei anni suonava in pubblico i grandi classici, mentre il secondo scoprì un nuovo tipo di vitamina quando era ancora studente di medicina. Etty, a sua volta, si laurea in giurisprudenza nel 1939 e, pur nelle difficoltà crescenti dopo l’inizio dell’occupazione tedesca, continua a coltivare lo studio di altre discipline: si iscrive alla facoltà di Lingue slave, si avvicina alla psicologia e alla filosofia. Quando inizia - nel marzo del ’41- a tenere il suo diario, Etty non sa che sarebbe diventato l’importante opera letteraria che desiderava scrivere per affermarsi come scrittrice. Vive come coinquilina del contabile Han Wegerif, di cui diventa l’amante, insieme a una cuoca tedesca di fede cristiana, che per lei è quasi una seconda madre, una studentessa ebrea di Amsterdam, un vecchio socialdemocratico piccolo-borghese (come lo definisce Etty), e infine il figlio del padrone di casa, anch’egli cristiano: una piccola, strana comunità che, secondo Etty, valeva la pena di tenere insieme «per testimoniare che la vita non può essere rinchiusa in uno schema determinato»1.
Nel febbraio 1941 ha avuto un incontro, che si rivelerà per lei decisivo dal punto di vista affettivo ma soprattutto spirituale, con Julius Spier (1887-1942): ebreo tedesco, ex direttore di banca e studioso appassionato di psicologia, è oggi considerato il fondatore della psicochirologia, la disciplina che studia i tratti del carattere umano attraverso l’analisi della mano. Lo studioso si era avvicinato a Carl G. Jung a Zurigo per il suo personale training analitico, per riceverne poi la conferma a fare della psicochirologia la sua professione. Da tutti ritenuto una personalità “magica”, Spier diviene per Etty un maestro nella ricerca spirituale, ordinando e catalizzando in lei energie psichiche profonde. Nella sua famiglia di ebrei assimilati e secolarizzati, Etty non aveva ricevuto nessuna educazione religiosa; erano stati semmai i suoi studi e la rete delle amicizie ad avvicinarla alle domande della fede.
La scelta di Etty
Grazie a Spier, invece, che lei stessa definisce «ostetrico» della sua anima, affronterà un profondo percorso di ricerca spirituale, intessuto di psicologia del profondo, filosofia e religiosità di radice giudaico-cristiana. In questo percorso Etty riuscirà a trovare risposte al suo bisogno di unificazione delle forze dell’anima, alla questione del male nella storia nel contesto della Shoah e alla ricerca dell’assoluto, fino a orientarsi verso una scelta di totale dedizione agli altri come traduzione della conquistata vita interiore. Nel corso dell’estate del ’42, infatti, matura progressivamente la convinzione che non abbia alcun senso cercare scappatoie o combattere per la mera autoconservazione, ma che si debba piuttosto «rimanere con gli altri e cercare di essere per loro quel che ancora siamo in grado di essere»2. Nel sentimento di non poter continuare a vivere se le fosse «risparmiato ciò che tanti devono invece subire»3, sceglie di assumere fino in fondo il destino del suo popolo e si offre volontariamente come assistente sociale presso l’ospedale del campo di smistamento di Westerbork, dove lavora per circa un anno.
Il 7 settembre ’43 è caricata assieme ai genitori e al fratello Mischa su un treno diretto ad Auschwitz; fa però in modo di non salire sullo stesso vagone dei famigliari per raccogliersi un’ultima volta, sola con se stessa. Muore ad Auschwitz-Birkenau il 30 novembre 1943.
Il contesto storico: l’Olanda occupata
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale l’Olanda afferma nuovamente la propria neutralità, pur preparandosi a difendere i confini. Nel maggio del ’40 l’attacco tedesco sul fronte occidentale porta alla rapida invasione del paese, senza che il governo olandese riesca ad attuare il progetto di allagamento dei territori nel triangolo Amsterdam-Rotterdam-l’Aja, previsto come extrema ratio: in quattro giorni le truppe tedesche conquistano il paese, sottoponendolo al comando di un commissario del Reich, col supporto della polizia tedesca e delle SS. Mentre la famiglia reale e il governo si recano in esilio in Inghilterra, i segretari generali dell’amministrazione, capi permanenti dei ministeri, almeno inizialmente sono indotti a collaborare con gli occupanti ed è così che vengono emanate una serie di disposizioni segreganti come l’esclusione degli ebrei dagli impieghi pubblici e il lavoro obbligatorio in Germania. Altri organi dello stato risultano anche più acquiescenti nei confronti dei comandi nazisti, tanto che la Corte suprema sarà destituita dal governo in esilio; in generale, oltre la collaborazione esplicita, fino al ’43 sembra prevalere tra la popolazione un silenzio accomodante per salvaguardare la normalità. Ciò non significa che manchino totalmente le iniziative anticollaborazioniste e antinaziste, come ad esempio il primo sciopero antipogrom che la storia europea ricordi, organizzato ad Amsterdam tra il 25 e 26 febbraio 1941. Tra il ’42 e il ’43 sorgono poi i Gruppi combattenti nazionali, il Consiglio della resistenza e, nell’estate del ’44, un organismo ramificato nazionalmente come il Comitato supremo della resistenza; dopo lo sbarco alleato sulle coste olandesi, la ritirata tedesca inizia nel novembre del ’44.
Il Consiglio ebraico e il trasferimento a Westerbork
Mentre le autorità naziste predispongono la macchina della deportazione verso i campi di sterminio dell’Est, gli ebrei olandesi vivono la situazione come una realtà senza via di scampo, dove tutto, a partire dalla struttura geografica del paese, congiura contro di loro, con il mare a ovest e a nord, una frontiera in comune con il Reich e una col Belgio occupato. Ad Amsterdam si creano tre quartieri-ghetto in cui viene concentrata circa la metà degli ebrei olandesi; dall’aprile del ’42 è imposto l’obbligo di portare sugli abiti la stella gialla di David e dal luglio dello stesso anno si avviano le deportazioni in massa. Come in altre zone occupate, l’amministrazione nazista impone ad Amsterdam la creazione di un Consiglio ebraico (la cui competenza è progressivamente estesa a tutto il territorio nazionale), che ufficialmente deve stabilire quali siano gli idonei ai campi di lavoro, ma che in realtà è pensato per godere di una collaborazione ebraica nell’esecuzione degli ordini impartiti per il “trasferimento a Est”, lasciando la maggior parte dei destinatari nella generale ignoranza del destino che li attende. Diretto da venti ebrei facoltosi, tra cui anche membri dell’organizzazione sionista, con centinaia di impiegati al proprio servizio, il Consiglio ebraico diventa una struttura grazie alla quale molti pensano di poter evitare il peggio.
Su pressione degli amici, anche Etty nel luglio del ’42 vi ottiene un incarico come dattilografa presso l’ufficio degli affari culturali, ma vi rimane solo due settimane, potendo toccare con mano l’assurda ottusità dei colleghi di fronte al dramma con cui convivevano, occupati ad organizzare quanto serviva alla macchina nazista, «ciecamente ottimisti» per la loro singola persona e perfino ambiziosi per il loro impiego. Prima di essere smistati nei campi di sterminio, tutti gli ebrei olandesi arrestati nei rastrellamenti vengono raccolti nei campi di Westerbork e Vught, già costruiti per ospitare ebrei tedeschi in fuga dal regime prima dello scoppio della guerra. Nel campo di smistamento di Westerbork fanno così l’ultima fermata prima dello sterminio più di 100.000 ebrei olandesi, ed è qui che Etty trascorre l’ultimo anno della sua vita. Ormai «in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo, senza soccombere», durante un primo ampio rastrellamento nell’agosto del ’42 decide di andare a portare una testimonianza di amore «in mezzo al dolore e alle preoccupazioni di questo tempo»4.
Intuizioni di una spiritualità “femminista”
In tutti i paesi occidentali, e in Olanda in modo particolare, a partire dall’emancipazione giuridica, le donne ebree hanno conosciuto tra Otto e Novecento processi più ampi e più rapidi di emancipazione personale rispetto alle donne appartenenti alla chiesa cattolica o alle chiese evangeliche e spesso anche alle concittadine non appartenenti a nessuna fede religiosa.
Etty stessa lo dimostra con il suo stile di vita, uscita di casa per gli studi universitari, presto coinvolta in relazioni affettive del tutto irregolari, libera di fare scelte senza un’autorità maschile a orientarla o “tutelarla”. Eppure, nel suo percorso di ricerca spirituale Etty arriva a pensare che forse la vera, la sostanziale emancipazione femminile deve ancora cominciare. La questione fondamentale, infatti, è che «dobbiamo ancora nascere come persone, la donna ha questo grande compito davanti a sé»5. Le donne vivono insomma ancora troppo la dimensione della concretezza e della corporeità, ancora troppo poco quella dell’astrattezza e dello spirito; il loro centro di gravità è ancora l’uomo singolo e non il mondo intero. Si tratta di un cammino da fare, secondo Hillesum, senza far violenza alla natura femminile: è quindi la trasformazione dell’amore verso un uomo in un amore davvero grande. Trasformazione che possiamo dire si sia mostrata in lei a Westerbork, dove la ricerca di Dio appresa dall’amato Spier diviene amore «per tutti quelli che potrò raggiungere»6.
Una nonviolenza attiva
Pur vivendo con estrema concretezza e lucidità la tragedia storica in corso, Etty si convince progressivamente che lavorare su se stessi, sviluppare la propria interiorità non sia una forma d’individualismo «malaticcio» ma una precondizione necessaria a qualsiasi azione che voglia interrompere la catena del male: la pace futura potrà essere costruita - secondo Hillesum - solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso. Non si tratta di negare i sentimenti umani negativi come l’odio, si tratta piuttosto di saperli trasformare in qualcosa di diverso, di sapersi liberare dall’ostilità contro il prossimo, dando voce a «quel pezzetto di eternità che ci portiamo dentro». E per poter fare questo - come per primo le aveva detto Spier - basta davvero poco: «basta che esista una sola persona degna di essere chiamata tale per poter credere negli uomini, nell’umanità»7. Da questo punto di vista, quindi, anche gli ebrei hanno un compito, secondo Hillesum, che è quello di liberarsi del grande odio verso i tedeschi che stava avvelenando i loro cuori; e poi offrirsi umilmente come «campo di battaglia» per i problemi del proprio tempo.
L’alleanza con Dio
Il centro di tutto è il suo intimo rapporto con Dio. Un Dio che dapprima identifica come la parte più profonda della sua anima e successivamente diviene sempre più il Dio dell’Antico ma anche del Nuovo Testamento, agostinianamente origine e fonte della sua illuminazione interiore: «Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto»8. Come non c’è dubbio per lei che Dio sia amore, così la sua capacità d’amare gli altri deriva dal vedere in ognuno «un pezzetto di te, mio Dio»9.
Al contrario di altri, la Shoah non porta Hillesum ad interrogarsi sul silenzio di Dio, ma a porsi in silenzio davanti agli enigmi della storia con la forza di affrontarli, con la capacità di portarne il peso e di convertirne il significato. In una prospettiva prossima al misticismo, i suoi scritti mostrano la convinzione che Dio non possa aiutarci, ma che siamo piuttosto noi con le nostre vite a dover «aiutare Dio il più possibile»10 e che proprio in questa alleanza con Dio possiamo anche aiutare noi stessi. La preghiera diviene, quindi, una componente fondamentale della vita, anzi una vera conquista per una come lei che pensava di scrivere il racconto La ragazza che non sapeva inginocchiarsi riconoscendo la componente critico-razionalistica della sua formazione. In ogni angolo del mondo pregare sarà sempre possibile, anche in un carro diretto allo sterminio.
Etty di fronte al destino del suo popolo
Nel luglio del ’42 Etty scrive che «Su tutta la superficie terrestre si sta estendendo pian piano un unico, grande campo di prigionia»11. Ma le cose che stanno accadendo al popolo ebraico sono a suo avviso troppo grandi, troppo diaboliche perché si possa reagire con un rancore e con un’amarezza personali. Mettendo a confronto altre tragedie della storia, Hitler con Ivan il Terribile, l’Inquisizione con le guerre mondiali, per lei la cosa che conta in definitiva è sempre come si porta, sopporta e risolve il dolore. Per questo le pare vano quell’affaccendarsi dei suoi compagni intorno al Consiglio ebraico nella speranza di trovare qualche nicchia in cui sfuggire alla distruzione. Quel destino di massa si doveva, invece, imparare a sopportarlo insieme con gli altri, nella consapevolezza che «Chiunque si voglia salvare deve pur sapere che se non ci va lui, qualcun altro dovrà andare al suo posto»12. Non basta mettere in salvo i propri cari, i propri miseri corpi, ma bisogna saper opporre un’alternativa forte e luminosa con cui sia possibile poi ricominciare daccapo. E l’alternativa per lei consiste nel raggiungere la coscienza che il dolore e l’ingiustizia non sono mai un pericolo misterioso che ci opprime dall’esterno, ma sono piuttosto «vicinissimi e nascosti dentro di noi»13; in altri termini, che la pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso, superando l’odio e trasformandolo «alla lunga in amore». Solo quando l’Occidente saprà riscoprire i sentieri disseccati della vita spirituale, sembra dirci Etty, sarà possibile far seguire a tragedie come la Shoah un «periodo di umanesimo»14 basato sulla compassione.
Note
1. Ivi, p. 31.
2. Ivi, p. 161.
3. Ivi, p. 168.
4. Ivi, p. 181.
5. Ivi, p. 52.
6. Ivi, p. 196.
7. Ivi, p. 29.
8. Ivi, p. 60.
9. Ivi, p. 194.
10. Ivi, p. 164.
11. Ivi, p. 163.
12. Ivi, p. 162.
13. Ivi, p. 102.
14. Ivi, p. 179.