Guerra, antifascismo, Resistenza. La partecipazione dei combattenti ebrei

La bandiera della Brigata Ebraica

CULTURA STORICA

L’articolo illustra un aspetto particolare del conflitto: come cambiò la condizione della popolazione ebraica dal primo dopoguerra e quindi la posizione dei combattenti ebrei dalla Prima alla Seconda guerra mondiale.

Cecilia Cohen Hemsi Nizza

La Grande Guerra

È giunta l’ora. L’Italia nostra ha dichiarato la guerra e noi all’Italia daremo noi stessi interamente...1
Allo scoppio della Prima guerra mondiale la popolazione ebraica italiana contava circa 35 000 persone su un totale di circa 38 milioni, in una proporzione di circa l’1 per 1000. Nessun atto di stato civile né tantomeno militare riporta l’appartenenza religiosa dei combattenti. Ciò a significare la perfetta integrazione degli ebrei nel tessuto sociale, politico e militare del Paese, considerati, e considerandosi essi stessi, cittadini italiani a tutti gli effetti, dopo l’affermazione definitiva della loro emancipazione e l’uscita dai ghetti.
Rilevante era anche la loro partecipazione alla vita pubblica: nel 1900, erano 7 i senatori del Regno, diversi i deputati alla Camera, vari i ministri, tra cui Luigi Luzzatti che ricoprì la carica di Presidente del Consiglio nel 1910-11. Quanto all’esercito, nel 1902-1903, Ministro della Guerra nel governo Zanardelli fu Giuseppe Ottolenghi, già istruttore del principe ereditario e futuro Re d’Italia Vittorio Emanuele III, lo stesso che firmerà le leggi antiebraiche nel 1938.
È più facile trovare dati riguardanti gli ebrei caduti, per il fatto che venivano sepolti nei cimiteri ebraici, e quelli insigniti di medaglie (473 tra medaglie d’argento, di bronzo e encomi vari).2 Con grande approssimazione si può fissare il numero dei combattenti a 4800, cui si devono aggiungere circa 300 irredentisti friulani che, rifiutando di servire nell’esercito austroungarico, disertarono e si arruolarono in quello italiano, e altri 300 ebrei di origine italiana, residenti nel Nord Africa, in Grecia e Turchia, che vollero partecipare allo sforzo bellico italiano.3
Tutti i combattenti della Grande guerra subirono le conseguenze dell’entrata in vigore delle leggi antiebraiche nel 1938, quelli ancora in servizio vennero messi a riposo coatto. Questo nonostante fossero previste norme a favore di determinate categorie “discriminate”,4 come figura nel testo della Dichiarazione sulla Razza, autografata da Mussolini.5 Nel 1938 erano ancora in vita circa 2500 combattenti, di cui 237 morirono in deportazione e 29 alle Fosse Ardeatine.

La contraddittoria politica del fascismo

Fino all’approvazione delle leggi razziali, la politica fascista nei confronti degli ebrei si mostra in tutta la sua duplicità. Quando Hitler si impadronisce del potere, il Gran Consiglio, nel marzo 1933, vota una mozione di fraternità con il nazismo. Di fronte alle proteste dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane,6 Mussolini condanna severamente il razzismo tedesco, non per motivi morali, ma considerandolo un pericoloso errore tattico, come ebbe a dire in una conversazione con l’ambasciatore tedesco Von Hassels, «nei confronti di una potenza come quella degli ebrei». Contemporaneamente, nel 1934 lascia che inizi una violenta campagna antisemita su parte della stampa fascista, come “Il Tevere” e il “Popolo d’Italia”.
E mentre questa campagna prende sempre più piede, arrivando a richiedere esplicitamente di espellere gli ebrei dalla pubblica amministrazione, appare incredibile che, dal 1932 al 1935, il Ministero delle Finanze fosse ricoperto dall’ebreo Guido Jung! Addirittura, dal 1933 al 1936, il regime autorizzò gli ebrei italiani a portare soccorso ai confratelli tedeschi perseguitati in Germania e in cerca di lidi più sicuri.

L’antifascismo

Questo atteggiamento spiega, in parte, perché in quegli anni l’antifascismonon fosse ancora diffuso nella comunità ebraica, ma interessasse solo gli aderenti ai partiti antifascisti della prima ora: socialisti, comunisti, repubblicani, membri delle organizzazioni sindacali e di categoria o collaboratori degli ultimi giornali liberi. Dopo secoli di persecuzione e di discriminazione, la lealtà di patria prevaleva su ogni altra considerazione. Inoltre, dal punto di vista politico, anche riguardo al fascismo, gli ebrei si comportarono come italiani e non come ebrei.
La stessa legge che nel 1930 istituiva l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane fu motivo di divisione. Per alcuni, già impegnati in attività antifasciste, era l’espressione del carattere illiberale del regime, in quanto richiedere un’iscrizione obbligatoria a una comunità significava esercitare un controllo. Per altri, soprattutto nelle classi dirigenti, la scelta delle autorità di definire i rapporti con la minoranza ebraica era invece un segnale positivo di coesistenza.
Dal 1927 il centro dell’antifascismo italiano si spostò in Svizzera e a Parigi. Nell’agosto del 1929, nella capitale francese, nacque il movimento Giustizia e libertà, fondato da Carlo Rosselli, nato a Roma da una famiglia ebraica legata ai valori repubblicani risorgimentali, e da un gruppo di esuli, tra i quali Emilio Lussu, Francesco Nitti, Gaetano Salvemini, allo scopo di organizzare un’opposizione attiva al regime, ma soprattutto di denunciarne a livello internazionale il vero volto autoritario. Il movimento si sviluppò anche in Italia, clandestinamente. Numerosi ebrei vi aderirono, come Leone Ginsburg, Carlo Levi, Raffaele Cantoni, Vittorio Segre, Sion Segre, Eugenio Colorni, Emanuele Artom, Enrico Sereni.
Altre personalità ebraiche dell’antifascismo italiano, legate però a un partito, furono Claudio Treves per i socialisti riformisti, Umberto Terracini, Emilio Sereni, per il Partito comunista e tanti altri meno noti ma che subirono il confino, scelsero l’esilio o si arruolarono negli eserciti alleati. Con l’occupazione nazista dell’Italia, successiva alla firma dell’armistizio con gli Alleati (8 settembre 1943) entreranno nelle fila della Resistenza.

Antifascismo e sionismo

Un altro elemento di conflitto all’interno della compagine ebraica fu l’affermazione, seppure lenta rispetto ad altri paesi europei, del sionismo. Lenta per una comunità imbevuta di patriottismo, che si definiva italiana di religione mosaica.
In genere il sionismo fu visto anche dai suoi stessi sostenitori, almeno fino al 1938, per lo più come strumento di salvezza per i correligionari oppressi e perseguitati in realtà diverse da quella italiana. Invece, sin dagli albori del fascismo, quando il regime già mostrava il suo volto tirannico, nei più giovani maturò da subito la convinzione che gli ideali di libertà e giustizia sociale, che non avevano più corso in Italia, si potessero realizzare nella Terra di Israele.

Arruolati e volontari nella Seconda guerra mondiale

È venuto il giorno così lungamente auspicato! È venuto il giorno in cui il nemico è la Germania, il vero nemico, il nemico del mio cuore di italiano, di ebreo, di uomo civile.
Nino Contini, Diari, 8 settembre 1943
Nei paesi alleati contro il nazismo, gli ebrei si arruolarono nei rispettivi eserciti anche come volontari, partecipando, dal 1940 al 1945, alla guerra in tutti i suoi teatri.
In Italia, e in tutti i paesi occupati dalla Germania, per gli ebrei esisteva invece un solo fronte, quello della lotta per la liberazione. Atti di resistenza si verificarono addirittura nei campi di sterminio, dove i deportati fecero saltare le strutture della morte, come a Treblinka e Birkenau, oppure organizzarono fughe di massa, come a Sobibor.
La presenza ebraica comprendeva 550 000 cittadini americani arruolati nell’esercito statunitense, 500 000 arruolati nell’Armata Rossa, 60 000 cittadini inglesi nell’esercito britannico. A questi vanno aggiunti i circa 35 mila volontari ebrei (italiani, polacchi, ucraini ecc.), residenti nella Palestina mandataria, arruolatisi nell’esercito britannico, così come i 15 000 della Jewish Settlement Police, un’unità della polizia palestinese, incaricata di proteggere gli insediamenti rurali ebraici dagli attacchi arabi. In proposito, va ricordata l’azione del Gran Muftì di Gerusalemme, antisemita, sostenitore della soluzione finale degli ebrei di Palestina.
Nel ricordo dei testimoni diretti, l’incontro tra i combattenti ebrei nelle brigate partigiane e i correligionari arruolati negli eserciti alleati7 fu un momento molto toccante.

La partecipazione alla Resistenza

In Italia, la partecipazione degli ebrei alla Resistenza fu cospicua, se rapportata alla loro consistenza numerica. Dopo l’8 settembre, agli ebrei già impegnati nella lotta antifascista, si aggiunsero le centinaia di ebrei che, di fronte alla realtà dello sterminio in atto in Europa, decisero o di arruolarsi direttamente negli eserciti alleati o di entrare nelle varie formazioni partigiane autonome o di partito – da “Giustizia e libertà” alle “Brigate Garibaldi”, nel “Corpo Volontati per la Libertà”, organizzato militarmente, o nel “Comitato di Liberazione Nazionale” –, sostenute materialmente dagli Alleati che, con lo sbarco in Sicilia nel luglio 1943, iniziarono la campagna d’Italia.
Nel settembre del 1943, la 148a compagnia “autocisterne acqua”, una delle quattro del Royal Army Service Corps (RASC) composte da volontari ebrei palestinesi, si congiunse agli americani nello sbarco a Salerno, giungendo a Napoli per rifornire d’acqua la città e occupandosi naturalmente anche del soccorso alla comunità ebraica locale, coadiuvata da ausiliarie femminili sbarcate a Taranto nel maggio del 1944. Due compagnie poi risalirono con l’VIII Armata del generale Bernard Law Montgomery la parte orientale della penisola, organizzando a Taranto un campo profughi per assistere quelli provenienti dalla Iugoslavia. Sul versante tirrenico, i volontari della 650a compagnia, il 4 giugno 1944, parteciparono con gli americani alla liberazione di Roma. Vi trovarono una comunità decimata dalle deportazioni8 e offrirono un’assistenza morale e materiale che ancora oggi i sopravvissuti ricordano con grande commozione.
Sul piano militare, i volontari riattivarono un ponte sul fiume Po, distrutto dai tedeschi in ritirata, che consentì agli Alleati di penetrare nella Pianura Padana.

Il ruolo della Brigata Ebraica9

So benissimo che c’è un gran numero di ebrei nelle nostre Forze Armate e in quelle americane, ma mi è sembrato opportuno che un’unità formata esclusivamente da soldati di questo popolo, che così indescrivibili tormenti ha subito per colpa dei nazisti fosse presente come formazione a se stante.
Con questo annuncio di Winston Churchill alla Camera dei Comuni, nel settembre del 1944 nacque infine la Brigata Ebraica, formata da un reggimento di artiglieria, servizi e unità ausiliarie, al comando del generale canadese Ernest Frank Benjamin: si trattava di 5000 uomini di varia provenienza, di cui il 20% dalla Palestina, che combatterono sotto le proprie insegne.
Inquadrata nell’VIII Armata del Generale Montgomery, dopo un periodo di addestramento, da fine febbraio al 25 aprile 1945, la Brigata combatté sul fronte di Alfonsine, a nord-ovest di Ravenna, nella zona del Senio, nei pressi della Linea Gotica. In sette settimane di attività bellica i caduti furono 33, sepolti nel cimitero di Piangipane. La Brigata partecipò poi alla liberazione di Ravenna, Faenza, Alfonsine e Imola. A fine maggio venne trasferita a nord e successivamente dislocata al confine con l’Austria, tra l’Alto Adige, il Tirolo e la Carnia.
Da Milano a Torino, da Padova a Venezia, la Brigata Ebraica, fino al suo scioglimento da parte della Gran Bretagna nel 1946, svolse una meritoria e assidua opera di assistenza alle comunità distrutte e di soccorso ai primi reduci dai campi di sterminio.

Note

1. Guerra in “Il Vessillo Israelitico”, maggio 1915.
2. Due medaglie d’oro furono assegnate alla memoria, la prima a Giulio Blum, di 61 anni, il combattente più anziano, la seconda a Roberto Zarfatti, figlio di Margherita Zarfatti, caporale nel VI Reggimento Alpini, caduto sul Colle d’Echele nel 1918. Roberto, con i suoi 17 anni, fu il più giovane decorato.
3. Pier Luigi Briganti, Il contributo degli ebrei italiani alla Grande Guerra 1915-1918, Conferenza tenuta a Bologna il 9 dicembre 2010 presso il Centro Studi Militari.
4. Il termine “discriminato” va inteso come esente dall’applicazione della legge.
5. Discriminazione fra gli ebrei di cittadinanza italiana, in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino 1972, p. 554.
6. L’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane nacque per decreto legge il 30 ottobre 1930 e da un regolamento applicativo del 19 novembre 1931 sopravvissuto fino al 1987, quando vennero firmate le intese tra lo Stato italiano e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, così la nuova denominazione riportata nelle intese.
7. S. Rocca e L. S. Cristini, La Brigata Ebraica e le unità ebraiche nell’esercito britannico durante la Seconda guerra mondiale, Soldiershop Publishing, 2012.
8. Dalla deportazione del 16 ottobre alla Liberazione della città, le persone deportate furono 2091. Di queste tornarono solo 73 uomini e 28 donne. Non tornò nessun bambino.
9. R. Rossi, La Brigata Ebraica – Fronte del Senio 1945, Bacchilega ed., Collana Quaderni di Storia, 2005 e La Brigata ebraica a Mezzano, raccolta di testi e immagini a cura di S. Ravaioli e P. Fornaciari, Comune di Ravenna, maggio 2008.

Enzo Sereni, dalla Palestina mandataria alla Resistenza

La figura di Enzo Sereni testimonia del contributo degli ebrei di origine italiana alla guerra di liberazione, partendo dalla Palestina mandataria.
Nato a Roma nel 1905 da una famiglia ebraica borghese, quarto di cinque fratelli, tutti politicamente impegnati in senso antifascista, Enzo emigrò in Palestina, dove giunse con la moglie Ada e la prima figlia, Hana, il 17 febbraio 1927. Il fratello Emilio nel 1926 si iscrisse al Partito comunista italiano, rompendo drammaticamente ogni rapporto con lui.
Figlio del medico della Real Casa, laureato in filosofia, ricercatore, scrittore, Enzo trovò un primo impiego come operaio giornaliero nel taglio degli aranci e successivamente fu cofondatore del kibbutz di Givat Brenner.
All’avvento di Hitler, intensificò i rapporti con gli antifascisti italiani, in particolare con i compagni di “Giustizia e libertà”.
Per conto della Gran Bretagna, cui dopo la Prima guerra mondiale era stato assegnato il mandato sulla Palestina, diffuse la propaganda antifascista dall’America all’Egitto all’Iraq. Ma questi spostamenti erano anche l’occasione per organizzare, per conto dell’Agenzia Ebraica per la Palestina – che aveva il compito di facilitare l’emigrazione ebraica – immigrazioni clandestine nell’Yishuv (in ebraico “insediamento”, termine con cui veniva designato il futuro Stato di Israele). Qui vigeva il Libro Bianco che limitava le quote di immigrati ebrei, in fuga dalle persecuzioni. Nonostante le difficoltà nei rapporti con gli inglesi, nel 1940, Sereni iniziò la sua attività nei loro servizi di Intelligence, come esperto di questioni italiane, avviando una campagna di propaganda antifascista in Medioriente, sia presso i prigionieri di guerra italiani, sia presso la popolazione italiana residente in quei paesi.
Nel 1941, quando, a Baghdad, a seguito di un golpe, si scatenò un pogrom contro la comunità ebraica locale, conseguenza dell’avvicinamento del mondo arabo alla Germania hitleriana, di fronte alle difficoltà belliche, fu inviato in missione in quel paese. Nel marzo del 1944, giunse a Bari in missione per il salvataggio di ebrei ungheresi, rumeni e iugoslavi. In realtà il suo fine era farsi paracadutare nel Nord Italia, oltre le linee nemiche, per venire in soccorso ai suoi confratelli italiani e sottrarli alla deportazione. Il 15 maggio del 1944, si fece paracadutare in Toscana, ma l’atterraggio non andò bene. Da alcune testimonianze dirette, risulta che fu catturato come ufficiale inglese, con il nome di Samuel Barda e ripetutamente torturato. Condotto prima nel campo di prigionia di Verona, dove erano rinchiusi alcuni membri del Comitato veronese di liberazione, fu poi trasferito nel campo di internamento di Bolzano-Gries e in ottobre deportato a Dachau. Una scheda a lui intitolata e ritrovata nel campo attesta che la morte avvenne il 17 novembre 1944.

Per approfondire. Figure di partigiani ebrei

R. Bondy, Enzo sereni. L’emissario, trad. italiana di Sarah Kamisnki e Maria Teresa Milano, Le Château edizioni, Aosta.
L. M. Cristini (a c. di), Mosé Di Segni, medico partigiano. Memorie di un protagonista della Guerra di Liberazione (1943-1944), Comune di San Severino Marche, 2011.
A.M. Rabello, In memoria di Franco Cesana, «il più giovane partigiano d’italia», in “Quaderni del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea”, n.3, 1963, p.140.
B. Contini, L. Contini (a c. di), Nino Contini (1906-1944): quel ragazzo in gamba di nostro padre. Diari dal confino e da napoli liberata, Giuntina, Firenze 2012.
M. Davi (a c. di), “Alunni di razza ebraica”. Studenti del liceo-ginnasio Tito Livio sotto le leggi razziali, Padova 2010, pp. 59-61.

 

Cecilia Cohen Hemsi Nizza vive a Gerusalemme, dove ha insegnato all’Università ebraica ed è Assessore alla Cultura nel Consiglio della locale Comunità ebraica italiana. Per Bruno Mondadori ha curato un’edizione commentata e annotata de La Nuit di Elie Wiesel e il volume Testimoni, a partire da brani di Vita e destino di Vasilij Grossman e due racconti tratti da Il fumodi Birkenau di Liana Millu.