Una guerra dei Trent’anni del Novecento
Concluso il centenario della fine della Prima guerra mondiale, ecco ricorrere l’80° anniversario dell’inizio della seconda. Una concomitanza che permette di considerare le due guerre come un unico evento, una guerra dei trent’anni del nostro tempo.
Così doveva sentire lo scrittore Stefan Zweig che, nella prefazione alla lucida e struggente autobiografia, riassume lo stato d’animo della sua generazione, che visse nello spazio di trent’anni due conflitti devastanti.
«Mai una generazione – non lo affermo certo con orgoglio bensì con vergogna – ha subito un siffatto regresso morale da così nobile altezza spirituale. Nel breve lasso da quando cominciarono a crescermi i baffi a quando cominciarono a farsi grigi, in meno di mezzo secolo, si sono determinate più metamorfosi radicali che nel corso di dieci generazioni. […]
Spesso mi accade, se dico distrattamente: “la mia vita”, di domandarmi poi: “quale vita?”. Quella antecedente alla guerra mondiale, alla prima, o alla seconda, oppure la vita di oggi?»1
1919–1939. La pace fragile
Bisogna quindi risalire alle conseguenze della Prima guerra mondiale per capire le cause della Seconda. Molto significativo il fatto che, dopo quattro anni di guerra, ne occorsero cinque – dal 1918 al 1923 – per siglare sedici trattati di pace. Ma la loro firma non comportò una pacificazione reale, al contrario fu all’origine di tensioni che, come un fiume carsico, alimentarono risentimenti, idee aberranti fino a esplodere nella Seconda guerra mondiale. L’ascesa del fascismo prima e del nazismo poi ne sono una testimonianza evidente.
La sconfitta degli imperi tedesco, austro-ungarico, ottomano, nonché la fine di quello russo, abbattuto dalla rivoluzione bolscevica del 1917, portarono alla nascita di diverse nuove nazioni, sulla base del programma in 14 punti2, presentato dal presidente degli Stati Uniti, Woodward Wilson, alla Conferenza di Versailles nel giugno del 1919, per assicurare la pace mondiale dopo un conflitto così distruttivo.
Aldilà dell’ideale ispiratore, saranno proprio la ridefinizione della geografia europea con la nascita di nuovi stati3 e la fissazione di nuove frontiere, soprattutto nell’Europa centro-orientale, l’origine delle crisi degli anni venti e trenta. In effetti, le nuove realtà statali presentavano popolazioni diverse per lingua e religione. Soprattutto quella tedesca che, a causa della frammentazione dell’Impero, ritenuto il principale responsabile della guerra, subì le misure più punitive in termini territoriali, economici e militari, perdendo tutte le colonie e, in Europa, il 13% dei suoi territori dove erano presenti circa 7 milioni di tedeschi, alimentando il sentimento nazionalistico che, coniugato con il razzismo antisemita, porterà, nel 1933, Hitler al potere.
Ma la deriva autoritaria si era affermata già negli anni venti, quando la quasi totalità dell’Europa, fatta eccezione per la Francia e l’Inghilterra, divenne soggetta a regimi autoritari, tra i quali quello fascista italiano funse da modello. Segno che il regime parlamentare non poggiava su una tradizione democratica consolidata. L’esempio più calzante fu proprio la Germania, dove la Repubblica socialdemocratica di Weimar, pur con una costituzione molto avanzata, che garantì il voto alle donne, e una vita artistica, culturale, scientifica di grande rilievo - aveva basi molto fragili, esposta a un’opposizione feroce sia da sinistra sia da destra e in preda a un’endemica crisi economica.
Un altro elemento rendeva instabile la situazione del dopoguerra: il timore che la rivoluzione sovietica potesse diffondersi oltre i confini della Russia4. Infatti, subito dopo la fine della guerra, in diversi paesi scoppiò un periodo di agitazioni sociali, noto come “biennio rosso”, derivate dalle difficoltà economiche causate dalla guerra.
L’influenza del bolscevismo uscì poi dall’ambito proprio della politica per estendersi alle élites intellettuali, accentuando la polarizzazione tra chi ne considerava favorevolmente lo slancio rivoluzionario e chi invece lo contrastava in nome del patriottismo, del nazionalismo, del militarismo, nella cornice di un antisemitismo razzista. La firma del patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop5 ebbe effetti laceranti soprattutto fra gli aderenti ai vari Partiti comunisti, che non potevano accettare che i sovietici fossero venuti a patti con il nemico ideologico nazista e perciò molti militanti, scrittori, intellettuali presero le distanze da Mosca.
1929, una data spartiacque
Nei vent’anni che separano i due conflitti una data funge da spartiacque tra i due decenni. È il 1929, anno della crisi finanziaria di Wall Street, che sconvolse l’economia mondiale contagiando tutti quei paesi che avevano rapporti economici con gli Stati Uniti, in particolare quelli europei che contavano sull’aiuto americano per riprendersi dalle conseguenze della guerra. In particolare saltarono i prestiti americani alla Germania, accordati per far fronte alle ingenti riparazioni di guerra. Con il calo della produzione, aumentò considerevolmente il numero dei disoccupati che, insieme alla piccola borghesia e ai coltivatori, formarono la base del consenso al Partito nazionalsocialista dei lavoratori che, da secondo partito nel settembre del 1930, nel luglio 1932 divenne il primo, conquistando, con 13 milioni di voti, 230 seggi nel Reichstag.
I temi della propaganda andavano dalla denuncia delle responsabilità del “capitalismo finanziario internazionale-giudaico” alla rivolta contro i paesi che tenevano in scacco la Germania con la questione delle riparazioni e il divieto al riarmo, alla guerra per la conquista dello “spazio vitale” (Lebensraum).
Il precipizio del 1933
Il 30 gennaio 1933 Hitler diventa cancelliere del Reich. Il 28 febbraio, giorno successivo all’incendio del Reichstag, provocato dai nazisti, vengono sospese tutte le libertà costituzionali; Il 14 luglio una legge dichiara il Partito nazionalsocialista unico partito.
La nazificazione interessa da subito tutti i campi della vita nazionale e della cultura, e prende avvio la campagna antiebraica, sfociata nel 1935 nell’approvazione delle leggi di Norimberga, che avrebbero dovuto mettere sull’avviso il mondo sulle sue nefaste conseguenze6.
La presa del potere di Hitler si era fondata sul terrore esercitato dalle SA, il primo gruppo paramilitare del partito nazista (fondato nel 1923) capeggiato da Ernst Rohm. Entrato in conflitto con Hitler dopo la sua ascesa al potere, Rohm aspirava a trasformare l’organizzazione in un vero e proprio esercito, inglobando quello regolare. Ma Hitler aveva bisogno dell’esercito per realizzare la potenza tedesca. Per questo nel giugno del 1934, servendosi delle SS, un ramo delle SA, ne dispose l’uccisione dei capi.
Questo atto comportò non solo la stabilizzazione del regime, ma diminuì anche la preoccupazione dei paesi esteri per la violenza che aveva accompagnato la presa del potere di Hitler. Seguì un periodo di espansione economica, grazie all’abbassamento delle tasse per industriali disposti ad assumere, al lancio di grandi lavori pubblici e alle grandi somme destinate al riarmo.
L’unica opzione della guerra
Ma nel 1938 la situazione cambiò anche in relazione a un’altra crisi mondiale che fece diminuire le esportazioni tedesche e influì nuovamente sull’occupazione. L’alternativa sarebbe stata il rallentamento del riarmo, respinto da Hitler perchè in contrasto con la sua visione politica, oppure una politica di diminuzione dei consumi, con il rischio però di perdere il consenso ottenuto anche con l’alto livello di vita garantito.
La guerra rimaneva allora l’unica opzione. Una guerra di rapida conquista dell’Europa avrebbe infatti garantito stabilità al regime, grazie all’acquisizione di materie prime, di beni alimentari e manodopera per l’industria tedesca.
Gli eventi che prefigurano i futuri schieramenti
Prima della fatidica data del 1 settembre 1939, occorre mettere a fuoco alcuni avvenimenti che ne furono la premessa necessaria.
Il 25 novembre 1936, la Germania stipula un patto antisovietico con il Giappone (il patto Anticomintern), cui nel 1937 aderisce anche l’Italia di Mussolini. Il patto è sospeso per due anni dall’accordo con l’Unione Sovietica del 1939.
L’avvicinamento dell’Italia alla Germania si era già espresso nell’asse Roma–Berlino stabilita nel 1936 come conseguenza della guerra di Etiopia e delle sanzioni comminate all’Italia dalla Società delle Nazioni. In quest’ottica va intesa anche l’approvazione della legislazione antiebraica con le Leggi per la difesa della razza annunciate da Mussolini stesso il 18 settembre 1938 a Trieste7.
Già la guerra civile spagnola (1936-1939) aveva in un certo senso mostrato quali sarebbero state le future alleanze, con Germania e Italia schierate apertamente con il generale Franco e contro i repubblicani, sostenuti dall’Unione Sovietica, mentre Regno Unito e Francia si mantenevano neutrali.
La presenza di Brigate Internazionali a fianco della Repubblica, con circa 40 mila tra donne e uomini provenienti da 55 paesi, può prefigurare la futura Resistenza al nazifascismo.
Gli eventi premessa della guerra
Infine due avvenimenti – l’annessione dell’Austria (Anschluss) nel marzo 1938 e l’invasione della Cecoslovacchia, nella primavera del 1939 - possono essere considerati il segnale più evidente dei progetti espansionistici di Hitler, segnale che non venne preso nella dovuta considerazione dalle potenze occidentali, preoccupate di scongiurare una nuova guerra.
Proprio per cercare di arginare le pretese tedesche, che dopo l’annessione dell’Austria, ora ne avanzavano sul territorio dei Sudeti, attribuito alla Cecoslovacchia, dove vivevano circa tre milioni di tedeschi, dal 29 al 30 settembre 1938, a Monaco di Baviera, si tenne una conferenza che riunì Hitler, il premier britannico Neville Chamberlain, il Primo ministro francese, Édouard Daladier e Mussolini, nel ruolo di mediatore.
Nell’illusione di salvare la pace, la conferenza si concluse con la ratifica del passaggio della regione alla Germania il 10 ottobre successivo.
In nessun momento della conferenza fu affrontato il problema della persecuzione antiebraica, in atto sia in Germania sia in Italia. L’appeasement era più importante della sorte di persone ridotte al rango di cittadini di serie b.
«Potevano scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra». Così, il 5 ottobre 1938, in un suo intervento alla Camera dei Comuni, Winston Churchill commentava l’accordo di Monaco, prevedendo quello che sarebbe successo il 13 marzo 1939, quando la Germania occupò tutta la Cecoslovacchia.
Sei mesi dopo sarebbe scoppiata la Seconda guerra mondiale, con l’invasione della Polonia il 1° settembre 1939.
Note
1. Stefan Zweig, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, Oscar Mondadori, 1979, pag. 4. La prima edizione in italiano risale al 1946 per I Quaderni della Medusa.
2. Wilson lo aveva esposto davanti al Congresso riunito in sessione congiunta già nel gennaio del 1918. Vi si affermava il “principio di nazionalità”, ovvero dell’autodeterminazione dei popoli in stati nazionali indipendenti, per la creazione di un’Europa democratica. Con questo fine, al punto 14 si stabiliva la creazione di un’organizzazione che, nata nel 1919, con il nome di Società delle Nazioni, fu insediata a Ginevra. La storia ha dimostrato il suo fallimento, decretandone l’estinzione nel 1946, sostituita dall’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), con gli stessi scopi e forse le stesse contraddizioni.
3. Dall’Impero austro-ungarico nacquero l’Austria, l’Ungheria, la Cecoslovacchia. Nel 1929, la Jugoslavia, che inglobò la Serbia, il Montenegro, la Dalmazia e Fiume, a danno dell’Italia e in contrasto con le clausole del Patto di Londra. Dal crollo dell’Impero russo nacquero le Repubbliche baltiche e la Finlandia, mentre lo stato della Polonia si ricostituì con territori sottratti alla Germania e alla Russia bolscevica. Dal crollo dell’Impero ottomano nacque, nel 1923, la repubblica di Turchia, mentre i territori del Vicino oriente, Palestina, Siria e Libano, vennero affidati come mandati rispettivamente alla Gran Bretagna e alla Francia.
4. Con la nascita dei Partiti comunisti in vari paesi europei, promossa da Lenin per contrastare la linea riformista delle socialdemocrazie, si frantumò la sinistra lasciando il campo libero alle forze reazionarie e conservatrici.
5. Firmato a Mosca, il 23 agosto 1939, oltre a stabilire il principio della non aggressione tra i contraenti, conteneva un Protocollo segreto, che definiva le zone di espansione. L’Urss si assicurava la Polonia orientale, la Bessarabia e i Paesi Baltici, mentre la Germania la Polonia occidentale.
6. Tra gli storici è ancora aperta la discussione se il progetto dello sterminio fosse programmato sin dall’inizio. Probabilmente si agì per fasi, ognuna più radicale della precedente. Fallito il progetto dell’espulsione, soprattutto quando la Germania conquistò territori dove la presenza ebraica era notevole, prese avvio quella dell’annientamento fisico. Ma che la soluzione dovesse essere radicale era già espresso nel Mein Kampf e nel programma del partito, che si proponeva di porre fine alla mescolanza e alla confusione delle razze, e quella ebraica era diversa, inferiore, corruttrice della morale del popolo tedesco, del suo vigore fisico e della sua integrità biologica.
7. Cfr. Cecilia Nizza Hemsi Cohen, 1938 Leggi antiebraiche. La storia attraverso i documenti sul sito StoriaLive.