Si trattava di centri prosperi come Zanzibar, Malindi, Mogadiscio o Mombasa, città quest’ultima che impressionò i primi navigatori portoghesi per le sue case in muratura, le vie allineate e il porto adatto alle grandi imbarcazioni. Questi centri erano abitati originariamente da popolazioni di origine bantù e ospitavano quartieri destinati ai mercanti arabi, indiani, persiani. Si trattava quindi di città cosmopolite, in cui l’interscambio culturale diede origine alla cultura e alla lingua swahili (la “lingua della costa”, una sorta di idioma “franco”), nate dal mescolarsi di elementi bantù, arabi, persiani, indiani. L’Islam ebbe anche in queste zone una forte penetrazione tra le élite dominanti e la cultura arabo-islamica ebbe un forte impatto sulla società, tanto che la prima forma scritta dello swahili utilizzava l’alfabeto arabo.
Queste città della costa svolgevano funzione di collegamento anche con le zone di produzione dell’oro e dell’avorio dell’interno. In particolar modo, tra l’XI e il XV secolo ebbe la sua massima fioritura la cultura dello Zimbabwe, che prendeva il nome dalla sua capitale, Grande Zimbabwe, città fortificata di cui oggi sono ancora visibili le mura alte nove metri del palazzo reale. Intorno al 1450 il grosso della popolazione della città emigrò a circa 300 chilometri verso nord a causa del progressivo isterilimento delle terre. Sorse Mupata (per i portoghesi Monomopata) che detenne ancora per molto tempo il controllo dei commerci dell’oro e dell’avorio.
Nubia, Axum ed Etiopia, “baluardi” cristiani
La Nubia e l’Altopiano etiopico sono le uniche aree dell’Africa “nera” in cui gli Europei hanno sempre riconosciuto la presenza di civiltà assimilabili a quelle dell’Europa. A favorire questa riconoscibilità fu la presenza del cristianesimo, introdotto, secondo la tradizione, da San Frumezio (per gli etiopi Abuna Salama, il “Padre della Pace”) già nella prima metà del IV secolo. Baluardi della cristianizzazione – nella variante monofisita1, definita anche “copta” – contro l’espansione islamica furono i regni cristiani della Nubia, il regno di Axum e l’impero di Etiopia. La Nubia, la regione compresa tra l’Egitto meridionale e il Sudan centrosettentrionale, era sempre stata un’area di grande produzione aurifera e per questo soggetta alle mire dell’Egitto, sia in epoca faraonica, sia dopo la conquista romana. Con l’occupazione araba del territorio egiziano la situazione tra nubiani e arabi fu di conflitto fino a che, nell’VIII secolo, non venne firmato un trattato. Esso prevedeva la costruzione di una moschea a Dongola, la città principale della Nubia, e la libertà di culto per gli islamici. In cambio i nubiani videro preservata la loro indipendenza politica e religiosa. Il trattato resse per sette secoli e la Nubia rimase per tutto questo tempo una sorta di muro all’avanzata dell’Islam fino al crollo, dovuto soprattutto a conflitti interni, dei regni cristiani. Un crollo che favorì, a partire dal Cinquecento, la penetrazione islamica nella regione, dando inizio a quel contrasto tra cristiani e musulmani presente ancora oggi in molte zone del Sudan e dell’alto Egitto.
Ancora più importante fu la funzione anti-islamica esercitata dalle entità statali della regione etiopica, come il regno di Axum che estendeva la sua influenza attraverso zone dell'odierna Eritrea, dell'Etiopia, della Somalia occidentale, del Gibuti e del Sudan settentrionale. Lo stato axumita, grazie alla sua favorevolissima posizione, fu profondamente coinvolto nei commerci tra l'India e il Mediterraneo orientale e decadde quando, tra il IX e il X secolo, gli arabi imposero il loro controllo sui porti affacciati sul mar Rosso, isolando il regno dal resto del mondo.
Dopo queste vicende il baricentro della cultura copto-etiopica si spostò verso sud, in Etiopia. Lo stato etiope, isolato dal resto della cristianità dalla potenza araba, visse un lungo periodo di decadenza fino alla rinascita del XIII secolo quando Lalibela (1190-1225) riaffermò l’identità cristiana assumendo il nome di negusa nagast (re dei re) e il titolo di imperatore cristiano dell’Etiopia. Per secoli l’Etiopia poté rivendicare il ruolo di unica potenza africana in grado di fronteggiare l’avanzata islamica, oltre che di realtà statuale impegnata nella conversione delle genti pagane e capace di intessere rapporti con l’Occidente. Rapporti testimoniati dalla presenza di una delegazione etiope al concilio di Ferrara del 1439-41 dove venne sancita una effimera riunione tra chiese d’Occidente e chiese d’Oriente.
Il trauma della tratta degli schiavi e il colonialismo europeo
Come abbiamo visto da questa rapida ricognizione, all’inizio dell’età moderna, l’Africa poteva anche essere poco o per nulla conosciuta dagli europei, però si presentava tutt’altro che priva di storia. Una storia che continuò ancora per secoli nonostante la presenza europea, dato che la colonizzazione dell’Africa è stata soprattutto un fenomeno tardo-ottocentesco. Non esisteva un’Africa sine historia quindi e non esistevano a priori elementi che potessero definire fin dall’inizio i rapporti tra africani ed europei in termini di inferiorità/superiorità. Il diffuso disprezzo degli europei per i neri dell’Africa fu un prodotto della tratta atlantica degli schiavi e poi della cultura dell’imperialismo europeo. Mano a mano che cresceva il valore degli africani come “merce” venne meno la loro immagine come esseri umani e sulla base di questa svalutazione e disumanizzazione gli europei costruirono il loro immaginario e la loro storiografia sull’Africa. Gli africani diventarono quindi esseri inferiori, valutazione che forniva il pretesto ideologico alla loro riduzione in schiavitù in un momento in cui l’Europa affermava, con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, principi di uguaglianza e libertà. Questo disprezzo crebbe a dismisura con l’aumento della disparità tecnologica ed economica dovuto alla Rivoluzione industriale e all’affermarsi del capitalismo imprenditoriale. E il disprezzo fornì le basi per il razzismo basato sul colore della pelle che fece da sostrato teorico al colonialismo imperialista. L’Africa divenne un continente primitivo, sanguinario, selvaggio e la sua storia venne riletta in un’ottica puramente eurocentrica. Un’ottica priva di fondamento ma che col tempo divenne più reale della realtà.
Note
1. Monofisismo, (da monos, in greco “uno”, e fysis, “natura”), dottrina elaborata nel IV secolo che sosteneva la tesi di un’unica natura (quella divina) in Cristo, negando la sua natura umana. La dottrina venne condannata dalla chiesa cattolica nel concilio di Calcedonia del 451.