Africa, la storia dimenticata

Il mercato davanti all’antica moschea di Djenné (Mali)

CULTURA STORICA

La visione di un’Africa sine historia ha dominato per molto tempo l’immaginario europeo ma anche il dibattito storico. Una prospettiva distorta, inficiata dal colonialismo, corretta solo in anni recenti quando si è imposta la consapevolezza che l’Africa ha radici antiche quanto e più di quelle europee.

Roberto Roveda

Il continente “senza storia”

Per molto tempo, anche nel dibattito storico, l’Africa è stata considerata un continente senza storia e senza civiltà, ai margini delle vicende mondiali con l’eccezione dell’Egitto e delle altre terre affacciate sul Mar Mediterraneo. Questa visione dell’Africa sine historia derivava chiaramente dall’immaginario razzista del colonialismo ottocentesco e dalle dinamiche dell’imperialismo che concepiva il dominio europeo come il frutto di una presunta superiorità della civiltà “bianca”. In quest’ ottica il filosofo tedesco Hegel poteva scrivere nel suo La filosofia della storia del 1831: «L’Africa è una parte del mondo che non ha storia, essa non presenta alcun movimento o sviluppo, alcun svolgimento proprio. Vale a dire che la parte settentrionale appartiene al mondo asiatico ed europeo». Una prospettiva distorta, corretta solo in anni recenti quando si è imposta la consapevolezza che l’Africa ha radici antiche quanto e più di quelle europee. E queste radici, come vedremo, non riguardano certo solo le aree affacciate sul Mar Mediterraneo ma concernono anche l’Africa subsahariana.
Prima di tutto bisogna chiarire che non ci fu, all’origine del rapporto tra Europa e Africa “nera”, alcun incontro traumatico tra una civiltà superiore e una civiltà inferiore. L’area a sud del Sahara, infatti, apparve ai primi esploratori europei del XV e XVI secolo abitata da popoli con usanze e credenze differenti da quelle presenti in Europa, ma non inferiori. Questi esploratori vennero, infatti, a contatto con stati di vaste dimensioni, dediti ai commerci su ampia scala, caratterizzati da gerarchie sociali e governati da sovrani investiti di diritti semidivini. Insomma, un quadro sociale e politico non lontano da quello dell’Europa al passaggio tra Medioevo ed Età Moderna.

I “signori dell’oro”

A partire dal III secolo d.C. nel deserto del Sahara si era diffuso il dromedario e questo aveva reso frequenti i rapporti commerciali tra area mediterranea e area sub-sahariana. Rapporti che erano tenuti dalle tribù berbere e che si intensificarono dopo la conquista araba dell’Africa del nord nel VII secolo. Ebbene proprio gli Arabi, negli otto secoli che intercorsero prima dell’arrivo degli europei, si confrontarono con stati straordinariamente ricchi e potenti, perché in grado di controllare l’estrazione e il commercio dell’oro. Tra questi stati vi fu l’Impero del Ghana (cioè la “terra del signore dell’oro”), esteso fin dal V secolo nell'attuale sud est della Mauritania e in parte del Mali. Oltre all’oro, lo sfruttamento dell’avorio degli elefanti, delle pietre preziose e delle pellicce di animali esotici permettevano ai sovrani del Ghana intensi scambi commerciali con gli arabi, che pagavano le merci con un prodotto che scarseggiava nella regione equatoriale: il sale. Nell’XI secolo il Ghana divenne un regno vassallo degli arabi per poi venire assorbito attorno al 1240, dall’Impero del Mali, un altro regno africano islamizzato, che sorgeva lungo l’alto corso dei fiumi Senegal e Niger. Nel corso del Trecento il Mali declinò per l’emergere di un altro stato-guida: l’Impero Songhai di Gao, che si estendeva su un territorio vastissimo lungo il corso del fiume Niger e che controllò i traffici commerciali nell’area a sud del Sahara fino alla fine del Cinquecento. A questi Stati maggiori poi potremmo aggiungere altre entità come, per esempio, il regno del Congo, ma quello che ci interessa sottolineare è come si trattasse di organismi statuali paragonabili a quelli dell’Europa coeva come dimostra anche l’esistenza di grandi città come Djenné, che tra il XV e il XVI secolo contava circa 20.000 abitanti.

Il connubio con gli arabi

A questi stati gli arabi fornirono un contributo fondamentale. Araba fu la prima forma codificata di scrittura a sud del Sahara e scritti in arabo sono i primi testi giunti fino a noi sui popoli subsahariani. Importante fu il ruolo della religione islamica che si diffuse comunque lentamente e principalmente tra le classi dominanti, segno di quanto i riti tradizionali fossero radicati. L’islamizzazione dei ceti dominanti venne favorita dal fatto che l’Islam permetteva di sentirsi parte di una grande comunità estesa a nord e a sud del Sahara e rendeva più semplici relazioni e traffici, anche da un punto di vista meramente pratico grazie a standard di misura e monetazione uniformi in tutti i vastissimi territori arabi. Alla fine del XIV secolo, comunque, stati come il Mali o Songhai erano considerati a tutti gli effetti islamici e si moltiplicarono i viaggi di africani subsahariani verso nord, per compiere il doveroso pellegrinaggio alla Mecca.

L’Africa “swahili”

Il connubio tra civiltà autoctone, relazioni commerciali e cultura islamica ha caratterizzato anche le zone orientali dell’Africa subsahariana, in particolare quelle affacciate sull’oceano Indiano. A favorire gli scambi di queste zone con la penisola arabica, ma anche con India e Persia, fu la presenza di una serie di grandi città portuali che si allungavano da nord verso sud lungo la costa, dall’attuale Somalia fino al Mozambico.

Si trattava di centri prosperi come Zanzibar, Malindi, Mogadiscio o Mombasa, città quest’ultima che impressionò i primi navigatori portoghesi per le sue case in muratura, le vie allineate e il porto adatto alle grandi imbarcazioni. Questi centri erano abitati originariamente da popolazioni di origine bantù e ospitavano quartieri destinati ai mercanti arabi, indiani, persiani. Si trattava quindi di città cosmopolite, in cui l’interscambio culturale diede origine alla cultura e alla lingua swahili (la “lingua della costa”, una sorta di idioma “franco”), nate dal mescolarsi di elementi bantù, arabi, persiani, indiani. L’Islam ebbe anche in queste zone una forte penetrazione tra le élite dominanti e la cultura arabo-islamica ebbe un forte impatto sulla società, tanto che la prima forma scritta dello swahili utilizzava l’alfabeto arabo.
Queste città della costa svolgevano funzione di collegamento anche con le zone di produzione dell’oro e dell’avorio dell’interno. In particolar modo, tra l’XI e il XV secolo ebbe la sua massima fioritura la cultura dello Zimbabwe, che prendeva il nome dalla sua capitale, Grande Zimbabwe, città fortificata di cui oggi sono ancora visibili le mura alte nove metri del palazzo reale. Intorno al 1450 il grosso della popolazione della città emigrò a circa 300 chilometri verso nord a causa del progressivo isterilimento delle terre. Sorse Mupata (per i portoghesi Monomopata) che detenne ancora per molto tempo il controllo dei commerci dell’oro e dell’avorio.

Nubia, Axum ed Etiopia, “baluardi” cristiani

La Nubia e l’Altopiano etiopico sono le uniche aree dell’Africa “nera” in cui gli Europei hanno sempre riconosciuto la presenza di civiltà assimilabili a quelle dell’Europa. A favorire questa riconoscibilità fu la presenza del cristianesimo, introdotto, secondo la tradizione, da San Frumezio (per gli etiopi Abuna Salama, il “Padre della Pace”) già nella prima metà del IV secolo. Baluardi della cristianizzazione – nella variante monofisita1, definita anche “copta” – contro l’espansione islamica furono i regni cristiani della Nubia, il regno di Axum e l’impero di Etiopia. La Nubia, la regione compresa tra l’Egitto meridionale e il Sudan centrosettentrionale, era sempre stata un’area di grande produzione aurifera e per questo soggetta alle mire dell’Egitto, sia in epoca faraonica, sia dopo la conquista romana. Con l’occupazione araba del territorio egiziano la situazione tra nubiani e arabi fu di conflitto fino a che, nell’VIII secolo, non venne firmato un trattato. Esso prevedeva la costruzione di una moschea a Dongola, la città principale della Nubia, e la libertà di culto per gli islamici. In cambio i nubiani videro preservata la loro indipendenza politica e religiosa. Il trattato resse per sette secoli e la Nubia rimase per tutto questo tempo una sorta di muro all’avanzata dell’Islam fino al crollo, dovuto soprattutto a conflitti interni, dei regni cristiani. Un crollo che favorì, a partire dal Cinquecento, la penetrazione islamica nella regione, dando inizio a quel contrasto tra cristiani e musulmani presente ancora oggi in molte zone del Sudan e dell’alto Egitto.
Ancora più importante fu la funzione anti-islamica esercitata dalle entità statali della regione etiopica, come il regno di Axum che estendeva la sua influenza attraverso zone dell'odierna Eritrea, dell'Etiopia, della Somalia occidentale, del Gibuti e del Sudan settentrionale. Lo stato axumita, grazie alla sua favorevolissima posizione, fu profondamente coinvolto nei commerci tra l'India e il Mediterraneo orientale e decadde quando, tra il IX e il X secolo, gli arabi imposero il loro controllo sui porti affacciati sul mar Rosso, isolando il regno dal resto del mondo.
Dopo queste vicende il baricentro della cultura copto-etiopica si spostò verso sud, in Etiopia. Lo stato etiope, isolato dal resto della cristianità dalla potenza araba, visse un lungo periodo di decadenza fino alla rinascita del XIII secolo quando Lalibela (1190-1225) riaffermò l’identità cristiana assumendo il nome di negusa nagast (re dei re) e il titolo di imperatore cristiano dell’Etiopia. Per secoli l’Etiopia poté rivendicare il ruolo di unica potenza africana in grado di fronteggiare l’avanzata islamica, oltre che di realtà statuale impegnata nella conversione delle genti pagane e capace di intessere rapporti con l’Occidente. Rapporti testimoniati dalla presenza di una delegazione etiope al concilio di Ferrara del 1439-41 dove venne sancita una effimera riunione tra chiese d’Occidente e chiese d’Oriente.

Il trauma della tratta degli schiavi e il colonialismo europeo

Come abbiamo visto da questa rapida ricognizione, all’inizio dell’età moderna, l’Africa poteva anche essere poco o per nulla conosciuta dagli europei, però si presentava tutt’altro che priva di storia. Una storia che continuò ancora per secoli nonostante la presenza europea, dato che la colonizzazione dell’Africa è stata soprattutto un fenomeno tardo-ottocentesco. Non esisteva un’Africa sine historia quindi e non esistevano a priori elementi che potessero definire fin dall’inizio i rapporti tra africani ed europei in termini di inferiorità/superiorità. Il diffuso disprezzo degli europei per i neri dell’Africa fu un prodotto della tratta atlantica degli schiavi e poi della cultura dell’imperialismo europeo. Mano a mano che cresceva il valore degli africani come “merce” venne meno la loro immagine come esseri umani e sulla base di questa svalutazione e disumanizzazione gli europei costruirono il loro immaginario e la loro storiografia sull’Africa. Gli africani diventarono quindi esseri inferiori, valutazione che forniva il pretesto ideologico alla loro riduzione in schiavitù in un momento in cui l’Europa affermava, con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, principi di uguaglianza e libertà. Questo disprezzo crebbe a dismisura con l’aumento della disparità tecnologica ed economica dovuto alla Rivoluzione industriale e all’affermarsi del capitalismo imprenditoriale. E il disprezzo fornì le basi per il razzismo basato sul colore della pelle che fece da sostrato teorico al colonialismo imperialista. L’Africa divenne un continente primitivo, sanguinario, selvaggio e la sua storia venne riletta in un’ottica puramente eurocentrica. Un’ottica priva di fondamento ma che col tempo divenne più reale della realtà.

Note

1. Monofisismo, (da monos, in greco “uno”, e fysis, “natura”), dottrina elaborata nel IV secolo che sosteneva la tesi di un’unica natura (quella divina) in Cristo, negando la sua natura umana. La dottrina venne condannata dalla chiesa cattolica nel concilio di Calcedonia del 451.

Bibliografia

Chaterine Coquery-Vidrovitch, Breve storia dell’Africa, il Mulino, 2012
Giampaolo Calchi Novati e Pierluigi Valsecchi, Africa: la storia ritrovata, Carocci editore 2005
Basil Davidson, La civiltà africana. Una storia culturale, Res Gestae, 2014
Winfried Speitkamp, Breve storia dell'Africa, Einaudi, 2010

 

Roberto Roveda è esperto di Storia medievale. Per Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori ha scritto, con Franco Amerini ed Emilio Zanette, il secondo volume del corso di storia per il biennio delle superiori Sulle tracce di Erodoto. Per la Scuola secondaria di primo grado è autore del corso Noi dentro la storia.